A cura di: Marco Emanuele Muraca – Direttore “Annuari del Bere” Beverfood srl Milano – www.beverfood.com
Fonte: Sintesi di vari servizi pubblicati su Annuario Bibite e Succhi Beverfood 2004-05 gennaio 2005 e su Bevande Italia Beverfood 1999
SOMMARIO: Natura e composizione dei prodotti – Le motivazioni di consumo – Cenni Storici – Le bibite con succhi – Le bibite con aromi ed estratti – Gli aperitivi analcolici – Le bibite alleggerite – Le bibite fortificate – Mappa di classificazione – il processo produttivo
Rif. Temporale 05/1999
Le “Bevande Analcoliche” sono quelle che non contengono alcool, o più esattamente, come dice la legge, le bevande nelle quali l’eventuale presenza di alcool non sia superiore all’1% del volume. Questa qualificazione è normalmente utilizzata con riferimento alle bevande fredde e nel senso più ampio del termine comprende le seguenti categorie: acque confezionate, bibite dolci frizzanti, bibite dolci piatte, succhi e nettari di frutta. In quanto prive di alcool, le bevande analcoliche godono di una destinazione di consumo più universale (sia in termini di consumatori che in termini di occasioni di consumo).
Natura e composizione dei prodotti
Il termine più specifico di “Bibite Analcoliche”, invece, suole essere riferito alle bevande analcoliche rinfrescanti, dolci, frizzanti o piatte. In termini più precisi le bibite analcoliche sono bevande rinfrescanti a base di:
· acqua (in genere oltre l’80%),
· zuccheri (o dolcificanti),
· sostanze aromatizzanti,
· eventuali altre sostanze edibili di origine vegetale (quali succhi e/o puree vegetali, estratti e/o infusi di caffè, tè e altre piante, ecc.) e, talvolta, anche elementi arricchenti di varia natura (quali vitamine, sali minerali, sostanze energizzanti, ecc.).
Oltre a queste componenti di base, le bibite analcoliche possono contenere, secondo le soluzioni ricettistiche scelte, eventuali altre sostanze residuali con funzione di conservanti, acidificanti, antiossidanti, esaltatori di gusto e coloranti, nei tipi e nei limiti consentiti dalle leggi esistenti. Tali ingredienti sono indicati in etichetta, spesso con astruse dizioni tecniche che finiscono per intimorire i consumatori più di quanto non sia necessario.
La gran parte dei consumi di bibite in Italia e nel mondo è costituita dalle “Bibite Analcoliche Frizzanti” che rappresentano le tipologie di più lunga tradizione industriale e di maggior consolidamento, anche se continuamente sottoposte ad innovazioni di prodotto, processo e confezionamento. Le bibite frizzanti si caratterizzano per una presenza significativa di “anidride carbonica” (CO2). Questo gas inodore e incolore dà vita alle classiche “bollicine” che già visivamente fanno pensare ad un prodotto rinfrescante e vivace e che, comunque, sollecitano piacevolmente le papille gustative. L’anidride carbonica conferisce alla bevanda una certo gusto acidulo e svolge inoltre una proficua funzione conservante, allungando di parecchio la vita del prodotto.
Uno degli elementi di maggior valutazione dei vari tipi di bibite è il cosiddetto “residuo secco” che rappresenta ciò che rimane della bevanda dopo aver fatto evaporare l’acqua. In altri termini il residuo secco è dato dagli zuccheri, frutta, aromi, sali e altri ingredienti solidi. Se un prodotto ha un elevato residuo secco, a parità di mix qualitativo degli ingredienti, ha un valore nutrizionale più elevato.
La differenziazione del gusto si ottiene variando la quantità d’anidride carbonica e dosando in modo oculato gli zuccheri, il grado d’acidità e il mix aromatico. Nelle bibite più “corpose” (cioè a più alto residuo secco) la percentuale di gasatura è generalmente più contenuta, mentre tende ad essere più elevata negli altri prodotti, compensando in tal modo la relativa povertà d’ingredienti solidi.
Le motivazioni di consumo
Per i consumatori la funzione primaria delle bibite analcoliche rinfrescanti è quella di “dissetare”; ma la bibita, in quanto ha un residuo secco significativo (non meno del 6% e fino ad oltre il 10%), assume in parte anche la caratteristica di “bevanda alimentare”, cioè apportatrice di calorie e d’energie.
L’altro fattore diversificante rispetto all’acqua (dissetante di base) è il sapore dolce o agro-dolce delle bibite analcoliche, il che assicura loro una certa piacevolezza e caratterizzazione gustativa. In tal senso si suole parlare di “bevande edonistiche”, con le quali il consumatore cerca di soddisfare in modo più gratificante il proprio bisogno di bere. Il carattere edonistico è maggiormente esaltato nelle bibite frizzanti, a maggior corposità e a più alta intensità aromatica.
Questa caratterizzazione può tuttavia innescare da parte di alcuni consumatori delle percezioni negative e degli atteggiamenti frenanti, che portano a vivere la bibita come prodotto “problematico” sul piano del benessere fisico. Ed è proprio in questo contesto che s’inseriscono le nuove proposte di bibite con una più spiccata connotazione dietetica e salutistica, e, quindi, con formulazioni più funzionali a specifiche esigenze fisiologiche del consumatore, quali le bibite prive di sostanze “problematiche” (come zuccheri o caffeina) e le bibite arricchite di sostanze “attive” (quali vitamine, energizzanti, tonificanti, ecc.) Non è tuttavia corretto contrapporre “edonismo” e “salutismo” come valori alternativi. Il consumatore attento ai valori salutistici, se si orienta su una bibita, è mosso anche da una certa voglia di gratificazione. In realtà egli ricerca nella bibita salutistica una bevanda che sappia unire piacere, naturalità e benessere. Le proposte salutistiche di prodotti che “sacrificano” gusto e piacere sono invece vissute come penalizzanti.
Cenni Storici
L’origine delle bibite rinfrescanti può essere fatta risalire al 17° secolo, in Italia, dove alcuni fabbricanti-venditori di granite e gelati preparavano artigianalmente e vendevano (allo stato sfuso) delle bevande rinfrescanti chiamate “limonate”, ottenute dalla miscelazione di acqua, zucchero e succhi freschi di limone. Ma bisogna arrivare alla seconda metà del 18° secolo per datare la nascita delle bibite carbonate (addizionate di anidride carbonica); fu, infatti, in questo periodo che il chimico inglese Priestley scoprì in che modo l’anidride carbonica poteva essere addizionata all’acqua. Nel 1790 Jacob Schweppe (orologiaio di origine tedesca) aprì una piccola fabbrica a Londra per la produzione di acqua soda, divenendo ben presto fornitore della real casa inglese. Ma la produzione di vere e proprie bibite rinfrescanti aromatizzate restò un fenomeno del tutto trascurabile e sperimentale per buona parte dell’800, anche perché erano ancora poco diffuse le tecniche di aromatizzazione. Bisogna arrivare alla fine dell’800 per vedere l’avvio vero e proprio delle prime produzioni di bibite frizzanti aromatizzate.
Nel continente americano le prime bevande rinfrescanti nacquero come bibite scure alla cola, tipica pianta dell’America e dell’Africa tropicale, contenente caffeina. Nel 1886 ad Atlanta (USA) il farmacista John S. Pemberton inventò la formula della Coca Cola, all’inizio proposta come rimedio contro il mal di testa ma presto affermatasi come bevanda rinfrescante. Inizialmente la bevanda era venduta allo stato sfuso, in versione liscia ad un prezzo popolare di solo 5 cents al bicchiere. Poco tempo dopo, per caso, la bevanda venne mescolata con acqua frizzante e così nacque la Coca Cola con le bollicine.
Nel 1894 la Coca Cola cominciò ad essere imbottigliata ma il lancio su scala industriale dell’attività d’imbottigliamento risale al 1899, con l’avvio e lo sviluppo successivo di numerose aziende imbottigliatrici terziste che ricevevano dalla casa madre l’autorizzazione e lo sciroppo per imbottigliare e distribuire il prodotto in tutti gli stati americani. Nel 1898 nacque, sempre negli USA a New Bern in North Caroline, la Pepsi Cola, ad opera del farmacista Caleb Bradham.
E’ curioso notare come le due bibite che nel tempo diventeranno le più famose del mondo siano nate ad opera di farmacisti. Altre bibite famose (come ad esempio la francese Orangina e l’italiana Tassoni Soda) sono state inventate da farmacisti. In realtà all’epoca, non esistendo ancora le moderne compagnie di produzione, le botteghe dei farmacisti rappresentavano un luogo privilegiato per lo sviluppo e ricerca di prodotti che richiedevano la messa a punto e la sperimentazione di miscele con estratti e infusi di erbe, piante e vegetali.
In Europa le prime bibite rinfrescanti aromatizzate cominciarono ad essere prodotte in versione chiara, con aromatizzazioni più tradizionali. Intorno al 1870, l’inglese Schweppes, che si era già affermata come produttrice di acqua soda, lanciò l’acqua tonica, una bibita rinfrescante contenente anche chinino, che conferisce alla bevanda un caratteristico gusto dolceamaro e che, inoltre, aiuta a proteggersi dalla malaria. Non a caso la bevanda divenne molto popolare in India (all’epoca colonia britannica) dove la malaria era molto diffusa.
Sempre sul finire dell’800 nacquero in Italia le prime gassose al limone (tra i pionieri la ditta Abbondio in Piemonte e la ditta Verga in Lombardia) e la prima cedrata della Tassoni (allora denominata “acqua di cedro”).
All’epoca le produzioni erano molto limitate, con imbottigliamento manuale. Ma lo sviluppo delle produzioni su più vasta scala avvenne a partire dal 1920 in avanti, con l’avvento di numerose unità locali di produzione (i c.d. “gassosai”) che producevano gassose, spume e bitter, con varie aromatizzazioni, in bottiglie di vetro con tappo a pallina e successivamente anche con tappo meccanico.
Negli anni ’20 e ’30 si avviò il processo di espansione della Coca Cola nei paesi europei, con la creazione di filiali e imbottigliatori locali in alcuni importanti paesi del vecchio continente. Con la seconda guerra mondiale la bibita di Atlanta, al seguito delle truppe nord-americane, conquistò l’intero continente europeo, oltre ai paesi del Nord Africa.
Intanto negli anni ’30 vennero avviate anche le prime produzioni di bibite più fruttate, contenenti vero e proprio succo di agrumi, come le aranciate e le moderne limonate. L’aranciata San Pellegrino risale al 1932, mentre l’aranciata Orangina, inizialmente chiamata Naranjina, fu inventata nel 1936 da un farmacista spagnolo che poi cedette i diritti a Lèon Beton che la portò rapidamente al successo, con l’attuale nome, in Algeria e Francia. La nascita della Fanta risale, invece, al 1940 in Germania, ad opera di un imbottigliatore Coca Cola che, non potendo più importare lo sciroppo di Coca Cola durante la guerra, pensò bene di convertire la propria attività nell’imbottigliamento di bibite alternative. Nel dopoguerra il marchio fu acquisito da Coca Cola e lanciato con successo in tutti i paesi in cui la multinazionale operava, divenendo ben presto l’aranciata più venduta nel mondo.
Anche la nascita del chinotto, a base dell’omonimo agrume, risale alla stessa epoca. Il chinotto San Pellegrino (successivamente battezzato come Chinò) nacque nel 1932.
Ma il chinotto cominciò a diventare molto popolare subito nel dopoguerra grazie ad una originale campagna pubblicitaria effettuata da parte di Chin8neri (“non è chinotto se non c’è l’otto”). E’ curioso notare come questa bibita scura, tipicamente italiana, si sia affermata nel tempo come bibita “alternativa” e “antagonista” rispetto alle cole americane, anche se non c’è alcuna somiglianza di gusto tra i due prodotti. Tuttora esistono dei veri e propri club di “chinottisti” che difendono e promuovono l’identità e la tradizione del chinotto.
Nel dopoguerra l’avvento di nuove tecnologie industriali di imbottigliamento, il deciso sviluppo internazionale delle grandi compagnie (come Coca Cola, Pepsico e Schweppes) e la crescita dei redditi (soprattutto nei paesi occidentali) portarono ad una rapida ascesa della produzione e dei consumi. Nel primo dopoguerra l’imbottigliamento era realizzato in bottiglie di vetro monodose e pluridose con il classico tappo a corona. Negli anni ’60 furono lanciati su vasta scala i contenitori metallici (lattine) che, ben presto, si affermarono nei consumi all’aperto.
Ben presto la dimensione localistica dei primi produttori cedette il posto alle grandi aziende nazionali e multinazionali, che conquistarono rapidamente il mercato grazie anche all’uso massiccio di campagne pubblicitarie. Molti dei vecchi “gassosai”, non potendo più competere ad armi pari sul mercato, si trasformarono in concessionari delle grandi aziende. Negli anni ’70 l’avvento dei contenitori in PET diede ulteriore linfa allo sviluppo della produzione e dei consumi, unitamente al lancio di nuovi gusti (come, ad esempio, il lemon-lime negli anni ’70 ed il pompelmo negli anni ’80) e di nuove formulazioni di prodotto. Negli anni ’80 apparvero le prime formulazioni di bibite light e le prime cole decaffeinate, mentre negli anni ’90 sono entrati in scena i nuovi energy drinks e alcune bibite vitaminizzate.
Le bibite con succhi
Rappresentano la famiglia di bibite più ricca dal punto di vista nutrizionale, in quanto contengono almeno il 12% di succhi di frutta ed hanno, in genere, un residuo secco più elevato rispetto alle corrispondenti bibite aromatizzate. Comprendono le tradizionali aranciate e limonate ma anche bibite più recenti con nuove versioni gustative.
Le aranciate sono bibite con almeno il 12% di succo d’arancia. Nel comparto delle bibite a succo le aranciate rappresentano il prodotto più consumato. Attualmente sul mercato vengono proposti quattro diversi tipi di prodotto:
– “aranciate bionde”, a base di normale succo d’arancia (qualità bionde, Valencia e similari)
– “aranciate rosse”, a base di succo di arance rosse (qualità tarocco, sanguinella e similari);
– “aranciate con succo e polpa”, con una struttura più fibrosa e ricca di cellule d’arancia;
– “aranciate amare”, con un gusto più amarognolo dovuto non alla mancanza di zuccheri, come si potrebbe pensare di primo acchito, ma alla presenza d’estratto di corteccia di china (pianta amaricante) o di altri elementi equivalenti.
Le limonate sono bibite al 12% di succo di limone. Si distinguono dalle più tradizionali gassose al limone per l’elevata percentuale di succo e per il più alto residuo secco.
In tempi più recenti sono state introdotte con successo delle nuove bibite al 12% di succhi e puree di frutti quali pompelmo o frutti tropicali. Sono prodotti che tendono a posizionarsi su un consumo più adulto, grazie anche ad un gusto meno dolciastro.
Di recente sono stati proposti altri gusti, come mandarino, frutti di bosco, ecc., che però al momento non hanno trovato una grande accettazione da parte dei consumatori italiani.
Le bibite con aromi ed estratti
Questi prodotti non contengono succhi o puree di frutta se non in misura trascurabile e la loro caratterizzazione gustativa è data dalla presenza di vari aromatizzanti ed estratti vegetali. Legalmente non sono previsti particolari vincoli ricettistici e tendono ad avere un “residuo secco” più basso. Queste bibite possono avere una denominazione che richiama il frutto o la pianta che rientrano nella specifica composizione del prodotto, oppure avere una denominazione di pura fantasia. Appartengono a questa categoria numerose varietà tipologiche e gustative.
Le Spume rappresentano delle bibite a base di zucchero, acido citrico e aromi vari (a seconda del tipo), di vecchia tradizione, che stanno ormai scomparendo, sostituite da una parte (spume chiare) dalle più ricche bibite ai succhi di frutta e dall’altra (spume scure o caramellate) dalle più moderne cole e dai più qualificati chinotti. Il prodotto continua tuttavia ad essere presente in diversi punti di vendita tradizionali (quali vecchie osterie e trattorie di campagna, circoli di dopolavoro, balere estive, ecc.) dove il prodotto suole essere somministrato a bicchiere a prezzi molto popolari.
Le Gassose sono le bibite frizzanti più tradizionali nella realtà di consumo italiana. La gassosa è costituita molto semplicemente da acqua, zucchero, anidride carbonica ed essenze di limone, con l’eventuale aggiunta d’acidificanti, ma senza sostanze coloranti. In alcune zone del Sud sono molto diffuse delle bibite gassate al caffè, talvolta percepite dai consumatori come “gassose al caffè”. In realtà il termine “gassosa” può essere utilizzato legalmente solo per le gassose al limone. In alcune zone del Piemonte è, invece, consuetudine utilizzare il termine gassosa anche per indicare altre bibite frizzanti a gusto menta (verde) e bitter (rosso).
Il Chinotto è la bibita a base d’agrume di chinotto (una specie di piccolo mandarino di sapore amarognolo, di origine cinese ma coltivato anche in Liguria) e presenta un classico colore scuro dovuto alla presenza di caramello (zucchero brunito mediante cottura); è una delle bibite di più consolidata tradizione nazionale.
La Cedrata è un’altra delle più tradizionali bibite italiche, a base di essenza o alcolato di cedro (tipo di limone molto più grande e a buccia molto più spessa), dal classico colore giallo, grazie alla presenza di specifici coloranti.
Le Cole sono le classiche bibite “american style”, principali protagoniste dell’impetuoso sviluppo delle bibite frizzanti e tuttora le più consumate in Italia e nel mondo. Un alone di mistero e di segretezza ha sempre circondato le formule delle cole. Se si leggono le indicazioni degli ingredienti sull’etichetta si scopre che la cola è una bibita contenente acqua, zuccheri, anidride carbonica, caramello o coloranti abbrunenti (che danno alla bevanda il classico colore scuro), sostanze acidificanti e conservanti, caffeina e “aromi naturali”, tra cui estratti di cola (pianta tropicale il cui frutto ha un’azione stimolante). Ed è proprio il mix degli aromi che, pur rappresentando meno dell’1% del prodotto, costituisce l’elemento segreto e personalizzato delle varie formule, conferendo a ciascuna di esse il proprio specifico gusto. Di recente sono state introdotte sul mercato nuove varianti gustative rispetto alla formulazione classica; tra queste le cole al limone e le cole alla vaniglia.
Le bibite Lemon-lime rappresentano il contraltare “chiaro” delle cole “scure”, con un gusto caratterizzato dalla presenza d’estratti di limone e/o lime (piccolo limone verde molto profumato, tipico dei Caraibi). Data la forte vicinanza ricettistica, le “lemon-lime” possono essere considerate l’evoluzione moderna delle tradizionali gassose al limone.
Gli aperitivi analcolici
Rappresentano una categoria di bevande frizzanti analcoliche, caratterizzate dal fatto di essere normalmente destinate ad un consumo pre-pasto e, quindi, in grado di stuzzicare l’appetito. E’ importante per questi prodotti la scelta di un opportuno mix aromatico e il giusto dosaggio tra componenti dolci e amari; è inoltre tipico degli aperitivi un colore vivace (biondo o rosso), grazie all’utilizzo di coloranti ammessi dalla legge.
Sono indicati talvolta con denominazioni comuni, quali “bitter” (“amaro”) e “ginger” (“zènzero”, pianta erbacea di cui si utilizzano i rizomi, originaria dell’Asia Meridionale), ma più spesso con specifici marchi di fantasia che, in quanto nomi di proprietà, consentono una politica d’immagine più difendibile.
Rispetto ad altre bevande (alcoliche) che si propongono nella stessa funzione d’uso, l’aperitivo analcolico si caratterizza come aperitivo leggero, più informale e meno impegnativo e, quindi, con una destinazione più ampia di consumo e senza particolari controindicazioni.
In questa famiglia di prodotti potremmo inserire anche le Toniche, che non sono vere e proprie bevande aperitive ma che spesso vengono utilizzate nella preparazione di cocktail e long drink. Le acque toniche non sono delle semplici bevande acquose ma delle bibite a pieno titolo, in quanto contengono zucchero, con bicloridato di chinino (sostanza amaricante) e con l’aggiunta di altre essenze aromatiche; il tutto conferisce al prodotto un caratteristico gusto dolceamaro.
Le bibite alleggerite
Un primo caso tipico è quello delle bibite cole, contenenti caffeina nella versione normale ma che sono proposte anche in versione decaffeinata, a favore di quei consumatori (come, ad esempio, i bambini) per i quali è inopportuna l’assunzione di caffeina.
Ma la categoria più diffusa di bibite alleggerite è quella che si caratterizza per un minore apporto calorico rispetto alle tradizionali bibite zuccherate. Queste ultime, infatti, contengono tra l’8 il 10% di normali zuccheri e, quindi, un litro di una comune bibita dolce contiene intorno agli 80-100 g. di zuccheri, pari ad un apporto di circa 400 Kcal.
Non c’è allora da meravigliarsi se i consumatori che hanno il problema di limitare l’apporto calorico giornaliero si pongono dei vincoli nell’assunzione delle normali bibite dolci. Ed è proprio con riferimento a questi consumatori che l’industria ha sviluppato delle bibite a basso apporto calorico:
– sostituendo in toto i normali zuccheri con edulcoranti ipocalorici (“Bibite Light o Senza Zuccheri”), in grado di ridurre drasticamente l’apporto calorico della bibita;
– sostituendo parzialmente i normali zuccheri con dolcificanti ipocalorici (“Bibite a Ridotto Contenuto Calorico”), riducendo almeno di un terzo l’apporto calorico della bibita.
In quest’ultimo caso l’adozione parziale di dolcificanti è fatta talvolta da alcuni produttori per motivi economici, in quanto riduce drasticamente l’uso di zuccheri che, per molte bibite, rappresentano la materia prima più costosa. I dolcificanti ipocalorici più usati sono il ciclammato di sodio, l’acelsufame K e l’aspartame.
Le bibite fortificate
Questi prodotti sono caratterizzati da un arricchimento di ingredienti speciali in grado di svolgere delle specifiche funzioni fisiologiche. In quest’ambito si inseriscono le bibite energetiche. Queste bevande innovative sono nate e si sono molto diffuse inizialmente in Giappone, dove la cultura dei prodotti funzionali è molto sviluppata, ma nel tempo hanno trovato una crescente affermazione nel Nord America e nei principali paesi europei.
Gli energy drink consentono di immagazzinare delle sostanze energetiche in vista di prestazioni che comportino un forte dispendio d’energia, prevenendo, in tal modo, i conseguenti stati d’affaticamento fisico e/o mentale.
Si tratta di bibite che, oltre all’acqua (componente predominante), contengono sostanze stimolanti, antiossidanti e tonificanti, note e già usate per altri prodotti, quali, ad esempio:
· “Sostanze stimolanti”, in dosi sopportabili per l’organismo, quali caffeina, guaranà, estratto di ginseng (la famosa pianta benefica cinese, la cui radice è stimolante e rinforzante) ed altre ancora;
· “Amminoacidi”, quali la taurina (che si suppone possa svolgere una funzione disintossicante e antiossidante);
· “Vitamine”, particolarmente quelle del gruppo B, con funzioni benefiche, diverse secondo il tipo, talvolta associate a “Sali Minerali”;
· “Zuccheri e/o Dolcificanti”, che, oltre all’apporto energetico, conferiscono un gusto piacevole al prodotto, eventualmente associate con particolari aromi e sapori.
Le bibite energetiche sono state introdotte sul mercato italiano a partire dal 1995-96. All’inizio hanno avuto degli impedimenti dalle autorità ministeriali, in quanto i prodotti non risultavano conformi all’esplicita normativa vigente. Agli inizi del 1998, tuttavia, il Ministero della Sanità ha emesso una circolare con la quale ha ammesso la liceità di questi prodotti, pur dettando alcune regole sulla etichettatura. Pertanto la questione è stata risolta e da allora gli “energy drink” possono essere liberamente commercializzati anche in Italia, come lo sono da tempo in quasi tutti i paesi della comunità europea.
Nel settore delle bibite carbonate sono presenti, infine, anche delle bibite arricchite con vitamine finalizzate al rafforzamento delle difese dell’organismo e contribuire al mantenimento del benessere fisico. Questo tipo di formulazione in realtà è molto più diffuso nel comparto delle bibite piatte e più specificamente nell’area succhi e altre bevande naturali alla frutta, talvolta in combinazione con fibre vegetali e sali minerali.
MAPPA DI CLASSIFICAZIONE BIBITE ANALCOLICHE FRIZZANTI |
Bibite con Aromi ed Estratti -APERITIVI ANALCOLICI (Bitter, Ginger…) – TONICHE -COLE (classiche, al limone, alla vaniglia…) – CHINOTTI – CEDRATE – GASSOSE – LEMON-LIME – SPUME (bianche, nere, verdi) -ALTRI GUSTI (caffè, orzata, menta…) |
Bibite con Succhi -ARANCIATE (bionde, rosse, amare, con succo e polpa) (normali, sanguinelle, -LIMONATE amare, con succo e polpa) -POMPELMO -LIMONATE -TROPICALI -ALTRI FRUTTI (mandarino, frutti di bosco…) |
Bibite Alleggerite -BIBITE DECAFFEINATE (cole e bibite al caffè senza caffeina) -BIBITE LIGHT (bibite senza zuccheri, con dolcificanti) |
Bibite Fortificate -BIBITE VITAMINIZZATE (con vitamine) -ENERGY DRINK (con sostanze energizzanti) |
Fonte/Source: Annuario Bibite e Succhi Beverfood
Il processo produttivo |
Nel processo produttivo e d’imbottigliamento delle bibite analcoliche si distinguono quattro fasi: 1. Preparazione dello sciroppo Il primo passo nella produzione di bibite analcoliche consiste in una soluzione di zuccheri in acqua. A questo scopo si può utilizzare sia zucchero di barbabietola che glucosio; nelle bevande ‘light’ si usano invece dolcificanti o una combinazione di zucchero e dolcificanti. Dopo il controllo qualità vengono aggiunti gli altri ingredienti (succo di frutta, aromatizzanti, estratti e/o altri additivi). Alla fine di questo processo lo sciroppo viene nuovamente testato in laboratorio. 2. Miscelazione di acqua, acido carbonico e sciroppo Un frullatore controllato dal computer miscela acqua, acido carbonico e sciroppo nelle esatte proporzioni previste per la produzione della bibita, che viene poi convogliata verso l’imbottigliatrice in tubature d’acciaio inox. 3. Imbottigliamento della bibita Le bottiglie vuote entrano in fabbrica in casse disposte su piattaforme di caricamento, che vengono piazzate una ad una sul nastro trasportatore. Una disimballatrice completamente automatica toglie le bottiglie dalle casse per mezzo di ventose e le depone su un altro nastro trasportatore. La macchina successiva rimuove i tappi, poi le bottiglie vengono lavate ripetutamente da macchine apposite fino ad essere pulitissime. A questo punto una macchina ispezionatrice esamina le bottiglie, in cerca d’imperfezioni o agenti contaminanti residui. Le bottiglie di plastica riciclate, inoltre, passano attraverso il cosiddetto ‘annusatore’: una macchina che annusa, letteralmente, l’aria all’interno di ogni bottiglia in cerca di residui di sostanze estranee; le bottiglie che dovessero risultare inquinate vengono rimosse e distrutte. Nell’imbottigliatrice – una macchina verticale che ruota sul proprio asse – le bottiglie vengono riempite a velocità elevatissime (fino a 40.000 bottiglie all’ora). La macchina sigillatrice avvita quindi i tappi sulle bottiglie, dopodiché un’altra macchina verifica che queste siano state riempite a dovere. Poi le bottiglie vengono etichettate, rimesse nelle casse e deposte sulle piattaforme di caricamento. A questo punto la bibita è prota per essere spedita al cliente. 4. Ispezione Prima, durante e dopo il processo d’imbottigliamento le (componenti delle) bibite vengono analizzate meticolosamente nei laboratori annessi allo stabilimento. Anche dopo che le bibite sono uscite dalla fabbrica, altri enti conducono ispezioni frequenti. Fonte: www.frisdrank.nl |