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Lorenzo Dabove (a.k.a. Kuaska)
Direttore culturale di Unionbirrai
Degustatore Professionale di Birre
Life Member of CAMRA
www.kuaska.it

Pubblicato sull’Annuario INFOBIRRA 2007-08 beverfood srl


SOMMARIO:
Introduzione – Il mio stretto rapporto con il mondo delle birre artigianali americane

Riferimento temporale maggio 2008-06-10

Come, in poco più di vent’anni, il movimento della birra artigianale d’oltreoceano ha rivoluzionato le abitudini dei consumatori locali e tracciato un’entusiasmante via, presa ad esempio da numerosi Paesi, Italia in testa.

Introduzione

La birra artigianale americana ha meritatamente raggiunto un’incontrastata posizione di leadership mondiale dal punto di vista della qualità e della varietà, fattori che ad un degustatore “estremista” come me contano assai di più di aridi dati di mercato. Questa affermazione potrà sorprendere i meno informati, coloro che in questo mondo vivono nella loro torre d’avorio, arroccati su posizioni e convinzioni a dir poco superate ed anacronistiche. Lo sa benissimo invece chi, nell’era di internet, sa tenersi sempre aggiornato e tastare “on line” il polso di questo mondo che sembra scuotersi ed uscire da un preoccupante ristagno.

Gli artigiani d’oltreoceano sono i protagonisti, a partire da inizio anni 80, dell’entusiasmante movimento giustamente ed orgogliosamente denominato “Renaissance”. Si era giunti ad un preoccupante punto di non ritorno dovuto allo appiattimento delle capacità sensoriali e gustative del consumatore americano. Erano ormai del tutto scomparse le sapide birre prodotte con amore in sperdute “farmhouse” – nei lunghi, inoperosi inverni – dai “farmers” immigrati, provenienti da tutto il mondo, che avevano portato con sè oltre alla nostalgia, le ricette delle loro tradizionali, amatissime birre. Sul mercato, e conseguentemente nelle assetate gole degli americani, imperavano insipide “light lager” rigorosamente filtrate e pastorizzate, dagli aromi e sapori praticamente inesistenti, con quella “strana” pianta rampicante chiamata luppolo vista come un abusivo e pericoloso inquilino.

All’inizio i pionieri producevano solo imitazioni di stili scoperti e amati durante i viaggi in Europa. Era facile intuire, per ogni produttore, dove avesse “visto la luce”. Se produceva pils, bock, weizen ecc. ebbe la sua “iniziazione” in qualche biergarten bavarese. Se invece produceva bitter, India Pale ale (IPA), porter e stout aveva chiaramente contratto il “germe” nel Regno Unito mentre se proponeva una specialità saison o una bière blanche era lampante come fossero stati i caffé d’atmosfera belgi i luoghi sacri della sua “rivelazione”!

Non si poteva ancor parlare di stili americani ma oggi, dopo oltre un quarto di secolo, abbiamo oltre venti stili autoctoni “made in USA”. Curioso sottolineare come alcuni di questi stili siano poi degli affinamenti, più che delle mere interpretazioni, di stili caduti in disgrazia nei paesi di origine come le American Pale Ale e le Imperial Stout, solo per fare i due esempi più significativi.

Ancor più curioso notare come molti stimati produttori europei si stiano oggi palesemente ispirando agli “ex-allievi” come testimoniano le iper-luppolate ales prodotte in Belgio, Scandinavia e, dulcis in fundo, in Italia. L’evoluzione qualitativa, affiancata passo passo da quella quantitativa, ha portato i birrai artigianali USA ad essere i protagonisti dell’attuale scena della birra di qualità.

Il mio stretto rapporto con il mondo delle birre artigianali americane

Il mio primo serio rapporto con le nuove birre artigianali americane risale all’inizio degli anni novanta, con le prime ales portatemi da amici e colleghi di ufficio. Le californiane Liberty Ale del pioniere Fritz Maytag della Anchor Steam e la Sierra Nevada Pale Ale furono “gli attrezzi” della mia prima “palestra” di allenamento ai nuovi aromatici, divini luppoli provenienti dalla West Coast. I sentori di pompelmo e di resinoso tipici del Cascade mi conquistarono sin dai primi assaggi. Durante un viaggio nel 1995 a New York, San Francisco e Los Angeles cominciai a capire che qualcosa di dirompente stava succedendo. Lavorando da oltre quindici anni ormai al GBBF (Great British Beer Festival) di Londra nell’agguerrita sezione BSF (Bières Sans Frontières) dedicata alle birre extra-britanniche, ho avuto l’opportunità di poter degustare in anteprima un gran numero di birre di piccoli produttori statunitensi, sapientemente e amorevolmente selezionate dal caro amico Johnatan Tuttle, barbuto gigante buono del Massachusset.

Un altro passo decisivo l’ho compiuto poi grazie al mitico Charlie Papazian, padre del movimento americano, che da tempo partecipa attivamente con uno stuolo di bravi e simpatici birrai e collaboratori, ai principali eventi italiani come Pianeta Birra di Rimini e il Salone del Gusto di Torino.

Ma è stato indubbiamente dal 2004, cioè da quando vengo regolarmente chiamato a far parte della prestigiosa giuria della World Beer Cup, che le mie conoscenze, sposate ad una genuina e spontanea fratellanza con gli artigiani più spericolati, sono esponenzialmente cresciute sino a conferirmi una popolarità e stima a volte imbarazzanti, come avvenne nel mio ultimo viaggio nel novembre 2006 nella East Coast per una dura ma appagante tournée caratterizzata da ben sedici degustazioni pubbliche in soli sette giorni. Penso di essere l’italiano che ha provato più birre americane in assoluto. Sono stato letteralmente “adottato” e confesso di essermi ormai irreversibilmente innamorato di questo straordinario mondo.

Fare il giudice, specie in categorie prettamente americane come le pale ale, mi ha permesso di affinare le mie capacità e la mia apertura mentale. L’atmosfera è semplicemente fantastica. Noi giudici, impegnati e concentrati su più di 140 birre in quattro sessioni nel corso di due giorni, siamo coccolati e accuditi con alta professionalità dai solerti organizzatori e da competenti stewards, tanto che non ricordo un solo episodio negativo che potesse aver inficiato il mio metro di giudizio.

Che dire poi del GABF (Great American Beer Festival) che ogni autunno vede Denver diventare la capitale della birra di qualità americana? In un’atmosfera rilassata e decontratta si ha la possibilità di assaggiare un’infinità di birre che coprono praticamente tutti gli stili birrari del pianeta, dai classici e canonici a quelli più estremi ed inusuali.

Ho conosciuto tantissimi birrai, rimanendo impressionato – oltre che dalla loro bravura – dalla naturale predisposizione all’amicizia stretta coi colleghi, mai visti come dei rivali ma piuttosto come dei compagni di avventura coi quali instaurare un magnifico rapporto di stima e di reciproco apprendimento. Ho visto coi miei occhi birrai ormai affermati dispensare a piene mani consigli a giovani “beginners”.

Oltre ad avere avuto la possibilità di poter ripetutamente degustare birre provenienti da tutti gli stati americani, durante numerose visite in stati occidentali come Washington e California, centrali come il Colorado e orientali come Connecticut, Maryland, New York e D.C., ho potuto toccare con mano diverse realtà, tutte esaltanti e rivelatrici di come la birra artigianale stia gradatamente penetrando nella vita quotidiana degli americani.

Sugli scaffali dei supermercati, ancora dominati dalle anonime lager delle multinazionali, troviamo abitualmente una vasta gamma di birre artigianali, cosa che da tempo io auspico, con molte resistenze da parte dei nostri più affermati birrai, anche nel nostro paese. Affermati gestori di fornitissimi wine-shop cominciano a dedicare ampi spazi a birre artigianali, selezionate con la stessa cura profusa per i più classici e prestigiosi vini

Birre di piccoli produttori si trovano spesso in luoghi inaspettati, dalle bancarelle dei mercati di strada alle
caffetterie dei musei e persino nei bar degli aeroporti come, ad esempio quello trafficatissimo di Atlanta, dove al gate T-4 potrete assaggiare, nella Red Brick Tavern, una buona pinta di Peachtree Pale Ale della locale microbirreria Atlanta Brewing Company. Logico quindi dedurre come nei luoghi “deputati” come pub e brewpub, gli appassionati possano toccare il paradiso con un dito. In alcuni stati l’offerta è così vasta e variegata da lasciare a bocca aperta anche i più smaliziati esperti provenienti da tutta Europa.

Ricordo la Tap House di Bellevue vicino a Seattle, consigliatami dal geniale birraio Arville Harris della Issaquah Brewery, dove per poter operare una scelta ho studiato per almeno un quarto d’ora l’impressionante lista di 160 birre alla spina, tutte disponibili! E quello non è certo un caso isolato. Voglio farvi venire una voglia matta di programmare le vostre future vacanze “a tutta birra” negli Stati Uniti, indicandovi i miei posti preferiti, templi riconosciuti o minuscoli caffè, dove poter passare delle ore indimenticabili.

Comincio da ovest, dal fantastico pub O’Brien di San Diego il cui proprietario Tom Nickel, mio caro amico, è anche uno dei più audaci birrai americani come dimostra la sua scioccante Hop Juice di oltre cento unità di amaro. A Solana Beach non fate surf ma estasiatevi da Pizza Port dove il leggendario Tomme Arthur saprà conquistarvi con la sua barricata Cuvée de Tomme. Salite poi a San Francisco al magnifico pub Toronado e lasciatevi “torturare” da David Keene e dal suo competentissimo staff. Sempre in California – ma un po’ più su, a Santa Rosa – non perdete assolutamente il mitico Russian River brewpub dove potrete scoprire il magico mondo di Vinnie Cilurzo

Dopo aver percorso l’esaltante Oregon che trasuda birra da tutti i pori, fate un salto nella affascinante Seattle e lì non mancate brewpub di alta qualità come Elysian, Hale’s, Big Time ma soprattutto il sontuoso Brouwers Café, di chiara ispirazione belga, con 50 spine e 200 bottiglie. Ciliegina sulla torta sarà poi programmare una visita istruttiva alle coltivazioni di luppolo nella vicina Yakima Valley. Spostatevi più al centro, nel suggestivo stato del Colorado, magari in autunno quando le Montagne Rocciose si tingono di mille colori e soprattutto quando si svolge il Great American Beer Festival di Denver. Nella “One Mile High Town” correte subito al Falling Rock e lasciatevi frastornare dalle oltre sessanta birre alla spina

Fate due passi, si fa per dire, e approdate alla Wynkoop Brewing Company dove l’ottima “oktoberfest beer” Railyard Ale vi proverà come i birrai americani abbiano saputo non solo reinterpretare stili europei ma in alcuni casi addirittura migliorarli. Non lasciate la città prima di aver visitato i bar delle qualitative micro Flying Dog, provate la luppolatissima Wild Dog Double Pale Ale 2004 e Great Divide, qui non perdete la potente Yeti Imperial Stout nella versione “oak aged” cioè maturata in pregiate botti di legno di rovere Nei dintorni, tappa d’obbligo è Boulder, sede della Brewers Association.

Qui tra le mille tentazioni non mancate la Avery Brewing dove il caro amico Adam vi delizierà con birre di altissima qualità tra le quali spicca “The Beast”, una bestia che vi azzannerà con i suoi 15 gradi alcolici. Il Colorado, autentico paradiso per i beerlovers, ci regala poi la favolosa Left Hand di Logmont dove il nostro amico Eric Wallace, che parla un italiano perfetto con curioso e deciso accento friulano assorbito dalla bella moglie, vi accoglierà alla grande con le sue ottime birre, partendo dalla dissetante e cremosa Milk Stout con aggiunta di lattosio. Concludo con le mie ultime “dritte” in zona: buona musica e grandi birre in lattina (lo so, è contro la mia filosofia… ma vi assicuro, sono davvero grandi!) all’Oskar Blues brewpub di Lyons e atmosfera “very English” al raffinato Cheshire Cat brewpub di Arvada dove il grande Charles Sturdavant, mastro-birraio pure alla Golden City Brewery, dimostra il suo immenso talento.

Infine è d’obbligo una piccola deviazione verso Fort Collins per apprezzare le straordinarie birre del maestro fiammingo Peter Bouckaert (ex Rodenbach!) che nella New Belgium Brewing ha trovato l’ambiente ideale per produrre birre acide come la pluripremiata barricata La Folie o nuovissime sperimentazioni con l’aggiunta di ingredienti davvero inusuali come wu-wei-zi (bacche di Schizandra Chinensis), bacche di goji e addirituura l’Artemisia Absinthium.

Chiudiamo la carrellata con l’East Coast che, gelosa della leadership della costa occidentale, sta rapidamente ricucendo il gap almeno dal punto di vista qualitativo. Partendo da sud, dal Maryland, non fatevi sfuggire due locali della bella Baltimora, l’elegante Brewer’s Art rinomato per l’ottimo cibo e soprattutto per le birre prodotte dal mastro-birraio Chris Cashell che si supera con un’ottima “dubbel d’Abbazia” battezzata con il nome Resurrection. Per una lista da sballo, andate con fiducia da Max’s on Broadway con un centinaio di birre in fusto ironicamente definite da un cartello luminoso come “prescrizioni”!

Nel minuscolo Delaware lasciatevi rapire dall’immenso Sam Calagione, vedi lunga intervista, creatore del gioiello chiamato “Dogfish Head”, fulgido esempio “a stelle e strisce” di come si può diventare un imprenditore di successo senza dover accettare compromessi con la qualità e dover snaturare la propria filosofia di vita. Philadelphia vi ammalierà con il Ludwig’s Garten e il Grey Lodge Pub ma vi stregherà con lo straordinario Monk’s Cafè gestito con amore e grande passione dal rubicondo Tom Peters

Giunti a New York, avrete solo l’imbarazzo della scelta. Vi segnalo templi come Gingerman, Barcade, Hop Devil Grill, Blind Tiger ma su tutti vi raccomando caldamente il fantastico Spuyten Duyvil a Brooklyn con una lista impressionante per rarità e continue novità che sa procurarsi il competente Joe Carroll Non lasciate Brooklyn senza aver visitato l’omonima celebre birreria dove officia il mitico Oliver Garrett, grande pioniere del movimento e uno dei maggiori specialisti nell’abbinamento birra-cibo, tanto in auge ora negli States e non solo (Italia ovviamente in pole-position). Il suo best seller “The Brewmaster’s Table non dovrebbe mai mancare nella biblioteca di ogni appassionato.

Il nostro viaggio è ormai alla fine ma dopo una fugace passaggio nel ricco Connecticut per una cena pirotecnica con arditi abbinamenti di birre e cibi all’Half Door Pub della capitale Hartford, approdate nel Massachussets dove, tra le mille tentazioni di Boston e dintorni, vi esorto a correre in due pub straordinari come The Moan and Dove di Amherst e The Publick House di Brookline, elettii migliori pub d’America dagli appassionati che gravitano attorno al celebre sito “Beer Advocate”. Il bicchiere della staffa lo troverete “col botto” a Portland nel Maine, alla rinomata Allagash Brewing Company dove il talento di Rob Tod ci ha regalato, oltre la celeberrima Allagash White, una Interlude rifermentata in bottiglia, dotata di una spiccata vinosità, conferita da un’accurata maturazione in botti di rovere francese.

Vi ho fatto venire la voglia di varcare l’oceano a caccia di grandi birre, vero? Nel frattempo potrete esercitarvi a casa vostra o nei migliori pubs e beer-shops nostrani con i prodotti finora importati come le citate Anchor Steam e Sierra Nevada, Sam Adams di Boston, le più che interessanti Rogue dall’Oregon, recentemente importate e tante altre che stanno per sbarcare sul vecchio continente, i cui appassionati beerlovers premono da tempo per averle nei propri bicchieri

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