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Bio, c’è più gusto? Una analisi dello stato dell’arte dei vini bio in Italia


La scelta del biologico quanto incide sulla qualità di un prodotto? È su questo tema che ci si è voluti interrogare nel corso del webinar “Bio c’è più gusto?” ospitato da Vinitaly all’interno del progetto europeo Biols.Eu.

 



 

A confronto, innanzitutto, l’esperienza di tre produttori: Silvano Brescianini, produttore del primo Franciacorta biologico e Presidente del Consorzio per la tutela del Franciacorta, Ivo Nardi, pioniere nella produzione di vini biologici nel territorio del Prosecco Superiore Docg di Conegliano Valdobbiadene (Treviso), e Nicola Venditti, storico produttore di vino biologico qualità nella Dop Sannio nel territorio di Castelvenere (Benevento). Ma a compendio è giunta anche l’analisi di Debora Viviani, Dipartimento di Scienze Umane, Università di Verona, che ha offerto uno sguardo “esterno” rispetto a quello degli addetti ai lavori, delineando i tratti dei comportamenti d’acquisto legati al bio.

A introdurre i lavori, Maria Grazia Mammuccini, viticoltrice in Chianti Colli Aretini e Presidente di FederBio, che ha insistito sull’importanza di valorizzare il primato che il nostro Paese vanta rispetto alla viticoltura bio. Un appello, come poi posto in evidenza, perfettamente in linea con un chiaro trend di mercato, che registra una domanda sempre più decisa verso i vini biologici. Nel 2020, lo stato dell’arte indicava di 117mila ettari vitati bio in Italia, a fronte di un incremento del +124% sul 2010. Una crescita spinta proprio dal mercato, ma che oggi occorre sostenere attivamente. Serve, infatti, riprendere a correre e investire sul bio nel vino, perché paesi competitor europei, come Francia e Spagna, hanno fatto segnare nel 2020 sul 2019 incrementi superiori a quello italiano sul lato produttivo (rispettivamente +23% e +8% contro +7%).

Oggi, in ogni caso, le buone notizie per l’Italia giungono dal dato dell’incidenza del bio sul totale complessivo della superficie vitata, che si attesta al 18,8%. Un valore che rappresenta il primato mondiale, a fronte di una media nettamente inferiore, raccontando di un settore capace di coniugare qualità, identità territoriale e sostenibilità ecologica. Sempre più, infatti, nel mondo del vino, la scelta del bio non può che rappresentare un valore aggiunto. Con il target dei consumatori che si va definendo attorno a quella fascia dei giovani, attenti e informati, che puntano su una sostenibilità che si fa valore etico e sociale, allargando i propri orizzonti.

E sotto questo profilo, anche i grandi produttori di vino in tutto il mondo hanno cominciato a convertirsi alla scelta del biologico e rappresentano i migliori testimoni di quello che è il nuovo corso dei vini naturali, sempre più rispettosi dell’ambiente, ma anche attenti alla definizione di un gusto e un tratto distintivo enologico che risulti attraente. Quel tratto distintivo che il webinar ha voluto definire e approfondire. E lo ha fatto partendo dai dati. Quelli raccolti in due indagini scientifiche che hanno posto al centro proprio questo tema. Il primo studio, del 2016, si intitola “Il vino bio ha un gusto migliore?” ed è stato realizzato dai ricercatori dell’Università della California per indagare sul legame tra certificazione biologica, dunque rispetto per l’ambiente, e qualità del prodotto.

A essere utilizzati le analisi di tre importanti pubblicazioni per l’universo del vino, come The Wine Advocate, Wine Enthusiast e Wine Spectator, da cui sono state estrapolate le recensioni di 74.148 vini prodotti in California tra il 1998 e il 2009. Con la certificazione bio che è risultata avere un impatto statisticamente significativo sui punteggi assegnati ai vini: aumenta infatti in media di 4,1 punti le valutazioni In risultato è di assoluto rilievo, tenuto conto che proprio questo tipo di punteggi incidono e influenzano tanto il prezzo dei vini in diversi contesti di mercato a livello internazionale, quanto la ricezione da parte dei consumatori. Eppure, si noti un aspetto interessante evidenziato dallo studio e che è stato poi approfondito, rispetto alla controparte europea, coi produttori protagonisti del dibattito: i due terzi delle aziende vinicole californiane che adottano la certificazione bio non applicano il relativo marchio di qualità sulle loro bottiglie.

Il secondo studio è successivo ed è stato il frutto di una ricerca congiunta tra Università della California e Sciences Po. Utilizzando ancora una volta il caso del vino, che meglio si presta a un’analisi di questo tipo rispetto ad altri mondi, a essere testato è l’impatto che i marchi sostenibili hanno sulle valutazioni degli esperti in merito alla qualità del prodotto. A venire utilizzate, come nella prima ricerca, le recensioni di tre importanti guide, ma questa volta francesi: Gault Millau (GM), Gilbert Gaillard (GG) e Bettane Desseauve (BD). Con recensioni che spaziano dal 2008 al 2015.A essere coinvolti produttori certificati da terze parti biologici e biodinamici, nonché marchi di green auto dichiarati, ovvero che non detenevano certificazioni terze.

I risultati, basati sull’analisi delle recensioni di 128.182 vini, indicano che le etichette biologiche e biodinamiche certificate da terze parti portano a un miglioramento delle valutazioni (rispettivamente +6,2 e +5,6 punti percentuali) rispetto ai vini convenzionali Mentre un altro dato interessante è offerto dalla scoperta di come i marchi ecologici auto-dichiarati, che includono dunque pratiche sostenibili non certificate, hanno ricevuto, nei migliori dei casi, valutazioni simili a quelli dei vini convenzionali. Infine, da notare come, in media, i vini biodinamici siano risultati valutati meglio dei vini biologici. Con i primi a essersi assicurati una reputazione speciale per qualità nonostante una certificazione che molti consumatori hanno ancora difficoltà a comprendere nei suoi tratti identitari. E anche sul lato comunicativo mainstream, il bio riceve sempre più spazio e attenzione: vedi il caso dei 20 migliori vini al mondo sotto i 20 dollari consigliati nel 2020 da Eric Asimov (New York Times), che contava 9 etichette biologiche.

A conferma del successo del bio anche tra i produttori, che sempre più si avvicinano con orgoglio a questo ambito, le parole di Silvano Brescianini, che ha indicato il punto di partenza fondamentale di ogni discussione intorno al tema biologico: quello della certificazione. È infatti soltanto il riconoscimento di un ente terzo a offrire le garanzie necessarie in tema di sostenibilità e qualità, come evidenziato anche dalla ricerca sulle guide francesi con l’equiparazione delle etichette da pratiche green autodefinite ai risultati ottenuti dai vini convenzionali.

Ma l’ambizione del produttore bio è, ancora prima che fare un prodotto biologico, quello di avere da proporre un vino buono da presentare al pubblico. E per Brescianini, proprio la strada del bio è il miglior viatico per raggiungere questo traguardo ultimo. Dal 1991, anno della prima legge europea sul bio, a oggi, molto è infatti cambiato in termini di cultura e pratiche rispetto alla produzione biologica di vino. E l’esperienza apportata anche dalle grandi realtà offre uno spunto in più per un ulteriore sviluppo futuro. Con la specificità territoriale che non può che essere esaltata da una cura del vigneto che segue le pratiche bio.

 

 

Quella specificità che solo chi vive l’agricoltura in maniera diretta può concepire e comprendere. Con la comprensione dei giusti equilibri che è ormai indispensabile, come evidenziato da Ivo Nardi. A fronte della salvaguardia della complessità dell’ecosistema, infatti, quelle da creare sono le condizioni per raggiungere una qualità ormai riconosciuta anche sotto il profilo produttivo. Una superiorità esplicitata dagli studi, ha sottolineato Nardi citando proprio le ricerche presentate all’inizio, ma che col passare del tempo è divenuta sempre più evidente anche dall’esperienza diretta del produttore. Con l’azienda bio che parla di sostenibilità a 360°, coinvolgendo anche l’ambito economico, soprattutto laddove si pone quale esempio virtuoso di remunerazione dello sforzo di chi opera in vigna e in cantina.

L’intervento di Nicola Venditi ha posto al centro i passi in avanti fatti dalla viticoltura bio negli ultimi decenni. Evidenziando quello che è l’apporto sempre più decisivo che la tecnologica offre a sostegno della cura della vigna in modo naturale. Un elemento fondamentale per conservare nel corso degli anni una costanza sul lato qualitativo nella produzione di uve sopra gli standard richiesti normalmente. Una qualità sempre più riconosciuta dai consumatori, che stanno dettando un trend che in futuro condurrà sempre più realtà sul cammino del biologico e del biodinamico.

A fronte di quest’ultima considerazione, decisiva in futuro risulterà la percezione che chi acquista e beve vino avrà dei termini utilizzati per indicare le produzioni sostenibili. E proprio il vino è un prodotto, come evidenziato dall’analisi della professoressa Debora Viviana, che amplia gli orizzonti rispetto alla propria definizione. Apre, infatti, a un immaginario che spazia fino a decisivi spunti culturali ben percepiti anche dal consumatore meno esperto.Una considerazione che è approfondita e ampliata ulteriormente dal biologico, oggi più in voga che mai, a fronte della rinnovata attenzione verso i temi della salute e della genuinità su cui la pandemia ha accentuato l’attenzione di tutti. E sotto questo punto di vista, il biologico s’innesta alla perfezione anche all’interno del filone della personalizzazione dei consumi e dell’offerta, sposando con i suoi tratti unici quanto sempre più oggi ricercato dai consumatori.

+info: www.vinitaly.com

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