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Focus sulla birra artigianale nei Paesi Scandinavi


 

Articolo pubblicato su Birritalia beverfood.com 2012

PREMESSA: Il compianto maestro Michael Jackson – “the Beerhunter”- definì, a inizio 2007, pochi mesi prima di morire, l’Italia “the fastest growing micro-brewery market” (sue testuali parole). Affermazione più che meritata che poi si consolidò rapidamente negli anni successivi, tanto che oggi , a inizio 2012, contiamo, da autorevolissima fonte www.microbirrifici.org , ben oltre 400 produttori, tra microbirrifici e brewpubs, sparsi in tutto il territorio nazionale. Questo inarrestabile incremento è stato fortunatamente accompagnato da un altrettanto rapida crescita della cultura birraria che ha portato ad un proliferare di eventi come corsi, festival e degustazioni ed alla nascita di una nuova figura di consumatore, lontano dallo stereotipo del bevitore di birre industriali, molto più esigente, attento, costantemente informato ed aggiornato (internet docet) che ha dimostrato un crescente interesse verso l’abbinamento delle birre con piatti della gastronomia italiana, tendenza che ha stimolato i nostri chef non solo a proporre una lista delle birre accanto a quella tradizionale dei vini ma ha sviluppare un nuovo, esaltante concetto di cucina alla birra.

Riferimento Temporale: maggio 2012


Il nostro movimento deve molto all’insegnamento che fu recepito, già da inizio anni 90, dalla straordinaria “Renaissance” americana che oggi colloca incontestabilmente gli Stati Uniti nel ruolo di incontrastati leader nel campo della birra artigianale. I nostri artigiani dimostrano grande intelligenza evitando di “copiare e incollare” gli emergenti stili birrari americani, a loro volta rivisitazioni di stili belgi, britannici e tedeschi, ma di trarne ispirazione ed utilizzo dei loro giustamente celebrati luppoli aromatici, interpretandoli con creatività, fantasia e originalità, doti peculiari e riconosciute dell’italico DNA. Fattore molto importante per l’argomento che stiamo per trattare, quello dell’attuale scena dei più emergenti paesi europei con alle spalle una cultura birraria di recente sviluppo. Dopo aver doverosamente puntualizzato come il fenomeno sia ancora dormiente, anche se non del tutto assente, in paesi per ora più refrattari come, ad esempio, la Grecia ed il Portogallo, abbiamo in Europa realtà già consolidate come la Scandinavia mentre qualcosa di promettente ci viene dalla Spagna, dalla Francia e dalla Svizzera, paesi dei quali tratteremo le variegate scene birrarie in un successivo articolo.

_DANIMARCA
Quando si dice Scandinavia, in tema di birra artigianale, si dice prima di tutto Danimarca, il paese dalla scena birraria più vivace, come si evince dall’intervista che ho fatto all’amica d Anne-Mette dei Danske Ølentusiaster, la dinamica associazione che raggruppa gli appassionati e i consumatori di birra danese . E’ vero che alcuni produttori danesi, Mikkeller in testa, hanno sposato la scellarata, ma altamente redditizia, moda del “famolo strano” e del “famolo americano” ma è altrettanto vero che qui possiamo trovare prodotti di grande interesse nati da un’insospettabile apertura mentale. Accanto a decine e decine di scurissime, impenetrabili, tostatissime ed amarissime, American-style Imperial Stout tutte uguali e omologate, osannate dai raters scandinavi ed americani (www.ratebeer.com/Ratings/TopScandia.asp) , abbiamo birre davvero interessanti e ricche di carattere che, senza rinunciare all’audacia, puntano sul fattore, a mio avviso, più importante ed universale per una corretta e piacevole fruizione delle birre, l’equilibrio olfattivo-gustativo che ci apre le porte del piacere. Dato che Anne-Mette, nell’intervista, ha diplomaticamente evitato di fare nomi, vi dico io quelli che, ovviamente secondo me, sono i produttori più interessanti, degni di nota e rappresentativi dell’emergente “nouvelle vague” danese. Dopo il citato Mikkeller di Copenhagen che, per amor del vero, sa regalarci anche birre di grande valore qualitativo, indicherei oltre a Beer Here e Nørrebro Bryghus, entrambe anch’esse nella capitale, Fanø di Nordby, Amager di Kastrup e Ølfabrikken di Roskilde. Per un elenco esaustivo ed aggiornato basta cliccare sul sito di ratebeer, tanto incommensurabile come database quanto mediamente inattendibile nei ratings: www.ratebeer.com/beer/breweries/brewers-directory-0-58.htm

_SVEZIA
Anche la Svezia si è recentemente svegliata e segue, con ottimi risultati, l’esempio dei vicini danesi. Anche qui, oltre alla tendenza di ricorrere al copia-incolla delle birre americane, è forte la tentazione di seguire la deprecabile onda del fare birre bizzarre, esagerate ed estreme, spesso “one-shot” cioè fatte una volta sola e poi mai più per la gioia dei raters compulsivi a caccia del primato di top-scorer. Per fortuna l’apertura mentale dei consumatori svedesi, creati ed educati dall’associazione di consumatori Svenska Ölfrämjandet e da due grandi publican, Stene Isacsson e Jörgen Hasselqvist, officianti rispettivamente nei loro templi Akkurat ed Oliver Twist di Stoccolma, ha evitato rischi maggiori e posizionato la Svezia tra i paesi più aperti e promettenti. Tra i produttori svedesi più significativi citerei Nils Oscar di Nyköping, Dugges di Mölndal, Nynäshamns dell’omonima cittadina a 50 km dalla capitale, Jämtlands di Pilgrimstad e soprattutto la lanciatissima Närke di Örebro. Per un elenco esaustivo rivolgetevi sempre a ratebeer: www.ratebeer.com/beer/breweries/brewers-directory0-190.htm
_NORVEGIA
Il fenomeno sembrava aver attecchito meno in Norvegia, dico sembrava perché oggi in effetti due delle, più celebrate realtà scandinave ci vengono proprio da questo paese. La cittadina di Grimstad nell’estremo sud, è famosa soprattutto per aver dato i natali al ciclista Thor Hushovd, campione del mondo a Melbourne 2010. Tutti gli appassionati di birra invece la conoscono per la microbirreria Nøgne Ø, in rapida espansione, che oltre alle solite ma ben fatte Imperial Stout di ispirazione americana, sa regalarci qualche apprezzabile, coraggioso e riuscito esperimento. Cosa che riesce perfettamente anche alla minuscola Haandbryggeriet di Drammen, 40 km a sud di Oslo che in più ha quella dose di sana follia che solo la filosofia dello “small is beautiful” sa spesso permettere e quindi garantire. Un terzo esempio di ottime birre prodotte in Norvegia ci viene dalla microbirreria Lervig di Stavanger, città nota per aver dato i natali alla prorompente pornostar Vicky Vette Non per far torto all’ormai attempata attrice, la nostra star locale non può che essere il nostro grande amico Mike Murphy, il birraio americano di Philadelphia trapiantato a Roma, che ha avuto un ruolo fondamentale nell’evoluzione del movimento artigianale italiano con le sue innovative birre, tra tutte la Pioneer Pale Ale (mai nome fu più azzeccato) che, circa 10 anni fa, fece conoscere al nascente nuovo consumatore italiano, i luppoli aromatici americani caratterizzati dalle note agrumate e resinose che fanno innamorare. Dopo una parentesi danese, proficua specie dal punto di vista della crescita formativa, il nostro Mike si sta facendo onore alla Lervig con birre di gran carattere ma sempre contrassegnate dal prezioso dono dell’equilibrio olfattivo-gustativo, fattore ben riconoscibile nelle creazioni perché ben impresso nella mente di uno dei più simpatici e genuini birrai del pianeta. Chi non ricorda con nostalgia la sua irresistibile parlata a metà tra il dialetto romanesco e lo slang americano? Anche la Norvegia ha la fortuna di avere un’associazione che supporta i consumatori chiamata Norske Ølvenners Landsforbund (NORØL). Per un elenco esaustivo rivolgetevi ancora a ratebeer: www.ratebeer.com/beer/breweries/brewers-directory-0-154.htm

_FINLANDIA
Concludo questa rapida e propedeutica carrellata sulla scena scandinava con la nazione che sembra recepire con più lentezza il cambiamento, la Finlandia che paradossalmente produce una bevanda autoctona di grande interesse, il Sahti, che, nelle sue forme prettamente artigianali, può essere considerata un’autentica meraviglia della natura. Per un approfondimento vi rimando all’estratto, qui posto in calce, di un articolo che pubblicai per la rivista “Unionbirrai News” dopo un’esaltante visita alla Hollolan Hirvi nel novembre 2004. Da un recentissimo e fitto scambio di mail con Mikael Baarman di Olutliitto, l’associazione che rappresenta i consumatori finnici, formata dai consumatori stessi e senza alcun legame con i birrai, vengo a sapere come fino al 1995 il mercato fosse spartito principalmente tra tre grandi birrerie, Koff, Hartwall e Olvi ma dopo che in quell’anno la Finlandia aderì all’Unione Europea, grazie ad una minor restrizione legislativa, videro la luce le prime microbirrerie. Oggi molte birre artigianali, pur strizzando l’occhio alle attraenti specialità americane, ne danno un’interpretazione originale più vicina al gusto dei finnici, utilizzando, ad esempio la segale in unione al malto d’orzo. I piccoli artigiani non hanno poi dimenticato le birre di uno stile legato al DNA del popolo finnico, le Baltic Porter, birre scure ispirate alle porter londinesi ma qui prodotte con la tecnica della bassa fermentazione.Tra le undici microbirrerie che producono regolarmente sul territorio finlandese, Mikael Baarman ci suggerisce Stadin Panimo di Helsinki (del mio caro amico Kari Likovuori) , il brewpub Plevna di Tampere e Malmgård, nell’omonima cittadina, che produce una strepitosa Huvila X-porter esportata con successo negli Stati Uniti. Dopo avermi confermato l’interesse dei suoi connazionali per l’abbinamento tra birre e cibi, il mio interlocutore, sollecitato a dare una sua opinione sull’immediato futuro, auspica l’apertura e l’affermarsi di nuove microbirrerie specie se sapranno basare la loro avventura su solide basi produttive e finanziarie. Per un elenco esaustivo, si consiglia ancora il sito ratebeer: www.ratebeer.com/beer/breweries/brewers-directory-0-071.htm
INTERVISTA AD ANNE-METTE MEYER PEDERSEN (DANSKE ØLENTUSIASTER)

Qual’era la scena birraria danese prima della nascita di un movimento artigianale?

Nel 1998 la Danimarca aveva solo 13 birrerie: Carlsberg, Tuborg, Albani, Wiibroe, Thisted Bryghus, Fuglsang, Hancock, Refsvinding, Vestfyn, Harboe, Faxe, Ceres e Thor. La maggior parte di esse produceva solo pilsner nella versione danese cioè con minor apporto di luppolo.

Quando cominciò e come si sviluppò il movimento artigianale?

La nostra “Beer revolution” iniziò nel 1998 con la fondazione dei Danske Ølentusiaster (gli entusiasti della birra), l’associazione che raggruppa gli appassionati e i consumatori di birra. Il popolo danese era pronto a scoprire qualcosa di nuovo. Nuove cucine si stavano affermando nel nostro paese, la cucina cinese, italiana, spagnola, vietnamita ed altre. In tal modo le microbirrerie potevano insegnare e raccontare ai Danesi qualcosa di nuovo nel campo delle birre, proporre birre adatte per i clienti di queste nuove cucine. All’inizio le nuove birrerie facevano tutto fuorchè pilsner, innanzitutto per differenziarsi dai grandi produttori e poi anche perchè le pilsner sono birre difficili da fare ed ogni minimo errore si rivela senza scampo. Oggi abbiamo circa 130 birrerie tra le grandi, le piccole e le “gipsy breweries” cioè quelle che utilizzano impianti di altri per fare birre con le proprie ricette.

Quali sono gli stili più popolari?

Quelli ispirati agli Stati Uniti o si può parlare di un “Made in Denmark”? Oggi da noi troviamo un gran numero di stili birrari. Alcune birrerie danesi fanno solo birre estreme mentre altre, anche tra le nuove micro, fanno principalmente birre più classiche che il consumatore medio danese non ha timore di provare.

Quali sono le birrerie migliori e quali sono i loro esempi più qualitativi?

I gusti si possono sempre discutere, non penso proprio di riuscire a dirti quali siano le birrerie migliori. Il mio gusto non èlo stesso del tuo e probabilmente non saresti concorde con miei suggerimenti. Se vuoi sapere quali birrerie siano le migliori, devi venire in Danimarca, assaggiare e decidere da solo!

Come supporta la vostra associazione i vostri consumatori?

Danske Ølentusiaster (DBE) è un’associazione nazionale con membri individuali ma anche con club locali iInteressati alle birre. DBE rapresenta I consumatori di birra danesi nel National Consumers’ Advisory Council (Forbrugerrådet), nei contatti col Comitato del Danish Recycling System che amministra il sistema di riciclaggio dlele bottiglie e nell’EBCU ( European Beer Consumers Union). Tra le molteplici attività DBE amministra un sistema di valutazione dei pub danesi chiamato “The Danish Beer Mark”, I nostril membri votano per eleggere “New Beer of the Year” e “Brewery of the Year”e ogni anno assegniamo un “National Beer Award” di 10,000 corone danesi (circa 1350 Euro). Inoltre, organizziamo degustazioni, conferenze, visite e a birrerie, festival e pubblichiamo una rivista e facciamo tante altre cose ancora.

Così come accade in Italia, i vostri consumatori mostrano un interesse per l’abbinamento delle birre con i cibi?

I nostri consumatori sono molto interessati ad abbinare birre ai cibi ma sfortunatamente solo pochi ristoranti trattano seriamente le birre e solo quelli specializzati hanno una decente carta delle birre e solo pochi camerieri non vanno oltre il chiedere “piccola o grande?” quando si ordina una birra. Puoi, per favore, far conoscere ai nostri lettori, la tua personale opinione sul prossimo futuro del movimento artigianale nel tuo paese? L’attuale scena è molto interessante. Alcuni produttori hanno dovuto chiudere negli ultimi anni ma siamo confortati dall’apertura di nuove birrerie. Nel 2011 le birrerie danesi hanno prodotto quasi 600 nuove birre che si sono aggiunte a quelle già presenti sul mercato. Statistiche alla mano, un dato importante che balza subito agli occhi e va quindi doverosamente sottolineato è quello legato al decremento delle birre di tipo pilsner, legate al passato, con un significativo aumento di birre differenti tanto che oggi possiamo vantare una grande varietà di stili prodotti nonché nuovi stili e conseguentemente lo sviluppo di una nuova figura di consumatore. Trovo l’attuale mercato danese molto interessante e sono molto fiduciosa per il futuro della birra danese.

ALLA RICERCA DEL SAHTI DI PIETRA
(estratto dall’articolo “Finlandia, terra di alci, di neve e di…..birre” pubblicato da “Unionbirrai News” n.15, agosto 2005)

Reduce, è la parola giusta, dal meeting EBCU tenutosi a Helsinki, in pieno inverno (!), eccomi qua per raccontarvi alcuni dettagli di questa bellissima ed esaltate esperienza. Non vedevo l’ora di poter conoscere un autentico produttore di sahti e soprattutto di poter bere questa affascinante e alquanto misteriosa “birra” sul territorio di produzione. Fino ad allora avevo bevuto solo del sahti commerciale portatomi in altri meeting dal delegato finnico. Partenza in bus riscaldato, noleggiato dai nostri confratelli di Olutliitto, al mattino presto da Helsinki con temperatura intorno allo zero (“siete fortunati” mi dice la strepitosa cameriera bionda del bar dell’ostello, “fino a settimana scorsa ha sempre nevicato”) e dopo due ore monotone di betulle e pini tipo altissimi alberi di Natale ovviamente candidi di neve lasciamo la strada asfaltata e ci inoltriamo in una sterrata che ci porta tra scorci mozzafiato nel mezzo del nulla, circondati da enormi alci (hirvi nella osticissima lingua locale), ad una bellissima costruzione campestre tutta in legno e granito. Eh si’, siamo a Hollola dal mitico Illka Sipilä che produce il miglior sahti del pianeta! Illka ci accoglie alla grande offrendoci boccali di “kivisahti” (sahti di pietra) il cui mosto è stato fatto bollire con pietre roventi e poi fermentato in vasche di pietra. Uno spettacolo! Ne ingollo subito uno voracemente per poi chiedere il primo di 12 boccali che mi godrò durante la giornata. Illka, grande appassionato della vita degli alci (ha chiamato la sua “birreria” Hollolan Hirvi) diviene mio fratello dopo aver scoperto che io sono il solo dei delegati EBCU che beve sahti a fiumi mentre gli altri dopo il primo sono passati definitivamente alle birre! Infatti il suo sahti non è facile da bere, molto dolce con punte di melassa e frutta cotta (mela cotogna) nell’olfatto mentre nel palato si presenta sciropposo e non lontano da un decotto di malva con note bruciate e acidule che danno un’astringenza tremenda. Già dall’aspetto (color arancio carico ambrato con lieve schiuma color crema e iperopalescente) e dalla ricetta (malto d’orzo e di segale coltivati in proprio, ginepro, luppoli autoctoni, acqua di propria sorgente e…. lievito del panettiere) ci si rendeva subito conto di trovarsi davanti a qualcosa di nuovo, da non giudicare, quindi, con i parametri del “canonico” degustatore di birra. Volevo solo “prenderne atto” ma…quanto mi è piaciuto!

Per un’ampia panoramica sui micro birrifici e brew pub italiani si rimanda a: ANNUARIO BIRRITALIA 2012-13 www.beverfood.com/v2/xt_conteudo+index.id+3+annuario+Birritalia+Birre.htm

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