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“Cinquant’anni di Doc: il territorio, il vino, l’enologo”:Questo il tema generale del 68° Congresso che si è aperto giovedì 4 luglio nel Teatro Sociale G. Busca, con una cerimonia inaugurale impernia-ta sui cinquant’anni delle Denominazioni di orgine dei vini italiani. Di grande spessore sono stati i contenuti delle tre sessioni di lavoro: “L’approccio al mercato del vino”, con le esperienze di Piero Antinori, Angelo Gaja, Angelo Maci; “Il Piemonte, il suo territorio, i suoi vini”, un’analisi sensoriale di alcune perle enologiche piemontesi condotta da Piero Cane, presidente della Sezione Assoenologi Piemonte, e da Riccardo Cotarella, presidente nazionale Assoenologi; “La viticoltura del Nuovo Mondo alla luce delle recenti condizioni climatiche”, con le esperienze di famosi colleghi enologi sta-tunitensi, argentini e sudafricani.

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PRIMA SESSIONE LAVORI 68° CONGRESSO: è made in Italy il 20 per cento delle bottiglie di vino vendute nel mondo

 Il 20 per cento delle bottiglie di vino vendute nel mondo, da Pechino e New York, da Londra a Mosca e Tokyo, sono made in Italy. Sugli scaffali dei supermercati, nei ristoranti alla moda, nei bar dove i giovani si danno appuntamento per l’happy hour, l’«Italian Wine» influenza i gusti e fa tendenza. E’ questo il forte risultato dell’export italiano che colloca il settore vitivinicolo in controtendenza rispetto alla crisi generale. Tutto ciò è merito anche di una professionalità in cantina e in vigneto, espressa attraverso il contributo indispensabile degli enologi, che ad Alba (Cuneo) stanno celebrando il 68° congresso. Il presidente, Riccardo Cotarella, spiega così i risultati raggiunti: «In cantina meno poesia e più professio-nalità. Il vino è il miglior marcatore del territorio, un prodotto che si fa solo sul posto e non è replicabile. Sino a pochi decenni fa esisteva un mercato del produttore, ora c’è quello del consumatore, bisogna misurarsi con gli amanti del vino, appassionati e acculturati. Dobbiamo andare fuori, oltre i nostri confini, confrontarci con il resto del mondo». E’ l’export, infatti, la terra promessa del vino italiano. Concetto ribadito oggi ad Alba da tre patriarchi e leader del settore, Angelo Gaja, titolare dell’azienda agricola di Barbaresco, Angelo Maci, amministratore delegato Cantine Due Palme (Puglia) e Piero Antinori, presidente della Marchese Antinori di Firenze.

 «L’Italia – dice Antinori – ha enormi potenzialità. Nei prossimi trent’anni ci sarà un miliardo di persone con disponibilità ad acquistare beni voluttuari. Sarebbe un peccato se i nostri produttori non approfitassero di questa opportunità. Abbiamo già conquistato gli Usa, dove il fatturato export del nostro prodotto ha raggiunto i 7,67 milioni di euro, superando la Francia che fattura 7,33 milioni. Ma siamo ancora lontani in Cina e il nostro obiettivo è quello di ridurre il gap che ci separa dai transalpini. Teniamo conto anche di un altro aspetto: per la prima volta, dopo tanti anni, assistiamo nel mondo a una corrispondenza fra consumi e produzione. In altre parole: non ci sono più eccedenze, il che rappresenta una svolta positiva per i nostri mercati».

 Esempi di grandi produttori, ma anche attenzione alle dimensioni di casa nostra. Angelo Gaja: «Il 53 per cento del settore è rappresentato dalle cooperative, il 26% dalle grandi aziende, il 21% da quelle piccole. Sono gli artigiani del vino e di loro troppo spesso ci si dimentica». Esperienza diversa quella di Angelo Maci, che nel Salento è al vertice della Società Cooperativa Due Palme: esempio di associazionismo fra 1200 viticoltori, proprietari di 2400 ettari di vigneti (export di 7 milioni di bottiglie, fatturato 22,7 milioni di euro).

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SECONDA SESSIONE LAVORI 68° CONGRESSO: l’approccio al mercato del vino raccontato dai tre “maestri Antinori, Gaja e Maci

 Tre “maestri” della produzione vitivinicola italiana, tre storie e tre modi diversi di vincere le sfide. L’approccio al mercato del vino raccontato da Piero Antinori, Angelo Gaja e Angelo Maci: tre esperienze al centro della prima sessione del 68° Congresso di Assoenologi. Antinori (presidente della Marchesi An-tinori di Firenze), Gaja (titolare dell’Azienda agricola Gaja di Barbaresco), Maci (ad delle Cantine Due Palme di Cellino San Marco) rappresentano situazioni diverse tra loro, sia per tipologia di prodotto che per strategie commerciali, ma accomunate da un unico obbiettivo: ottenere il massimo successo di mercato e immagine.

 “Il vino italiano – ha detto Piero Antinori – rappresenta il 20,6% dell’export dell’intero settore agroali-mentare. Con i 5 miliardi in valore è quasi il doppio del settore dolciario, più del doppio del lattiero-caseario, una volta e mezzo il settore pasta e quattro quello delle carni preparate”. Ma nella com-petizione globale c’è ancora molto da fare: “Occorre ricorrere ai fondi Ocm vino destinati alla promozione nei Paesi extra Cee in aggiunta agli investimenti privati. Se ben utilizzati potrebbero essere l’elemento che ci consente di affermare soprattutto in quei paesi potenzialmente grandi consumatori di vino, il nostro prodotto e la sua immagine di qualità. Mi riferisco in particolare alla Cina dove abbiamo ancora una posizione molto debole. Per superare questa situazione si sta formando per la prima volta in Italia un gruppo importante costituito dall’Istituto del Vino Italiano di Qualità Grandi Marchi, dal Consorzio Italia del Vino e da altri soggetti come Enoteca di Siena, allo scopo di promuovere collettivamente il prodotto made in Italy”.

 “In Italia non si è mai bevuto bene come ai giorni nostri, il lavoro degli enotecnici è stato prezioso. Lo hanno capito anche all’estero, non per niente deteniamo il primato in volume nell’export”. Parole di An-gelo Gaja, che “consacrano” il ruolo dell’enologo nella “primavera e nella rinascita del vino italiano”, come lui definisce il salto qualitativo negli ultimi venticinque anni. E poi, in controtendenza rispetto ad alcuni stereotipi: “Fino a pochi anni fa si imputava agli artigiani la colpa di essere un freno alla crescita del vino perché troppo piccoli. Io non sono un sostenitore del piccolo è bello, ma dico invece che piccolo è utile. Utile al comparto vinicolo perché gli artigiani forniscono vino sfuso di qualità agli imbottigliatori, che poi lo esportano, si segnalano per l’originalità dei loro prodotti. Fanno da richiamo, attirano gli enotu-risti”. Insomma sono complementari del comparto vinicolo, che però ha necessità di imparare a vendere meglio. “E su questa strada – ha concluso Gaja – è in atto un profondo cambiamento di mentalità, che va sostenuto. La nuova generazione è più preparata, ha maggiore consapevolezza della complementarietà delle diverse funzioni”.

 Esperienza totalmente diversa quella di Maci, che nel Salento è al vertice della Società Cooperativa Due Palme, nata nel 1989 dopo che lui stesso decise di interrompere la carriera di singolo imprenditore e in-traprendere la strada della cooperazione aggregando altri produttori. Missione che sembrava impossibile. Invece oggi la cantina dispone di 5 stabilimenti di proprietà, conta una massa sociale di 1200 viticoltori, proprietari di 2400 ettari di vigneti dislocati nel triangolo che abbraccia le province di Brindisi, Taranto e Lecce: produzione media annua di circa 300 mila quintali d’uve. Il bilancio 2012 si è chiuso con un ex-port di 7 milioni di bottiglie (+10%), fatturato 22,7 milioni di euro (+30%). “Due i punti di forza dell’etica e della cultura aziendale: il rispetto delle tradizioni in un’ottica di sviluppo sostenibile e una visione fortemente improntata al recupero e alla valorizzazione delle radici del territorio. Negli ultimi anni abbiamo portato avanti progetti con l’Università del Salento, il Cnr e siamo entrati in uno spin-off acca-demico con una quota societaria per la nascita di un’impresa finalizzata alla ricerca di lieviti”.

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TERZA SESSIONE DEL 68° CONGRESSO ASSOENOLOGI: il «modello mendoza» può aiutare il vino italiano a vincere le sfide contro il clima avverso

 Coltivare Barbera, Nebbiolo, Merlot, Cabernet nella contea di Walla Walla (Stato di Whashington). Op-pure a Mendoza, a pochi chilometri dalle Ande argentine. O in Sudafrica, in riva all’Oceano Atlantico. Tutte luoghi dove le condizioni climatiche sono proibitive, i terreni un deserto e il sole splende per oltre 300 giorni. Gli «eroi» di questa viticoltura estrema, arrivati dagli Usa, dal Sudafrica e da Mendoza, hanno raccontato al 68° Congresso Assoenologi, la loro esperienza e le tecniche di sopravvivenza per produrre vini d’eccellenza. Un confronto con i viticoltori delle Langhe, promosso dal direttore di Assoenologi, in-sieme con il presidente Riccardo Cotarella. «Le esperienze e il loro contributo – dice Martelli – servono ai nostri produttori e agli enologi per misurarsi con nuove realtà, trasformando le criticità in opportunità. Le mutate condizioni ambientali che da qualche anno si stanno registrando anche in Italia, con l’innalzamento dei picchi di temperatura, impongono a chi coltiva di adottare un approccio nuovo e più flessibile».

 E’ la scarsità d’acqua il nemico numero uno di quelle zone desertiche. In Argentina è un enologo di origini toscane, Alberto Antonini, a vincere la sfida. Fondatore di «Matura», società di consulenza globale nel settore vitivinicolo, opera nella zona dell’Aconcagua, una delle vette più alte delle Americhe. Il «Modello Mendoza», laboratorio vivente basato sulla tecnologia e l’esperienza tramandata dai viticoltori italiani, ha raggiunto l’obiettivo di fare della regione una delle zone più vocate alla viticoltura. L’irrigazione dei vigneti avviene per scorrimento, attraverso canali realizzati da architetti italiani e ridisegnati sulla base dell’antico reticolo dei Maya.

 Dalle Ande ai vigneti del Walla Walla, dove Bob Bertheau, enologo direttore tecnico Chateau St. Michel-le Wine Estate, deve dividersi fra le alte temperature estive e le proibitive gelate dell’inverno. Anche qui è determinante l’irrigazione a pioggia, dosata nei minimi particolari. Len Knotze e Heinè Janse van Ren-sburg, sono direttore e responsabile viticolo della Namaqua Wines (Belville), in Sudafrica. In questa zona è stata introdotta, prima nel mondo con l’Austalia, l’irrigazione a pioggia.Tutta questa tecnologia è un modello esportabile, da adattare anche all’Europa e all’Italia nelle annate particolarmente avverse. Il confronto con l’Italia, che celebra quest’anno i 50 anni della legge istitutiva delle Doc, diventa così un momento qualificante per migliorare la produzione made in Italy.

 Il 68° Congresso nazionale di Assoenologi si svolge con il patrocinio del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali della Repubblica Italiana e della Regione Piemonte. Sponsor ufficiali le seguenti aziende leader di macchine, prodotti e accessori per la viticoltura e l’enologia: Amorim Cork Italia, Bayer Cropscience, Colombin & Figlio, Enartis, Enò, Enoplastic, Fabbrica Botti Gamba, Gai Macchine Imbottigliatrici, L’Enotecnica, Mas Pack Packaging, Nomarcorc, Pall Italia, Robino & Galandrino, Vason Group, Vetri Speciali, Vivai Cooperativi Rauscedo.

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