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Consorzio di Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani: storia, territorio e vini


Il Consorzio è un organismo interprofessionale che riunisce al suo interno viticoltori, vinificatori e imbottigliatori. Da oltre settant’anni testimone e protagonista del percorso tecnico, economico e umano della realtà vitivinicola di Langa e Roero.

 

Storia e prospettive future

Già all’inizio del secolo scorso i vinificatori del Barolo e del Barbaresco sentirono l’esigenza di riunirsi per tutelare le loro produzioni: nel 1908 chiesero la creazione di un “certificato di origine” rilasciato da un’associazione che operasse sotto il controllo dell’amministrazione provinciale e del sindacato vinicolo piemontese. Solo nel 1924, però il Parlamento italiano promulgò la legge sui vini tipici e stabilì che le loro caratteristiche dovevano essere costanti e definite dagli statuti consortili.

Iniziarono così i lavori di preparazione per la costituzione del Consorzio di Difesa dei Vini Tipici di Pregio Barolo e Barbaresco, fondato ufficialmente nel 1934 con il compito di definire il contesto produttivo (la zona di origine, le uve e le caratteristiche del vino), vigilare contro frodi, adulterazioni e sleale concorrenza, promuovere la conoscenza dei vini, oltre a difenderne nome e qualità nelle sedi più opportune. Dopo la pausa dettata dagli eventi bellici, il Consorzio venne ricostituito nel 1947. Nel 1963 fu emanata la legge 930, che sanciva la nascita delle denominazioni di origine e definiva l’esatto ruolo dei Consorzi.

Da subito il Consorzio albese si adoperò per il riconoscimento alla Doc per Barolo e Barbaresco, che avvenne nel 1966, e in seguito per quello alla Docg, accordato nel 1980. Nel 1984 il Ministero dell’Agricoltura e Foreste affidò ufficialmente al Consorzio l’incarico di vigilanza sulla produzione dei due rossi d’eccellenza. Nel 1994, a seguito dell’emanazione della nuova legge sulle denominazioni di origine dei vini, la n.164 del 1992, l’antico ente di tutela fu trasformato nell’attuale Consorzio Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Roero, allargando le sue competenze a tutte le denominazioni prodotte esclusivamente nelle Langhe e nel Roero. Oggi, quindi, l’ente si configura come un Consorzio di territorio e non solo di denominazione.



La tutela esercitata sui vini di Langa e Roero si è perfezionata tra il 2007 e il 2009, quando il Ministero ha attribuito al Consorzio l’incarico di svolgere il Piano Controlli su tutte le Docg e le Doc di sua competenza. In questo modo non più solo Barolo e Barbaresco, ma anche Dogliani, Roero, Roero Arneis, Barbera d’Alba, Dolcetto (nelle sue varie tipologie), Langhe, Nebbiolo d’Alba e Verduno Pelaverga sono perfettamente garantiti sotto il profilo della tracciabilità. L’Unione Europea non riconosce però la “terzietà” della struttura consortile e quindi ogni tre anni i produttori devono affidare ad un Ente di Certificazione l’azione di controllo da loro stessi pagata secondo tabelle Ministeriali.

Per il triennio 2009-2012 il Consiglio d’Amministrazione del Consorzio ha affidato l’incarico alla società Valoritalia che opera su tutto il territorio nazionale e che ha concordato la massima condivisione dei dati raccolti al fine di pubblicare bollettini periodici a disposizione delle Imprese e della Stampa. L’internazionalizzazione dei mercati che caratterizza il nuovo millennio interroga la realtà produttiva piemontese e obbliga le istituzioni che la rappresentano a programmare il futuro in un contesto socio-economico in continuo mutamento.

La scelta della tradizione produttiva e dell’identità territoriale rimane indiscussa, ma deve necessariamente fare i conti con le prospettive poste dalla nuova politica europea, la cosiddetta OCM-Organizzazione Comunitaria di Mercato vino, e con le esigenze sempre più diversificate di acquirenti non solo europei o americani, ma anche di Paesi emergenti come quelli asiatici o est europei, portatori di abitudini e attitudini culturali differenti.

Lo spirito consortile affonda le radici in una serie di eventi, atti e volontà centenarie ed è basandosi su tale patrimonio storico che il Consorzio Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Roero si confronta con le sfide della modernità globale preparandosi a valorizzare i vini nel contesto del terzo millenio.

 

Le aziende

Su un territorio vitato totalmente collinare sono disseminati i circa cinquecento consorziati: tante aziende agricole e produttori medio-piccoli, alcune cooperative e qualche realtà industriale. Alcune di queste aziende aderiscono anche ad altri Consorzi che tutelano il vino “Moscato d’Asti e Asti Spumante” oppure lo spumante brut “Alte Langhe” o ancora il “Piemonte doc” per un totale di 15.000 ettari di vigneto.

I produttori di Langa e Roero coniugano magistralmente creatività artigiana, intraprendenza imprenditoriale e perseveranza nella ricerca della qualità. Sono gli eredi di una memoria spesso tramandata di generazione in generazione in quelle famiglie che da secoli rendono il vino piemontese celebre in tutto il mondo, ma anche le realtà innovatrici della produzione vitivinicola più moderna.

La presenza di tanti produttori, tra cui si trovano anche donne, giovani e stranieri che hanno deciso di fermarsi su questi pendii, ciascuno con un’identità e una filosofia ben definite, è uno dei tesori del nostro territorio. Significa diversità nelle tecniche di coltivazione della vite e nei processi di vinificazione, nei periodi e nelle modalità di affinamento dei vini, nell’approccio al mercato e nelle scelte commerciali, nell’organizzazione interna dell’azienda e nei principi che si scelgono per guidare lo sviluppo futuro della produzione.

In Consorzio le discussioni sono appassionate e rispecchiano la molteplicità dei punti di vista. Tutti, però condividono la consapevolezza che il ruolo del Consorzio è fondamentale per ciascuno di loro, perché permette a ogni azienda di operare in un regime di corretta e leale concorrenza e di rivolgersi a un consumatore sicuro di potere fare fede ad un’etichetta garantita.

 

Il territorio

Langhe e Roero, colline di Qualità

Colline su cui prospera stupendo il vigneto, disseminate di castelli, e di aspetto feudale. Vengono incontro con dolcezza, ma l’impressione di dolcezza dura un minuto. Guardandole bene si scorge, come di trasparenza, il loro fondo bianco, eroso, franoso. La loro attrattiva si accresce quanto più si precisa il fondo duro, violento, ma dissimulato da un velo di dolcezza superficiale.
(Da Viaggio in Italia di Guido Piovene, Mondadori, Milano 1957)

Così il giornalista Guido Piovene descriveva il paesaggio delle Langhe negli anni Cinquanta. A quell’epoca le genti del Piemonte meridionale soffrivano ancora gli ultimi strascichi di quella “malora” che per secoli aveva dominato la vita dei contadini: fame e miseria atavica, giornate scandite da un lavoro stremante i cui frutti erano alla totale mercé dei capricci del tempo, piogge o arsura che fossero.

I luccichii dell’improvvisa industrializzazione italiana svuotavano le cascine e richiamavano i giovani verso le città e il successo che parevano garantire. Il boom, però stava per scoppiare anche nei campi. Negli anni Settanta, e ancora più negli Ottanta, fare vino non fu più solo fatica e soddisfazione personale, ma divenne via via e per la prima volta attività profittevole e prestigiosa. Molti di quei figli di contadini che avevano cercato riscatto economico nelle fabbriche ritornarono sui terreni di famiglia per costruire tra i filari e nelle botti dei tesori che dessero sicurezza al loro futuro.

Rapidamente la realtà sociale ed economica delle Langhe mutò; Come notò Mario Soldati nel suo Vino al vino del 1975, “qui tutto ruota attorno al vino. Non sono gli abitanti della zona che monopolizzano un loro prodotto. È il prodotto della zona che monopolizza i suoi abitanti.” In questa regione il vino non è solo alimento o piacere del gusto, ma è anche fondamento della socialità è emozione per una storia che si perpetua e si rinnova in ogni bottiglia. La convivenza sociale e i valori delle genti di Langa e Roero non prescindono mai dalle tentazioni e dalle suggestioni che evoca il loro vino.

In queste terre esiste da sempre una sorta di simbiosi tra l’uomo e la vite, tanto che la mitologia, la pittura, la scultura e la poesia del luogo ne recano l’impronta. Testimonianze del radicamento profondo, ancestrale, della vite nella cultura locale sono le pietre antropomorfe poste a guardia dei filari ancora all’inizio del secolo XX. Solo due pali antropomorfi sono giunti fino a noi e sono ciò che rimane di oltre venti coppie di pali di testa che reggevano una vigna in Regione Paroldo, nella comunità di Vesime.

Questi piccoli “menhir” sono il segno tangibile di quella religiosità contadina intrisa di rispetto e timore reverenziali per la terra, istintivamente pagana e incline al culto della fertilità che è un universale umano. Dalle pietre emerse durante l’aratura il picapere scolpiva figure di uomini potenti e donne col ventre ingrossato, che il contadino fissava nel vigneto forse con la segreta speranza che lo aiutassero a raccogliere buoni frutti. La coltura della vite ha segnato una svolta anche nella storia del paesaggio.

In seguito allo straordinario e repentino successo commerciale di vini di maggior prestigio si è infatti affermata una monocoltura che ha riplasmato la fisionomia della Bassa Langa: i noccioleti e i boschi tradizionalmente presenti sono stati risospinti sull’Alta Langa, causando purtroppo qualche rischio per l’ambiente e un impoverimento della biodiversità La fatica del lavoro in vigna, per quanto trasformata, non è affatto scomparsa. I pendii scoscesi tipici dalle Langhe impongono ancora oggi un meticoloso lavoro manuale, sia nella potatura, sia nella raccolta delle uve. La mano sapiente dei viticoltori esperti è uno degli elementi fondamentali che assicurano la qualità dei prodotti di questa zona.

Da sempre le colline di Langhe e Roero, in provincia di Cuneo, sono una terra di vini, riconosciuta come patria della qualità. Alcuni dati ne esemplificano la realtà produttiva: quasi il 90% degli ettari vitati è iscritto agli Albi delle denominazioni d’origine e quindi offre la materia prima per Doc e Docg, una proporzione che è quasi invertita rispetto alla media italiana, ancora in gran parte concentrata (60%) su produzioni generiche.

Su un totale di 325 Doc prodotte in Italia, il Piemonte contribuisce con 44 (equivalente al 13,5%) e su 41 Docg, al Piemonte ne appartengono 12, cioè quasi un terzo del totale italiano (dati 2008). Il peso del settore vitivinicolo nelle Langhe si misura anche sul numero delle persone impiegate, circa 12.000, di cui 4.500 viticoltori e 1.200 vinificatori. Una delle ricchezze e specificità dell’enologia langarola è saper offrire sia nobili, potenti rossi da invecchiamento, sia vini di più pronta beva per accompagnare i pasti quotidiani, anche bianchi profumati.

Se confrontati sul mercato internazionale, i vini delle Langhe, di forte personalità e carattere, presentano un altro vantaggio: riescono ancora a offrire al consumatore un ottimo rapporto qualità prezzo. Il triangolo virtuoso che ha portato la zona delle Langhe a imporsi a livello mondiale ha ai suoi vertici l’equilibrio fra terreno e clima che definisce il terroir, la presenza di vitigni autoctoni che si esprimono in molteplici vini e l’intervento dell’uomo che trasforma con passione profonda e intelligenza i frutti della terra.

 

Il Terroir

Il territorio della Langa e del Roero è una delle regioni al mondo più generose per la qualità e la varietà delle produzioni vitivinicole. Le radici di tale eccezionalità vanno ricercate nella particolare collocazione geografica, nel clima vocato e nel ricco sottosuolo che contraddistinguono queste zone collinari e le rendono un ambiente con una abbondantissima biodiversità in Langa esistono, per esempio, ben 39 varietà di orchidee spontanee.

Le Langhe si trovano nella parte meridionale del Piemonte, a ridosso delle Alpi Marittime e dell’Appennino Ligure. Il nome, di origine celtica, significa “lingue di terra” e si riferisce alle colline allungate, spesso dai fianchi molto ripidi, disposte in modo da correre tra loro parallele a formare tante vallate profonde e strette. Le Langhe sono attraversate dal fiume Tanaro, che le separa in due zone: a nord il Roero (dal nome della famiglia che ne possedeva il feudo), a sud la Langa.

Le colline sono il tratto caratteristico dell’intero territorio, anche se assumono contorni leggermente diversi sulle due sponde del fiume: il Roero, infatti, è contraddistinto da suggestive rocche, ripide e scoscese pareti di roccia che si aprono all’improvviso nel paesaggio. La catena appenninica protegge i pendii collinari dalle correnti d’aria provenienti dal mare: gli influssi mediterranei si incrociano con quelli alpini che frenano le correnti da nord e così le montagne risultano un alleato naturale prezioso.

L’andamento climatico è ancora oggi uno dei fattori più determinanti dei risultati che si possono poi apprezzare nel bicchiere. Il vino di ogni annata è diverso e sarà irripetibile, potrà avere caratteri di longevità più o meno accentuata e tramanderà in maniera originale nel tempo le sue peculiarità La presenza di valli e colline che creano differenti condizioni microclimatiche e, più in generale, il clima temperato freddo continentale, caratterizzato da stagioni ben definite, consentono alle uve di esaltare aromi particolarmente fini e intensi.

Gli sbalzi termici tra il giorno e la notte durante la maturazione aumentano la concentrazione degli aromi nelle bucce e permettono di raggiungere un equilibrio tra i componenti dell’acino tale da originare vini di qualità strutturati, longevi e con una perfetta bevibilità I Tannini conferiscono infine una tipicità che va conosciuta ed apprezzata con la necessaria attenzione. La composizione del suolo langarolo deriva dal ritiro del Mare Padano, iniziato circa 16 milioni di anni fa. Il substrato, oggi, è caratterizzato da argille, marne calcaree, marne bluastre, tufo, sabbie e gessi solfiferi. L’alternanza di questi strati fa sì che le viti regalino vini di eccellente finezza, struttura ed eleganza.

Se il carattere calcareo-argilloso delle cosidette “terre bianche” prevalenti in Langa offre vini rossi di corpo, i terreni più sabbiosi e soffici del Roero permettono di produrre anche bianchi fruttati. Geologicamente la Langa ha avuto origine nel Miocene (15 milioni di anni orsono): il suolo, di conseguenza, risulta compatto e solido. Il Roero è di formazione più recente (risale infatti al Pliocene dell’Era Terziaria, 5 milioni di anni fa) e tra le sue zolle è ancora possibile ritrovare numerosi fossili marini lasciati dal ritiro delle acque padane.

 

I vitigni autoctoni

I vini di Langa e Roero spiccano nel panorama enologico mondiale perché sono espressione inconfondibile di un terroir, cioè dell’insieme di suolo ed elementi climatici. Le caratteristiche che conferiscono un’identità territoriale così precisa ai vini di questa zona sono la tradizionale vinificazione in purezza che origina vini mono- vitigno di forte personalità e l’origine autoctona di questi stessi vitigni.

Solo negli ultimi anni si producono anche vini di diversa fattura adatti al gusto del cosiddetto “pubblico internazionale” e presentati tramite la Doc “Langhe”. Sono stati ripresi storici assemblaggi come nel caso della nuova doc Alba che sarà in commercio nel 2013.

I Classici Nebbiolo, Barbera, Dolcetto, Arneis e Pelaverga ma anche Favorita o Freisa, sono da sempre varietà presenti nel Piemonte meridionale e parte essenziale dell’agricoltura e dell’economia locale. Nella fascia di terra attraversata dal fiume Tanaro questi vitigni hanno trovato la collocazione geografica ideale per svilupparsi. Piantati altrove, danno risultati meno pregiati, perché è proprio la speciale alchimia delle colline langarole e roerine, con la loro combinazione unica di suolo marnoso argillo-calcareo-sabbioso, clima temperato freddo, prossimità delle Alpi, disponibilità di acqua e versanti ben esposti, a offrire quelle condizioni in cui le uve esprimono al massimo le loro potenzialità.

Gli antichi vitigni autoctoni attorno a cui da secoli ruotano la vita contadina e i commerci del Sud Piemonte sono considerati talmente preziosi che oggi i declivi vitati di Langa, Roero e Monferrato sono candidati a diventare patrimonio mondiale dell’Umanità sotto la tutela dell’Unesco. Le varietàdi uva maggiormente coltivate sulle colline di Langa e Roero sono certamente quelle più tipiche della zona. Tuttavia, negli ultimi decenni alcuni viticoltori hanno cominciato a piantare anche i vitigni cosiddetti “internazionali”. Le fortunate condizioni pedo- climatiche della zona e la perizia dei produttori hanno permesso di ottenere buoni risultati anche con queste uve.

Nel Roero le varietà tradizionali più coltivate sono il Nebbiolo, il Barbera e l’Arneis (seguono la Favorita e il Brachetto che non ha una Denominazione riconosciuta e viene venduto sotto il nome collettivo di “Birbet”) Le varietà più cosmopolite sono scarsamente presenti se si escludono alcuni inserimenti di Cabernet Sauvignon, Chardonnay, Merlot. In Langa i vitigni tradizionali più diffusi sono il Nebbiolo, il Dolcetto, il Barbera, il Moscato(in quantità inferiori il Pelaverga, la Freisa, la Favorita e la Nascetta) mentre quelli internazionali più rappresentati sono lo Chardonnay, il Sauvignon, il Cabernet Sauvignon, il Merlot e poco altro.

Il sistema delle Denominazioni della nostra Regione prevede che dopo i Vini generici (gli ex-vini da tavola) non esista una Igt (Indicazione Geografica Tipica) ma subito una grande Doc (Denominazione di origine Controllata) che è“Piemonte”, poco usata nell’albese. Il livello successivo sono le Doc di territorio come “Langhe” e “Monferrato” che abbracciano zone ampie e consentono l’utilizzo di svariati vitigni e assemblaggi. Poi le Doc storiche alcune delle quali elevate a Docg.

 

La Docg è un sistema di maggior controllo che adesso è stato esteso anche alle normali Doc e quindi con la nuova legislazione resta solo un titolo di prestigio acquisito nel tempo. Alla cima della piramide possiamo ancora mettere la Menzione Geografica Aggiuntiva che è il nome del Cru di una o più aziende. Se si utilizza la menzione “Vigna” si deve dimostrare di aver prodotto una quantità inferiore di uve con caratteristiche qualitative superiori. La Comunità Europea riconosce nei vini le Igp (Indicazione geografica Protetta) e le Dop (Denominazione Geografica Protetta) che in Italia continueranno però a chiamarsi Igt e Doc (più la variante della Docg).

Il sistema Guyot Nelle Langhe il sistema di allevamento e potatura della vite più diffuso in assoluto è il “Guyot”. Si tratta di una controspalliera a ridotta espansione che origina i classici filari e si presta a terreni di scarsa fertilità, spesso siccitosi e ripidi di collina. La potatura comporta un capo a frutto di 6-10 gemme da piegare ad archetto o orizzontalmente in direzione del filare e uno sperone di 1-2 gemme per i rinnovi delle annate successive. Nel Guyot classico i sesti d’impianto sono variabili, potendo andare da 2,40- 2,80 metri tra i filari e 80-100 centimetri sulla fila, in dipendenza della vigoria, della combinazione vitigno-portainnesto e della fertilità del terreno. Ha una struttura semplice che facilita le potature.

Fra i suoi vantaggi: una buona possibilità di meccanizzazione delle potature verdi, ottima esposizione fogliare, adeguata fittezza di impianto, buona qualità della produzione, stimolazione vegetativa per i vitigni più deboli. Per contro, è necessario rinnovare annualmente il tralcio di potatura, con successiva legatura; i grappoli sono molto esposti al sole, pertanto possono presentare problemi per il controllo della maturazione nei vitigni precoci e per il rischio di scottature. Negli ambienti freschi e con innesti vigorosi presenta un’eccessiva stimolazione vegetativa, che costringe a potature verdi frequenti.

I vitigni

Arneis

L’origine di questo vitigno a bacca bianca si perde nella notte dei tempi, così come non si conosce con esattezza la sua zona d’origine. Alcuni documenti lo legherebbero già fin dal Quattrocento al Roero, oggi terra privilegiata per la sua coltivazione. Dopo aver prosperato lungo i secoli, questo vitigno venne fatalmente colpito dalla crisi della viticoltura e dallo spopolamento delle campagne a cavallo delle due guerre mondiali.

Alla fine degli anni Sessanta era ridotto a pochi filari sparsi tra quelli di Nebbiolo, perché i suoi acini dolcissimi e di precoce maturazione tenevano lontani gli uccelli dalle uve nere, più remunerative. È stata l’intuizione imprenditoriale di alcuni produttori che hanno voluto imporre un bianco di valore in una terra che sembrava destinata solo ai vini rossi a ridare visibilità e prestigio a questo vino e al suo territorio d’elezione.

All’origine del rilancio e delle nuove fortune dell’Arneis ci sono anche le selezioni clonali che lo hanno decisamente migliorato. Fino a qualche decennio fa, infatti, le viti erano piuttosto difformi e da questo potrebbe derivare il nome, che nel dialetto locale significa “birichino” o “scapestrato”.

Barbera

Vitigno a bacca nera molto diffuso in Piemonte e di origine antichissima. Proviene dalle terre che furono prima del Marchesato e poi del Ducato di Monferrato. La forte adattabilità al tipo di terreno e al clima, la produzione abbondante, l’alta resa del mosto e la ricchezza di materia colorante incoraggiarono i contadini a impiantare vigne di Barbera e a produrne il vino. La sua importanza crebbe notevolmente alla fine dell’Ottocento quando fu riconosciuto come vitigno di forte vigoria in grado di resistere alla fillossera, che aveva invaso, distruggendoli, parecchi vigneti.

In breve tempo la Barbera divenne l’uva piemontese per eccellenza e il suo vino protagonista indiscusso delle mense contadine, testimone del quotidiano vivere su tutte le colline piemontesi. Il vitigno Barbera attesta in maniera esemplare la singolare fortuna del territorio langarolo e roerino: produrre grandi vini da invecchiamento e al contempo regalare emozioni nei vini più giovani.

In passato il Barbera piemontese era considerato “rustico”, ma con il tempo è cresciuto nella stima del pubblico perché si è dimostrato capace di offrire, tramite appropriati processi di vinificazione, sia ottimi vini di pronta beva, sia vini di media longevità e buona struttura che resistono al tempo e confermano, dopo molti anni, i caratteri più originali di una terra e di un vitigno dal particolare prestigio. Come per il Nebbiolo anche il Barbera evidenzia nei suoi caratteri la natura del suolo di provenienza e l’impronta morbida e suadente delle marne calcareo argillose che chiamiamo per brevità “le terre bianche”.

Dolcetto

Il Dolcetto è tra i vitigni autoctoni piemontesi più tipici ed è coltivato in varia misura un po’ ovunque nella regione. Predilige terreni calcarei marnosi su colline fra i 250 ed i 600 m.s.l.m., ma riesce a maturare anche oltre i 700.

La sua culla ideale è la Langa. Per secoli questa varietà di vite a bacca nera ha condiviso le fortune e le miserie della gente di campagna. Pur non essendo una pianta particolarmente vigorosa o resistente alle difficoltà e alle malattie, infatti, il Dolcetto ha sempre saputo offrire ai viticoltori i frutti dolci e maturi per la tavola, adatti anche per produrre una speciale marmellata (la cognà e, soprattutto, materia prima per un vino dai caratteri schietti e semplici. Storicamente, il Dolcetto era la merce di scambio con la Liguria: dalla regione costiera ci si approvigionava di olio, sale e acciughe, ingredienti base di uno dei piatti più famosi del Basso Piemonte, la “Bagna Caoda”.

Nel cuneese si barattava l’uva Dolcetto con i vitelli allevati in pianura, così da avere nelle stalle di collina animali di razza. Il vino da Dolcetto ha avuto un momento di grande fortuna negli anni 70-80 quando era proprio il prodotto della mensa quotidiana e gli impianti di vigneto si sono estesi. Oggi la sua espansione si è fermata, il consumatore locale esperimenta anche altri vini. Il Dolcetto però mantiene il suo rapporto ancestrale con la gente che lo utilizza normalmente al pasto.

Il nome del vitigno deriva dalla particolare dolcezza della polpa dell’uva, ma i vini che se ne ricavano sono esclusivamente asciutti e decisamente secchi, caratterizzati da una modesta acidità e da un piacevole retrogusto amarognolo. A seconda della zona di coltivazione e del tipo di vinificazione, il Dolcetto dà origine a vini freschi e beverini, che si accompagnano alla tavola quotidiana grazie alla loro morbidezza, alla freschezza del gusto e alla capacità di adattarsi a molti cibi diversi; oppure a vini di forma più evoluta, di corpo e struttura, capaci di invecchiare fino a sei-sette anni grazie al sapiente lavoro in vigna e a una corretta gestione in cantina da parte dei produttori.

Negli anni Venti e Trenta del Novecento i grappoli di Dolcetto erano spesso impiegati nella cosiddetta cura dell’uva, per il sapore delicato e per il basso contenuto di acidi e tannini. Le uve Dolcetto, infatti, hanno proprietà rimineralizzanti, depurative, diuretiche, lassative e decongestionanti per il fegato in quanto facilitano il drenaggio epatico.

* Con la menzione vigna ed il relativo toponimo in etichetta, le rese si riducono a 7200 Kg/Ha o 5040 l/Ha ed il titolo alcolometrico volumico minimo naturale è aumentato di 0,5%.
** Con la menzione vigna ed il relativo toponimo in etichetta, le rese si riducono a 6300 Kg/Ha o 4284 l/Ha ed il titolo alcolometrico volumico minimo naturale è aumentato di 0,5%.
*** Con la menzione vigna ed il relativo toponimo in etichetta, le rese si riducono a 7200 Kg/Ha o 5040 l/Ha ed il titolo alcolometrico volumico minimo naturale è aumentato di 0,5%.

Favorita

È l’altro vitigno a bacca bianca del Roero, che nei secoli ha saputo conquistarsi le simpatie dei contadini roerini fino diventarne “l’Uva Favorita”. Secondo gli ampelografi le sue origini sarebbero da ricercarsi nelle assolate e aride terre liguri, da cui sarebbe giunto fin qui sulle carovane lungo le famose strade del sale e dell’olio, che in un tempo lontano collegavano le colline del basso Piemonte alle spiagge liguri, portando i prodotti della terra e del mare.

Un po’ come è avvenuto per la “bagna cauda”, piatto simbolo del convivio contadino, ma questa è tutta un’altra storia. La Favorita ha trovato sui bricchi sabbiosi, baciati dal sole del paesaggio roerino, la sua terra d’elezione fin dalla fine del secolo XVII, dove riesce in maniera ottimale a vivere e prosperare, realizzando esperienze enoiche di grande intensità e vivacità.

Dopo un lungo ed immeritato periodo di anonimato, confinata tra le uve bianche in generale, il vitigno trova finalmente la sua identità solo nel 1676, quando i libri di cantina dei conti Roero di Vezza e di Guarene indicano la vinificazione in purezza di “favurie”. Tra ‘800 e inizio ‘900 la Favorita conosce un periodo di grande favore come prestigiosa uva da mensa, giungendo sulle tavole più illustri delle grandi capitali europee e incentivando le capacità di imprenditori dei cestai di Corneliano.

Per questa ragione riusciva ad aggiudicarsi sui mercati di Torino prezzi più elevati rispetto alle altre uve da vino. Inoltre era tra le uve bianche considerate adatte a produrre spumanti, insieme a Cortese e Moscato Gli anni ’30 la vedono come una delle uve preferite dall’ampeloterapia o più semplicemente cura dell’uva.

Dopo un periodo di crisi e di abbandono, soprattutto con la crisi delle campagne a seguito del secondo conflitto mondiale, finalmente vede negli ’70 una nuova rinascita. Vitalità e rinnovata passione, che grazie alle nuove potenzialità delle cantine, al talento di giovani enologi e alle esigenze di un pubblico sempre più desideroso di scoprire e conoscere vini di un certo pregio, la portano ad essere uno dei gioielli della realtà enoica del Roero.

Alligna bene sulle colline sciolte e assolate del Roero, dove il terreno è più sabbioso e asciutto, in modo da frenarne la forte vigoria vegetativa e portare a maturazione ottimale il suo grappolo dorato, mentre in terreni compatti non raggiunge risultati soddisfacenti e spesso viene attaccata dal marciume grigio prima di giungere a completa maturazione.

È chiamata anche dai vignaioli, quasi con affetto, “Furmentin”, proprio per quel suo colore giallo dorato che ricorda il grano al momento della mietitura. È un vitigno diffuso anche alla destra Tanaro, nelle Langhe, e spesso si accompagna ad altri vitigni nello stesso filare, per essere utilizzato come uva da tavola, per il suo sapore dolce e la sua polpa soda e croccante.

Freisa

Purtroppo non ci sono notizie certe sull’origine di questo vitigno. Alcuni documenti lo citano a partire dal ‘500. Nelle tariffe doganali di Pancalieri del 1517 sono registrate le carrate di fresearum, considerate di gran pregio.

Nel 1692 Pietro Francesco Cotti scrive di aver piantato delle Freise in un fossale del Brichetto, in quel di Neive, Ancora nella cantina di Lu nel 1760 si parla chiaramente dell’acquisto di barbatelle di Freisa e sempre nel medesimo luogo si parla di vino Freisa. Il primo a descriverlo fu il conte Nuvolone sul “Calendario Georgico della Società Agraria di Torino”.

Alla fine degli anni ’80 del 1800 compare come uno dei principali vitigni piemontesi nell’Album ampelografico, compilato da una commissione di esperti presieduta dal Conte Giovanni di Rovasenda, forse il più illustre ampelografo piemontese dell’800, riconosciuto anche a livello europeo.

Si adatta in maniera ottimale sia a terreni di tipo argilloso che marnoso. Da ciò ne deriva la sua ampia diffusione in tutte le province vitivinicole piemontesi.

Nebbiolo

È il più antico vitigno autoctono a bacca nera del Piemonte, uno tra i più nobili e preziosi d’Italia. Il suo nome deriverebbe da “nebbia”: secondo alcuni perché i suoi acini danno l’impressione di essere “annebbiati”, ricoperti dalla pruina abbondante; secondo altri, invece, perché la maturazione tardiva dell’uva spinge la vendemmia al sorgere delle prime nebbie d’autunno. Il Nebbiolo è riuscito a sopportare bene il travaglio dei secoli, per giungere integro fino ai giorni nostri.

Conosciuto anche come la “regina delle uve nere”, ha bisogno di cure attente e laboriose, per questo motivo la sua coltivazione ha vissuto periodi di splendore e di offuscamento, ma non è mai stata abbandonata dai viticoltori locali, consapevoli del pregio altissimo dei vini che se ne ricavano. È molto esigente in fatto di giacitura ed esposizione del terreno, lavorazioni e concimazioni. I suoli calcarei e tufacei sono l’ideale per questo vitigno che germoglia precocemente tra la metà e la fine del mese di aprile.

Giunge a maturazione piuttosto tardi rispetto ad altri, nella prima metà di ottobre. Abbastanza sensibile agli sbalzi improvvisi di temperatura si avvantaggia delle oscillazioni tra giorno e notte in fase di maturazione ma la ricchezza di tannini della sua buccia richiede posizioni collinari ben esposte al sole, preferibilmente sudo sud-ovest, fra i 200 e i 450 m. s.l.m., al riparo dalle gelate e dai freddi di primavera.

Se ne ricavano vini forti e potenti, molto ricchi di alcol che spesso esprimono al meglio le loro caratteristiche in seguito a un lento invecchiamento. A seconda della zona di coltivazione, il Nebbiolo dà origine a una serie di grandi vini rossi orgoglio del Piemonte vitivinicolo.

I dati si riferiscono ad una media delle ultime 5 annate.

Pelaverga

Vitigno prestigioso di illustre memoria storica e forse anche un po’ misteriosa, in quanto per molto tempo si è creduto che fosse stato portato dalle colline del Saluzzese agli inizi del Settecento dal Beato Valfrè sacerdote nativo di Verduno e cappellano alla corte sabauda di Vittorio Amedeo II, e che fosse lo stesso vitigno da cui si ricavava quel vino così prezioso, che la marchesa di Saluzzo, Margherita di Foix, inviava al papa Giulio II per ottenerne i favori.

Solo a metà degli anni Ottanta si è cominciato a capire che forse potevano esistere differenze notevoli fra il vitigno del saluzzese e quello coltivato nelle terre di Verduno e dintorni. Uno studio più approfondito ha individuato in questa varietà caratteristiche ampelografiche, agronomiche ed enologiche proprie, tanto da farne una cultivar a se stante, a cui è stato dato il nome di Pelaverga Piccolo agli inizi degli anni Novanta.

Trascurata a lungo, ha ritrovato l’interesse di alcuni viticoltori locali intorno agli anni Settanta. Oggi riscuote successo grazie all’attenzione sempre maggiore per i vitigni autoctoni e perché sa offrire un vino particolarmente originale dal caratteristico aroma speziato. L’uva ha acini croccanti ed è ottima da mangiare.

 

VINI E DENOMINAZIONI

A partire dagli anni Sessanta la produzione enologica italiana a denominazione di origine è regolamentata da una precisa e severa legislazione, che ha il suo perno d’azione nei Consorzi di Tutela. I vini Doc e Docg sono tutti regolamentati da rigorosi Disciplinari di produzione, una sorta di carta d’identità dove il produttore e il consumatore trovano elementi di identificazione del vino e della zona di origine.

Il Disciplinare, infatti, definisce le uve ammesse alla vinificazione, l’esatta area in cui è consentito coltivare uve atte alla produzione di quel vino, la resa massima di uve ad ettaro e la resa finale in vino, il periodo di invecchiamento minimo previsto, i valori minimi di acidità, la gradazione zuccherina naturale, la gradazione alcolica al consumo e i parametri chimico-organolettici di qualità Il Consorzio di Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Roero è incaricato dal Ministero per cinque vini a denominazione d’origine controllata e garantita e otto vini a denominazione d’origine controllata.

Per ciascuno di questi vini il Consorzio verifica che il Disciplinare sia rispettato. I vini sotto la tutela del Consorzio sono il frutto di una delle tradizioni più radicate nella cultura enologica del Piemonte e rappresentano il vanto del territorio di Langa e Roero nel mondo. I vini sono: Barolo, Barbaresco, Roero, Dogliani, Barbera d’Alba, Nebbiolo d’Alba, Dolcetto d’Alba, Dolcetto di Diano, Dolcetto di Dogliani, Dolcetto delle Langhe Monregalesi, Langhe, Verduno Pelaverga.

Barolo Docg

È il grande vino italiano per eccellenza, ottenuto da uve Nebbiolo in purezza. Nasce nel cuore delle colline di Langa, a pochi chilometri a sud della città di Alba, nel territorio di 11 Comuni che si inseguono in un suggestivo itinerario di colline, cesellate dalla mano esperta dell’uomo e sorvegliate da imponenti castelli medioevali, fra cui proprio quello di Barolo, che ha dato il nome al vino oggi celebre in tutto il mondo.

Sono Comuni centrali della zona del Barolo anche La Morra, Monforte, Serralunga d’Alba (con il Castello militare che svetta tra le colline), Castiglio Falletto (la torre rotonda fa parte di un maniero ancora di proprietà privata), Novello, Grinzane Cavour. Verduno, Diano d’Alba, Cherasco e Roddi (con il castello in ristrutturazione) sono invece interessati solo con porzioni dei loro territori. Grazie alla caparbietà di Camillo Benso Conte di Cavour e di Giulia Colbert Falletti, ultima marchesa di Barolo, si cominciò a produrre, a metà dell’Ottocento, un vino eccezionalmente ricco e armonioso, destinato a diventare l’ambasciatore del Piemonte dei Savoia nelle corti di tutta Europa.

Assieme al Barbaresco ha percorso tutti i momenti di valorizzazione del XX secolo partendo dalla associazione “Pro-Barolo” fino alla fondazione del Consorzio poi l’ottenimento della Doc e della Docg fino all’avvio del Piano Controlli per la Certificazione richiesta dall’Unione Europea nel 2005. L’ultimo importante lavoro a favore del Barolo è stata la delimitazione e l’ufficializzazione nel Disciplinare delle Menzioni Geografiche Aggiuntive avvenuto nel 2009, così come per il Barbaresco era successo un paio d’anni prima.

Il principio è quello già enunciato e non comporta ancora una “lettura” del prestigio dei “Cru” (lasciata ad altri momenti) ma norma gli innumerevoli nomi di località utilizzati in etichetta. Con l’aiuto fondamentale dei Comuni il Consorzio ha superato le tante situazioni di incertezza e contenzioso mettendo una pietra miliare per eventuali future evoluzioni. A rendere importante il Barolo era ed è la sua struttura che esprime un bouquet complesso e avvolgente, in grado di svilupparsi nel tempo senza perdere le sue affascinanti caratteristiche organolettiche.

Dallo stretto legame fra le caratteristiche intrinseche del vino e i gusti nobiliari del XIX secolo è nato il detto “il re dei vini, il vino dei re”. Ha colore granato pieno e intenso, profumo al contempo fruttato e speziato; sia al naso, sia in bocca ricorda i piccoli frutti rossi, le ciliegie sotto spirito e la confettura, ma regala anche suggestioni di rosa e viola appassita, cannella e pepe, noce moscata, vaniglia e talvolta liquirizia, cacao, tabacco e cuoio.Deve invecchiare almeno tre anni, di cui uno e mezzo in legno di rovere, e solo dopo cinque può fregiarsi della “Riserva”.

Come per il Barbaresco ne troviamo di più tradizionali e altri più internazionali con diverso uso del legno piccolo. Attualmente le diversità tendono ad affievolirsi con produzioni che ruotano intorno ad un equilibrio sobrio. Le lievi differenze fanno comunque dei vini Barolo un concerto di voci di altissimo livello. Già piacevole dopo 4-6 anni arriva al culmine dopo 10 anni di invecchiamento e resta ottimo anche dopo 20 o più anni. Ovviamente dipende dall’annata che può essere perfetta ma anche sfortunata come il famoso 1977 in cui si decise di non produrre Barolo o il 2002 quando le piogge e le grandinate misero a dura prova l’esperienza degli enologi.

Per degustare il Barolo nella sua terra ci sono molte possibilità; la “Strada del Barolo” tocca diversi produttori ma ci sono anche le Botteghe Comunali di Serralunga, Diano d’Alba, Castiglion Falletto la Cantina Comunale di La Morra, l’Enoteca di Grinzane Cavour (da cui si gode un panorama centrale della zona) e l’Enoteca di Barolo dove sta decollando un Museo del Vino di grande valore. Altri punti, anche privati, si trovano in tutti i Comuni e va crescendo la disponibilità delle aziende ad accogliere i visitatori. Per questo è stato creato il servizio Piemonte On Wine di cui riferiamo nell’apposito capitolo delle Reti Locali.

* È consentita l’aromatizzazione secondo le norme di legge per ottenere la denominazione Barolo Chinato a patto che venga utilizzata come base il vino Barolo senza aggiunta di mosti o vini aventi diritto a tale denominazione.
* È possibile aggiungere la menzione geografica aggiuntiva (sottozona) purché compresa nel disciplinare; aggiungendo oltre alla sottozona anche la menzione vigna la resa ad ettaro si riduce a 7200 Kg e il titolo alcol.volum.min naturale aumenta di 0,5%.

Barbaresco Docg

Le origini di questo vino aristocratico si fondono a leggende di varia origine: alcuni narrano che i Galli siano giunti in Italia perché attratti dal vino di Barbaritium, di eccellente qualità mentre altri sostengono che il Barbaresco derivi il suo nome dai popoli barbari che causarono la caduta dell’Impero romano.

In tempi antichi il luogo dove oggi sorge il borgo di Barbaresco era ricoperto da una foresta così impenetrabile da permettere ai Liguri che vi si erano rifugiati di trovare scampo alla cavalleria romana. Proprio perché rimasta estranea ai confini dei loro domini, i Romani la denominarono barbarica silva: da questa espressione deriva l’antico toponimo Barbaritium, evolutosi nell’attuale Barbaresco.

Il Prof. Domizio Cavazza, primo preside della Regia Scuola Enologica di Alba, fu tra quelli che delinearono questo vino (già noto da tempo) proprio nello stesso periodo in cui Cavour, la Marchesa Falletti ed i Savoia denominavano come Barolo il Nebbiolo coltivato dall’altra parte della città di Alba e cioè nella seconda metà dell’800. Da allora ha sempre “viaggiato” in coppia con il fratello Barolo chiedendo regole di tutela, facendo nascere il Consorzio nel 1934, diventando una delle prime Doc italiane nel 1966 e poi una delle prime Docg nel 1980 (Denominazione di origine controllata e garantita con verifica numerica delle bottiglie e fascetta del Poligrafico dello Stato).

Il Barbaresco è ottenuto da Nebbiolo in purezza e si presenta con un colore intenso e brillante che va sfumando dal rosso rubino al granato e un bouquet stimolante di profumi ancora fruttati eppure eterei che richiamano il lampone e la confettura di frutti rossi, il geranio e la viola, ma anche il pepe verde, la cannella e la noce moscata, il fieno e il legno, la nocciola tostata, la vaniglia e perfino l’anice. Deve invecchiare almeno due anni di cui uno in legno di rovere e dopo quattro può definirsi “Riserva”.

Raggiunge il suo meglio tra i 5 ed i 10 anni ma può essere anche molto più longevo. Sul mercato si trovano prodotti tradizionali ed altri interpretati in modo più internazionale con affinamenti in legno piccolo. La zona di produzione comprende l’intero territorio dei Comuni di Barbaresco, Treiso, Neive e parte del Comune di Alba. È prodotto da piccoli vinificatori, da cooperative prestigiose e anche da nomi di eccellenza mondiale. Nel paese di Barbaresco ha sede l’Enoteca Regionale dove si possono degustare gran parte dei vini prodotti nella denominazione.

L’Enoteca organizza nel corso dell’anno eventi promozionali legati alla gastronomia e si può trovare il riferimento telefonico o telematico nella pagina delle Reti Locali di questa pubblicazione. In Collaborazione con l’Enoteca e con la Provincia di Cuneo, il Consorzio ha provveduto a delimitare i confini delle zone che utilizzano menzioni aggiuntive (Menzioni geografiche Aggiuntive). Potremmo parlare di “Cru” anche se l’espressione è impropria perché nasce da situazioni storico-economiche diverse.

Le menzioni non esprimono una graduatoria del pregio ma un’ulteriore precisazione sull’origine che in alcuni casi fa riferimento a “posizioni” collinari migliori ed in altri semplicemente ai nomi delle Cascine, dei Vigneti, delle Località Ne è comunque derivato un lavoro meticoloso che è a disposizione del pubblico sia su supporti cartacei che nel sito Internet consortile.

* È possibile aggiungere la menzione geografica aggiuntiva (sottozona) purché compresa nel disciplinare; aggiungendo oltre alla sottozona anche la menzione vigna la resa ad ettaro si riduce a 7200 Kg e il titolo alcol.volum.min naturale aumenta di 0,5%.

Dogliani Docg

Tra il Dolcetto e la zona di Dogliani esiste tradizionalmente una relazione molto forte. Portavoce di questo legame è stato il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, il quale ha saputo creare stimoli determinanti per la valorizzazione e l’affermazione del vino della sua regione natale.

La zona di produzione del Dogliani Docg si trova nel sud del Piemonte, nella parte bassa delle Langhe. Il suo clima è più congeniale e molto adatto alla coltivazione Dolcetto, un’uva che predilige un clima fresco ed equilibrato per poter conservare i suoi profumi delicati, esattamente quello di cui gode l’areale del Dogliani. Queste colline, da 250 a 700 metri di altitudine, sviluppati lungo i crinali che si sollevarono dai mari antichi.  I comuni che compongono il Dogliani zona sono tradizionali villaggi rurali: alcuni, come Dogliani, Farigliano e Clavesana si trovano lungo i fiumi che dividono le pianure dalle colline, e sono state fondate in epoca romana o pre-romana, mentre gli altri, Bastia , Belvedere Langhe, Cigliè, Monchiero, Rocca Cigliè, Roddino, Somano, sono stati tutti costruiti in epoca medievale in alto sulle colline per difendersi contro le invasioni saracene.

Il Dogliani ha colore rosso rubino intenso con riflessi violacei, profumo intenso di fiori e frutti freschi come la mora e la ciliegia selvatica, sapore secco e armonico, con un piacevole retrogusto finemente ammandorlato e fragrante; l’acidità moderata regala un tocco di singolare vivacità.

 

Dolcetto di Diano d’Alba o Diano d’Alba Docg

Questo vino corrisponde all’intero territorio di un solo piccolo Comune a sud di Alba, allungato su una collina a 500 metri s.l.m. La predilezione dei produttori di Diano per questo vitigno e l’esperienza tramandata nelle generazioni ha individuato nel tempo così bene le posizioni migliori per i vigneti, che è stato possibile delimitarle con precisione fin dal 1986, attraverso la pubblicazione da parte dell’amministrazione comunale della mappa delle aree per l’attribuzione della menzione del nome di vigneto.

Queste aree, le più vocate alla viticoltura, si chiamano sörì che in dialetto piemontese sta per “luogo ben esposto”. In tutto i sörì interamente compresi nel Comune di Diano d’Alba sono 76 e nel 2009 il Consorzio li ha proposti al Ministero dell’Agricoltura per dar loro il valore di Menzioni Geografiche Aggiuntive come si è fatto con i vini Barbaresco e Barolo.

Contemporaneamente il Dolcetto di Diano d’Alba ha richiesto l’elevazione a Docg. Il vino Diano d’Alba ha un colore rosso rubino intenso con giovanili riflessi violacei, profumo fragrante e fruttato, marcato di ciliegia marasca e a volte di mora o confettura, sapore secco, nervoso, asciutto, piacevolmente influenzato da un retrogusto varietale di mandorla amara che stimola il palato. Possiede alcuni tratti aromatici, tra cui il geraniolo, che lo rendono piacevole da giovane e ha la forza di un medio invecchiamento. Con un invecchiamento di almeno 18 mesi lo si può esibire nella tipologia “Superiore”. Il Maestro Gino Veronelli lo aveva messo tra i vini che più amava.

Nebbiolo d’Alba Doc

Il Nebbiolo è una delle varietà di vite che accomuna le sorti produttive delle colline alla destra e alla sinistra del fiume Tanaro e il Nebbiolo d’Alba è l’esempio tangibile di questa comune vocazione alla qualità la sua zona di origine, infatti, si estende sul territorio di 25 Comuni situati su entrambe le sponde.

Il Nebbiolo d’Alba è un vino rosso in purezza di monovitigno. Esprime toni importanti è capace di resistere al tempo e di posizionarsi positivamente tra gli altri grandi figli del vitigno Nebbiolo. Si esprime al meglio dopo alcuni anni e questo dipende dai terreni in cui è nato. Il colore è rosso rubino poi granato, il profumo unisce i sentori fruttati del lampone, del geranio e della fragolina selvatica a quelli eterei e speziati della cannella e della vaniglia, il sapore, totalmente secco, si avvale di una struttura notevole, dove alcol, acidità ed estratto creano sensazioni di armonia ed eleganza.

Barbera d’Alba Doc

Oggi la Barbera d’Alba è un vino di prestigio, ricco di colori che si richiamano in genere al rubino purpureo, proprio quello degli abiti cardinalizi; il profumo è ampio e composito, con note fruttate che ricordano la mora, la ciliegia, la fragola e la confettura di frutti rossi e sentori speziati che richiamano la cannella, la vaniglia, il pepe verde.

Il sapore, pieno e corposo, attenua la caratteristica di acidità tipica del vitigno. Si utilizzano con successo legni piccoli adatti al tipo di vino, proprio perché anch’essi smorzano l’acidità che – va precisato – resta fondamentale per l’equilibrio di gusto del prodotto e per una buona, piacevole bevibilità e digeribilità.

Dolcetto d’Alba Doc

Tra tutte le denominazioni Dolcetto, che in Piemonte sono ormai tredici, quella di Alba è la più conosciuta e la più consistente in termini di bottiglie prodotte ogni anno. A tavola il Dolcetto d’Alba ribadisce i caratteri della fragranza e della gioventù un colore rubino e violetto, un profumo fresco e decisamente fruttato, un sapore totalmente secco, pieno e armonico che si completa in un piacevole retrogusto di mandorla amara.

Il Consorzio ha avviato un lavoro di zonazione per valorizzare aree diverse particolarmente prestigiose che negli ultimi anni stanno avendo successo sulle etichette delle principali aziende. Si divide comunque in due fasce principali che sono i territori verso la zona del Barolo e quelli che partono da Alba per salire verso la Valle Belbo dove la struttura geologica origina Dolcetti più fini e leggeri.

In Alta langa si arriva a Cortemilia dove il Dolcetto colonizzava un tempo i terrazzamenti in pietra e dove alcuni vigneti rimasti si sono organizzati in un Dolcetto dei Terrazzamenti che si è dato una propria Associazione. È un vino apprezzato soprattutto nell’Italia del Nord-Ovest dove se ne consuma l’80% ma meriterebbe più estese fortune rese difficili dal nome (che comporta a volte fraintendimenti) e dall’appartenere ad una tipologia che ha parecchi concorrenti sui mercati internazionali.

 

Verduno Pelaverga o Verduno Doc

Questo vino nasce da pochi ettari di vigneto a ovest di Alba e ha le sue origini nelle stesse cantine del castello di Verduno dove nel XIX secolo il re Carlo Alberto eseguiva i suoi esperimenti enologici sulle uve da Barolo. Utilizzato da sempre negli uvaggi con altri vitigni della zona, solo da pochi decenni viene vinificato in purezza. In breve tempo ha acquisito personalità e apprezzamento presso i consumatori, a cominciare dal mercato locale che ne ha sancito per primo il successo.

Oggi, con il suo aroma fragrante e speziato, è considerato un vino da conoscitori attenti e appassionati di rarità alla ricerca continua di nuove emozioni e abbinamenti speciali. Ha un tenero colore rubino, sfumato di riflessi che vanno dal violetto al cerasuolo. Il delicato equilibrio tra acidità e tannini lo rende fresco e aggraziato al palato anche se di una certa struttura; è piacevole da bere giovane, quando prevalgono le note fiorite e fruttate come quelle di violetta e ciliegia, stimolante quando raggiunge un moderato invecchiamento che accentua le caratteristiche note speziate di pepe verde e bianco.

* Con la menzione vigna ed il relativo toponimo in etichetta, le rese si riducono a 8100 Kg/Ha o 5670 l/Ha.

Langhe Doc

Il Langhe è una denominazione di tipo territoriale e trae la sua giustificazione da quella saggia pratica tradizionale che porta i viticoltori di Langa e Roero a selezionare nel vigneto la produzione a seconda della qualità dell’uva. Da sempre, infatti, un vigneto di Nebbiolo atto a produrre Barolo, Barbaresco, Roero e Nebbiolo d’Alba, ad esempio, viene vendemmiato separando le uve destinate a produrre questi vini da quelle utilizzate per vinificare Langhe Nebbiolo.

Grazie alla sua elevata qualità il Langhe, da denominazione di ricaduta, ha saputo ritagliarsi, nel corso degli anni, degli spazi molto importanti nel mercato mondiale. Il Langhe, inoltre, ha dato modo ai vini prodotti con uve autoctone come Favorita e Freisa e con uve internazionali come Chardonnay e Cabernet (se è passata modifica di Disciplinare Langhe) di fregiarsi di una denominazione di origine.

Nell’ambito della doc Langhe meritano una segnalazione particolare i due vini che non portano la menzione di vitigno, vale a dire il Langhe bianco e il Langhe rosso, i quali possono essere prodotti con la vinificazione in purezza o in assemblaggio di tutti i vitigni coltivati nella zona di produzione. Questa possibilità ha stimolato la fantasia dei produttori, che con i cosiddetti “vini aziendali” hanno saputo creare nuove opportunità commerciali.

La Denominazione Langhe riassume a pieno la vocazione vitivinicola del territorio che rappresenta, estremamente vario e dinamico, ed è per questo che al suo interno troviamo diversi vitigni e molte tipologie di vini. Langhe è un territorio che al suo interno possiede una varietà di suoli non comune in nessun altro areale viticolo Italiano e forse del mondo. Il numero elevato di vitigni coltivati trova giustificazione nel complesso panorama pedo-climatico delle Langhe, dove abbiamo suoli marnosi, calcarei, sabbiosi ed argillosi, a volte miscelati tra loro in maniera unica. La DOC Langhe nasce nel 1994 con l’intento di unire il territorio.

* È possibile indicare oltre al vitigno anche la menzione “Vigna” seguita dal toponimo, purché le uve provengano totalmente dal medesimo vigneto e la produzione massima di uva per ettaro non superi gli 8000 Kg.

Alba Doc

Rappresenta l’ultima espressione delle Denominazioni di Langhe e Roero ed è stata voluta per dare maggior pregio alle zone escluse dal Barolo, dal Barbaresco e dal Roero. In realtà il nome “Alba” è talmente radicato con l’intero territorio che alla fine si è consentito di poter utilizzare tale denominazione a tutta la zona comprendendo ben 44 Comuni. Il Vino deve avere almeno il 70% di Nebbiolo e almeno il 15% di Barbera nonchè può utilizzare non più del 5% di altri vitigni a bacca rossa coltivati nella zona.

Si tratta quindi di un assemblaggio che già si faceva tradizionalmente per compensare i caratteri del nebbiolo con quelli della barbera: a detta di qualcuno è il classico “taglio all’albese”. Si tratta di vini di possibile grande pregio e di struttura importante che devono invecchiare almeno due anni prima di poter essere venduti. Anche qui esiste la tipologia “Superiore”.

fonte: CONSORZIO DI TUTELA BAROLO BARBARESCO ALBA LANGHE E DOGLIANI
Corso Enotria, 2/c – Ampelion – 12051 Alba (Cn) – Tel: +39 0173 441074 – Fax: +39 0173 361380
www.langhevini.itconsorzio.vini@langhevini.it

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