Corporate e Comunicazione prodotto
A cura di Assobirra
In Occasione del Centenario dell’associazione www.assobirra.it
documento messo a disposizione della stampa per la divulgazione al pubblico
SOMMARIO: Centenario Assobirra – Chi beve birra campa cent’anni – 1907 nasce l’Unione dei fabbricanti di birra – Nel 1929 la prima campagna collettiva – Il boom dei primi anni Settanta e l’arrivo di Arbore – La concentrazione e la diversificazione dell’offerta – La birra italiana oggi
Rifer. temporale: autunno 2007
Centenario Assobirra
Proprio nei mesi in cui la birra comincia a diventare di casa anche nei ristoranti italiani, in occasione del suo centenario, Assobirra – Associazione degli Industriali della Birra e del Malto ripercorre la sua vicenda per riflettere sul presente e sul futuro prossimo di questa bevanda, sempre più di tendenza… Da “ bibita gassata per l’estate”, fino all’attuale immagine di prodotto trendy, naturale e versatile, protagonista di corsi e degustazioni, compatibile con la dieta mediterranea e il concetto di sana e corretta alimentazione. Nel suo anno record (toccati i 30,3 litri pro capite annui) la birra è oggi sempre più amata e apprezzata dagli italiani e in particolare dal pubblico femminile che manifestano la voglia e il piacere di scoprirne gusto, stili e abbinamenti gastronomici creativi e fantasiosi, come quello con il pesce. Che si annuncia come la vera novità del 2007, almeno per il 40% dei nostri connazionali…
Chi beve birra campa cent’anni
“Chi beve birra campa cent’anni”. Così recitava la prima – e più famosa – campagna pubblicitaria collettiva della birra. E proprio cento anni fa, nel 1907, a sancire la nascita, nell’arco dei cinque o sei decenni precedenti, dell’industria della birra in Italia, partiva l’avventura dell’associazione nazionale dei produttori di birra. In occasione di questo anniversario Assobirra ha deciso di raccontare un secolo di vita di questa bevanda nel nostro Paese, per ri-scoprire come è cambiato, e cresciuto, il vitale rapporto degli italiani con la birra, mettendo a fuoco l’evoluzione dei consumi e delle tendenze che ruotano attorno a questa bevanda.
Da quando la birra era cosa per “ricchi” (bevuta nei “café chantant” stile liberty) e l’industria lavorava solo 3 mesi l’anno (da qui la definizione: “industria dei 100 giorni”), all’oggi, che parla di un prodotto apprezzato da 3 italiani su 4 e di una nuova, imminente, stagione gourmet della birra… col “freddo artificiale” a fine Ottocento nasce l’industria della birra in Italia
Per farsi conoscere – e apprezzare – dagli italiani, la birra deve attendere la fine dell’Ottocento e alcune fondamentali scoperte tecnologiche e scientifiche, quali la macchina a vapore, la macchina per il ghiaccio di Linde, il frigorifero e gli studi sulla microbiologia di Pasteur e Hansen. Una serie di circostanze che hanno permesso il cruciale passaggio da una fase prettamente artigianale e “locale” – si produceva soprattutto birra a alta fermentazione, che andava consumata nel giro di pochi giorni – a una produzione su larga scala, basata sul metodo della bassa fermentazione (possibile solo a basse temperature), in grado di “proteggere” la birra e permettere al prodotto di maturare più a lungo e essere conservata e consumata anche a distanza di diversi mesi.
Fino ad allora infatti i birrai erano costretti a cercare direttamente in natura la bassa temperatura necessaria per avviare il processo di fabbricazione, motivo per cui è nel Nord Italia che si ritrovano le nostre radici brassicole. Mentre, grazie al “freddo artificiale”, l’industria birraria può finalmente nascere e svilupparsi. È l’inizio di un’epopea avvincente ma in qualche modo anche drammatica. Inizialmente la competitività del comparto risente della sua frammentazione: sono 95 le aziende birrarie attive a inizio del secolo scorso (oggi sono in tutto 16) e producevano complessivamente poco più di 163 mila ettolitri di birra.
1907 nasce l’Unione dei fabbricanti di birra
Nel 1907 si costituisce l’Unione dei fabbricanti di birra, per tutelare il settore In Italia si produce – a caro prezzo – poca birra per pochi estimatori. In questo scenario ancora da delineare nasce nel 1907 l’Unione dei fabbricanti di birra, che si è subito assunta un ruolo di mediazione e coordinamento trai birrai italiani, anche attraverso un house organ ante litteram – chiamato, ovviamente, “La birra”. Diverse e fondamentali le sfide che il neonato settore si trovava ad affrontare, decidendo appunto di fare “fronte comune”. In primis la dipendenza quasi totale dall’estero per la materia prima necessaria alla produzione, il malto, ma anche la forte pressione fiscale che fin dalle origini costituisce un’amara costante per la birra italiana.
Lentamente ma inesorabilmente, in quegli anni la birra diventa di moda negli ambienti altoborghesi e cosmopoliti, che sorseggiano una “bionda” o una “monaco” nei caffè chantant stile liberty o negli chalet-birreria costruiti vicino alle fabbriche. Gli anni tra il 1900 e il 1925 vedono una crescita costante nell’apprezzamento di questo prodotto, una vera e propria età dell’oro in cui la birra riesce a conquistare anche le fasce più popolari della popolazione senza però uscire dai caffè e dai ristoranti.
Ma il risveglio è brusco e doloroso: nei quattro anni tra il 1920 e il 1924 sestuplicano le imposte di fabbricazione e licenze d’esercizio sulla birra e nel 1925 piovono sulla birra pesanti provvedimenti fiscali straordinari dietro i quali, forse, si celava la forte lobby dei produttori di vino, preoccupata dell’ascesa della birra. Alle tasse si somma la “battaglia del grano” del regime fascista, che porta via vaste aree alla coltivazione dell’orzo, con gravi danni per la neonata industria maltaria nazionale.
Nel 1929 la prima campagna collettiva:
E nel 1929 la prima campagna collettiva: “chi beve birra campa 100 anni” Crollano produzione e consumi, ma in piena crisi l’associazione dei produttori si fa promotrice di un decisivo “Patto di rispetto della clientela”, per non spingere i prezzi ad eccessi ingiustificati. E per risalire la china lancia la prima campagna pubblicitaria collettiva invitando ad allargare le occasioni di consumo, per esempio bevendo birra a tavola. Alle massaie italiane si ricordavano gli elevati valori nutrizionali della birra, paragonandoli a quelli della carne, del pane, del latte. È il 1929 e viene coniato lo slogan “Chi beve birra campa cent’anni”.
L’headline recitava, testualmente: “Bevetela durante i pasti. Facilmente digeribile, contenente sostanze toniche e nutrienti, la birra è indicata durante i pasti, anche per le donne, vecchi e bambini. Assicura sonni tranquilli e umore lieto”. Certo, oggi sarebbe impensabile promuovere il consumo di alcol dei bambini… Ma le cose del passato vanno viste con gli occhi del passato e all’epoca quel messaggio fu un’idea pubblicitaria geniale.Un primo, memorabile incontro con il mondo della pubblicità e della comunicazione, che la rifondata Associazione – che a partire dal 1977 prende il nome di Assobirra – rinnova e sviluppa dal secondo dopoguerra fino ai giorni nostri. Allora il consumo di birra si limitava al solo periodo estivo e veniva inserita mentalmente fra le comuni bevande dissetanti, come le bibite gassate, e come tale consumata al banco. D’inverno le fabbriche chiudevano (e per questo l’industria era definita dei 100 giorni), dedicandosi alla manutenzione delle strutture. In altre parole, passata l’estate, passata la birra. Insomma, negli anni Cinquanta al Belpaese mancava ancora una vera e propria cultura del prodotto birra.
Le soluzioni adottate per comunicare la birra e le sue caratteristiche – e moltiplicarne le occasioni di consumo tutto l’anno – sono articolate e fantasiose: come il mitico “camion bar” di fine anni Cinquanta, che arrivava strombazzando nelle piazze principali di città e paesi, offrendo a tutti un calice di birra in assaggio gratuito spiegando qualità e proprietà della bevanda. E, naturalmente, la scoperta della televisione e di Carosello: qui la birra parlava per bocca di famosi testimonial come Fred Buscaglione e la prorompente bionda Anita Ekberg, dove al posto del classico “Che bambola!” il cantante torinese se ne esce con un “Che birra!”; canta “Amado mio” assieme alla mora Mina in versione Rita Hayworth (1961-64), al grido di “bionda o bruna, basta che sia birra”; fa sorridere con Ugo Tognazzi (1964-65).
Il boom dei primi anni Settanta e l’arrivo di Arbore
In questi anni, anche grazie all’arrivo dei frigoriferi nelle case degli italiani, dopo i bar la bionda bevanda può finalmente accedere al canale alimentare e raggiungere così con facilità le famiglie. In un solo anno, tra il 1972 e il 1973, la produzione passa da meno di 7 a oltre 9 milioni di ettolitri (+31,7%) con un consumo procapite che cresce da 12,6 litri a 16,5 litri pro capite annui. Finalmente i consumatori comprendono lo spirito della birra, nobilitandola nella sua giusta dimensione. Si comincia a capire che non ha nulla a che vedere con le bevande gassate, ma può essere consumata a tavola con qualsiasi pietanza.
Cambiano i canali di vendita, cambia il tono della comunicazione. Negli anni Settanta e Ottanta la comunicazione promossa da Assobirra verte sul problema dei coloranti nelle bibite, ritenuti altamente cancerogeni. I produttori di birra dovevano chiarire, una volta per tutte, che la bevanda d’orzo . naturalissima per ingredienti e sistema di produzione – non utilizzava nessun tipo di colorante. In questa circostanza il volto della birra doveva essere rassicurante e autorevole… e allo stesso tempo capace di non prendersi troppo sul serio. Et voila, il carismatico Renzo Arbore, che sulle virtù della birra invitava a “meditare”, sussurrando il suo celebre “Birra… e sai cosa bevi”, a conclusione di una serie di messaggi chiave sulla sua bontà a tavola, il piacere di averla in casa per offrirla agli amici, il basso tasso alcolico, la notevole digeribilità e la naturalità del prodotto
La concentrazione e la diversificazione dell’offerta
Gli ultimi trent’anni sono stati caratterizzati da un ininterrotto processo di ammodernamento e potenziamento degli impianti, anche attraverso la concentrazione dalla produzione su grandi unità, che ha incrementato l’efficienza produttiva. Un percorso agevolato, del resto, dall’ingresso dei grandi gruppi birrari mondiali (Heineken, Sab Miller, Carlsberg, InBev) nel mercato italiano, attraverso fusioni e acquisizioni che hanno riguardato la maggioranza o consistenti pacchetti azionari di diversi marchi prestigiosi italiani. Il capitale straniero ha contribuito alla crescita e allo sviluppo del settore birrario, assicurando però continuità alla storia dei brand più antichi e prestigiosi, che oggi continuano a popolare gli scaffali della grande distribuzione.
Il ruolo di questo canale di vendita è cresciuto di quasi il 30% solo nell’ultimo decennio. Oggi il 50,9% della birra si vende nei supermercati e negli ipermercati (contro il 42% del 1996), mentre il peso dei piccoli negozi è crollato dal 16% al 6,6% e quello dei canali horeca (bar, ristoranti, pizzerie) è rimasto stabile, con valori attorno al 42,5%.
Altro elemento interessante, e forse poco noto. Se oggi si contano circa 200 marchi/prodotti che fanno capo alle principali aziende birrarie (che sono, nell’ordine delle quote di mercato: Heineken Italia, Birra Peroni, Inbev Italia, Carlsberg Italia, Birra Castello, Forst, Menabrea e Hausbrandt-Theresianer), 10 anni fa se ne contavano meno della metà, 86 in tutto.La concentrazione delle logiche produttive non si è dunque tradotta in un impoverimento dell’offerta, che invece si è anche potuta arricchire delle più prestigiose birre estere portate in dotazione dalle aziende multinazionali arrivate in Italia, a partire dalla fine degli anni Settanta.
Il mondo birrario italiano è dunque un settore dinamico e capace di rinnovarsi senza dimenticare le proprie radici, dove resistono solidamente alcune antiche realtà come Forst o Menabrea e si sviluppano nuove avventure imprenditoriali che guardano al futuro senza dimenticare il passato: è il caso della Hausbrandt, capace di rilanciare dopo un lungo letargo lo storico marchio triestino Theresianer; o la Birra Castello di Udine, che nel 2005 ha rilevato la storica birreria Pedavena di Feltre.Nel 2006 crescono i consumi (+3%) toccando quota 30,3 litri pro capite annui
La birra italiana oggi
Ma qual è l’oggi della birra, a cento anni dalla nascita di una solida industria nazionale? Dati Assobirra (tratti dall’Annual Report 2006) alla mano, la situazione attuale del “prodotto birra” in Italia è incoraggiante. Sembra intravedersi una quarta età dell’oro: dopo quella della fine anni Venti, dei primissimi anni Settanta e un po’ di tutti gli anni Ottanta. Nel 2006 i consumi hanno segnato (pur restando all’ultimo posto in Europa, dove la media di consumo pro capite annuo sfiora i 78 litri) un buon trend di crescita, toccando i 30,3 litri pro capite. Registrando un +3% circa, dopo anni di stasi o di crescite ai decimali.
Interessante anche la bilancia tra import e export. Il sensibile incremento delle importazioni, quasi 6 milioni di ettolitri e +10,6% rispetto al 2005, è soprattutto conseguenza dell’inasprimento dell’imposizione fiscale sulla birra, che in 24 mesi, tra il 2004 e il 2006, è aumentata addirittura del 82% favorendo così dal punto di vista del prezzo le birre d’importazione. Basti pensare che in Italia il livello dell’accisa è di circa 2-3 volte superiore a quello vigente nei Paesi limitrofi grandi produttori di birra, quali Germania, Francia, Spagna, e nuovi Paesi membri dell’Europa centro orientale, i cui operatori, con pratiche elusive che sfruttano il forte differenziale fiscale, riescono ad esportare nel nostro Paese birra a prezzi che mettono in particolar modo fuori mercato i produttori nazionali nelle fasce di prezzo più economiche.
Per contro, il trend altrettanto positivo delle esportazioni (+9,1%) di prodotto italiano testimonia la forza e la vitalità dell’industria italiana della birra: l’Italia è al nono posto nella classifica dei Paesi produttori di birra dell’Unione Europea.
Makno 2007: nei consumi fuori casa la birra è ormai testa a testa con il vino
Il panorama si fa ancora più positivo (e interessante) incrociando questi risultati, puramente quantitativi, con le conclusioni dell’indagine Makno-Assobirra 2007, che spiega perché la birra è sempre più una bevanda di tendenza: si allarga infatti l’universo dei suoi estimatori (il 68,9% degli italiani), che dichiara di bere birra perché ne apprezza sempre più il gusto (con il 54,2% dei consensi), legato ai concetti di bontà, naturalità e sicurezza. E ad uno stile di consumo all’insegna della moderazione e del bere responsabile.
A rappresentare lo zoccolo duro dei consumatori sono infatti i bevitori “sporadici”, con un approccio all’insegna della curiosità e dello sfizio. Ma cresce anche, superati certi antichi pregiudizi, l’interesse “al femminile” per la birra: il popolo delle consumatrici passa dal 53,1% al 54,5%, con punte del 63% nella fascia d’età tra i 35 e i 44 anni.
Del resto, da anni il settore adotta una “Alcohol policy” che distingue tra consumo responsabile e non responsabile di birra, con iniziative mirate verso le categorie più a rischio (minori, donne in gravidanza, cardiopatici, chi si mette alla guida).
A proposito di tabù infranti, si registra addirittura, al termine di rincorsa durata quattro o cinque anni, uno storico testa a testa con il vino, impensabile solo alcuni anni fa. Anzi, nei pasti fuori casa dei giorni feriali, a sorpresa, la birra “batte” il vino nelle preferenze degli italiani (19,8% contro 18,8%). Le posizioni si invertono quando passiamo ad esaminare il consumo di bevande alcoliche, sempre durante i pasti fuori casa, ma nel week-end. Il vino si afferma con il 43,6% contro 38,9% della birra, ma vede dimezzato lo scarto rispetto a quest’ultima: nemmeno 5 punti percentuali nel 2006 a fronte degli oltre 10 punti percentuali (46,6% per il vino, 37,4% per la birra) del 2005.
Insomma, c’è sempre più curiosità e interesse per la birra nella vita degli italiani, che finalmente la associano ai moderni stili di vita e di alimentazione. Per il 44% degli italiani (in crescita) è compatibile con la dieta mediterranea e con l’idea di un consumo durante i pasti, sia a casa che fuori. Mentre molti ristoranti propongono, accanto alla tradizionale carta dei vini, anche una Carta delle birre. Grazie al ”segnale” lanciato dalle gradi Guide dei Ristoranti (Gambero Rosso e L’Espresso) che hanno voluto “sdoganare” questa bevanda segnalando i ristoranti che la offrono (la prima) e premiando chi la propone e la serve al meglio (la seconda). L’ultima frontiera di questo 2007, così come emerge dall’indagine Makno, un – apparentemente – inedito abbinamento: birra e pesce, al quale guarda con interesse il 40% dei consumatori di birra. Che sembra sancire l’inizio della vera stagione “gourmet” della birra.
AZIENDE BIRRARIE ASSOCIATE AD ASSOBIRRA:
Birra Forst Spa Via Venosta 9
39022 Lagundo (Bolzano)
Tel 0473 260111
Fax 0473 448365
Birra Menabrea Spa
Via E. Ramella Germanin, 4
13051 Biella
Tel 015 2522320
Fax 015 2522350
Birra Peroni S.p.A.
Via Renato Birolli, 8
00155 ROMA
Tel. 06/225441 – Fax. 06/2283445
Carlsberg Italia S.p.A.
Via Ramazzotti 12
20020 LAINATE MILANO
Tel 0293536911 – Fax 0293536412
Castello di Udine Spa
Via E. Fermi 42
33058 S. Giorgio di Nogaro (UD)
Tel. +39 0431 626811
Fax +39 0431 626833
Hausbrandt Trieste 1892 Spa
Via Foscarini 52
31040 Nervesa della Battaglia (TV)
Tel. +39 0422 8891
Fax +39 0422 8892260
Heineken Italia S.p.A.
Viale Monza 347
20126 MILANO
Tel. 02/270761 – Fax 02/27076515
INBEV Italia S.r.l.
Piazza Francesco Buffoni 3
21013 GALLARATE VA
Tel 0331268411 – Fax 0331268505
AZIENDE MALTARIE ASSOCIATE:
Malteria Agroalimentare Sud S.p.A. Zona Industriale – Loc. S. Nicola
85025 MELFI PZ
Tel. 0972/78304 – Fax 0972/78031
Malteria Saplo S.p.A.
Via Naro, 39
00040 POMEZIA
Tel. 06/9120194 – Fax 06/9120116
Assobirra –
Associazione degli Industriali della Birra e del Malto
Sede Centrale
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00144 – Roma
tel. 06 54.39.32
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