Il fenomeno delle Beer Firms, cioè di quei birrifici che, non avendo impianto di produzione, fanno o si fanno fare le proprie birre da altri birrifici, sta attraversando un vero e proprio periodo di boom nel nostro paese. Un boom che va ad aggiungersi a quello, anch’esso pressochè inarrestabile, dei microbirrifici italiani che, a fine marzo 2014, conta più di 500 produttori attivi e ben 110 beer firms. Pubblichiamo di seguito un articolo di Lorenzo Dabove (in arte Kuaska) che riporta opinioni autorevoli, favorevoli e contrarie riferite alla realtà italiana e a quella del Belgio.
Per un degustatore di estrazione belga come me, quello delle bierfima (come vengono chiamate in lingua fiamminga) era sempre stato un fatto normale, da prenderne atto e da non valutare nel suo insieme ma nelle specifiche qualità di ogni birra presa in esame. E questo valeva anche per i miei colleghi, produttori e addetti ai lavori, belgi compresi. Ho detto “era” perché in questo ultimo periodo la crescita esponenziale di beerfirma ha portato ad una confusione di ruoli ed attribuzioni che sta suscitando pareri contrastanti ed una vera e propria ondata di protesta da parte dei birrai che fanno la loro birra e che non vogliono essere mescolati con chi la birra la va a fare da altri. Problema attualissimo che si ripresenta ad ogni festival nazionale ma che quest’anno sta esplodendo in tutta la sua potenza. Anche in altri paesi nascono beerfirm a getto continuo ma mi limiterei a prendere in considerazione la situazione italiana e quella belga, di gran lunga le due più emblematiche ed interessanti. Vedremo come inaspettatamente da noi il fenomeno non venga generalmente demonizzato e come invece in Belgio scateni dure opinioni, opposte e contrastanti.
DAVIDE BERTINOTTI
Nella homepage del suo imprescindibile sito www.microbirrifici.org Davide Bertinotti, già nel settembre 2012, sottolineava come il panorama birrario italiano stesse rapidamente cambiando con conseguente rapida crescita dell’offerta con numerosi soggetti che si affacciavano sul mercato. Davide individuava come uno dei principali problemi del settore della birra “artigianale” italiana, quello delle dimensioni aziendali in media troppo piccole e quindi con redditività basse unite a prezzi al dettaglio più alti della media europea. Gli alti costi degli impianti produttivi ed una scoraggiante burocrazia favorirono il nascere di un nuovo soggetto sul mercato: le “beer firm” ossia aziende che “prendono in affitto” gli impianti altrui per produrre birra a proprio marchio e con propria ricetta. Da me interpellato nel marzo 2014 l’opinione di Davide è che si tratti di un fenomeno necessario, che possa aiutare a superare il nanismo dimensionale degli impianti nostrani. Con le beerfirm i birrifici sono in grado di massimizzare la capacità produttiva abbattendo i costi fissi e nel contempo i beerfirm possono testare il mercato senza ingenti investimenti. Sarà’ poi il mercato a stabilire (o dovrebbe almeno farlo) il prodotto a migliore prezzo/qualità. Quindi come consumatore a Davide non importa se la birra arriva da un birrificio con impianto o da una beerfim, l’importante resta sempre il contenuto. Con un dettaglio importante: che sia garantita massima trasparenza nella comunicazione (da sito e da etichetta): sia chiaro insomma che la ditta è una beerfirm e sia indicato l’impianto reale di produzione. Mi fanno comunque ridere, conclude il suo pensiero Davide, i produttori che si indignano nei confronti dei beerfirm e che magari affittano il propri impianto. Pecunia non olet.
AGOSTINO ARIOLI
Passo ora all’opinione di Agostino Arioli, fondatore e birraio del Birrificio Italiano, uno dei pionieri e tuttora grande protagonista dell’inarrestabile Renaissance della birra artigianale nel nostro paese. “Personalmente non ci vedo niente di male. Mi sento di dire che tutte le critiche che ho ascoltato erano poco chiare nelle motivazioni (a volte ho sentito puro astio) e mi sono sempre sembrate nascondere una forma di paura e di protezionismo o corporativismo di bassissima lega. Tutte le prerogative della birra artigianale per come secondo me dovrebbe essere, dalla passione, alla creatività, passando per la selezione delle materie prime, la non pastorizzazione e stabilizzazione, l’indipendenza dalle major, la cura della filiera distributiva e delle fondamentali relazioni umane coinvolte, possono essere applicate anche da una Beer Firm” “In parole più semplici, se un birraio capace e motivato, impossibilitato per motivi economici a realizzare il suo impianto, trova un capace birrificio disposto ad ascoltarlo e a collaborare con lui nella realizzazione delle sue ricette, va benissimo perchè le birre avranno carattere e saranno buone.
Se l’approccio è solo mercantilistico o poco professionale non mi va bene perché il risultato darà birre nella migliore delle ipotesi inutili o più probabilmente addirittura cattive. Lo stesso però si può dire per alcuni (forse anche parecchi) birrifici con impianto e quindi non vedo alcuna differenza. In buona sostanza è una strada assolutamente legale che chiunque può decidere di percorrere, inclusi i birrai con impianto che mugugnano di trucchi o di scorciatoie o di concorrenza sleale” “Il mio esempio: per due anni circa, dal 2010 al 2011, avendo saturato le capacità del nostro impianto ho deciso di far produrre le nostre weizen ad un altro birrificio. Ho cercato il meglio e l’ho trovato in Alfredo Riva di Manerba. Ci siamo incontrati più volte per parlare della mia ricetta e di come applicarla da lui, abbiamo fatto alcune cotte assieme e siamo partiti. Ha funzionato alla grande dal punto di vista della qualità e tutti sono rimasti contenti. A dirla tutta, per noi, proprio l’aspetto economico era estremamente problematico, perché se non ci abbiamo perso soldi, poco ci manca (mentre questo è il punto ai quali molti si attaccano per invocare concorrenza sleale). Ovviamente il mio approccio alla produzione esterna non era cambiato di una virgola rispetto a quella interna e solo Alfredo ha potuto sopportare la mia puntigliosità!”
BUSKERS BEER
Doveroso ora dare la parola alle due beerfirm classificatisi prima e seconda in una recente competizione via web, che rappresentano due realtà diverse, i “gipsy brewers” del Buskers ed il più “canonico” Birrificio di Sorrento.
Parto da Mirko Caretta, anima del progetto Buskers. “Il progetto Buskers Beer nasce circa 3 anni fa, in pieno Agosto, dopo una programmazione di circa 1 anno tra ricette, grafica, ideazione, sviluppo e tante tante chiacchere con gli amici birrai. In principio volevo fare una birra con il marchio del mio beershop, il bir&fud beershop a Roma, ed ho proposto l’idea a Moreno Ercolani di Olmaia, l’unione delle due menti stava partorendo una sorta di birra di Moreno rinforzata, quando complice qualche consiglio del nostro amico Leonardo Di Vincenzo (Birra del Borgo), ho cambiato totalmente idea ed il progetto ha preso una nuova piega”
“I Buskers sono gli artisti di strada, senza “casa” ed è il motivo per il quale ho scelto questo nome: artisti birrai senza birrificio”E’ un progetto che si basa sulla passione per le birre ed una forte amicizia con i birrai. In più tanta voglia di divertirsi, la passione per la musica e il cinema, l’arte ma soprattutto di sperimentare nuove birre. Il filo che tiene collegate tutte le birre in effetti è proprio la voglia di creare nuove ricette. Di solito creo una ricetta, ne parliamo con il birraio e si ordinano le materie prime. Alla fine si sceglie una data buona e si parte! Vado quasi sempre a produrre, e con il tempo ho imparato moltissimo. Il progetto Buskers Beer deve poter far crescere tutti. E’ un continuo scambio di idee, consigli, esperienze. E per ora noto che sta funzionando. Anche nella scelta delle etichette e dei nomi si fa sempre riferimento a qualcosa a cui teniamo, come già detto, dalla musica al cinema all’arte (nella sua totalità). Secondo me, dare un senso ad un prodotto come la birra artigianale, curando anche i dettagli è un punto molto importante. I disegni sono frutto della collaborazione che ho stabilito 3 anni fa con l’artista spagnolo Felideus, ne sono tutti entusiasti”
“La prima tappa fu proprio Moreno Ercolani dell’Olmaia con la Ecstasy of gold, dedicata al genio di Ennio Morricone, per la musica del Buono il Brutto il cattivo. Dalla collaborazione con Birra del Borgo sono nate la Belgian IPA Dave, la Dark Strong ale Kashmir, la Blond Ale Lady Moana e le due Saison Graveyard e Guybrush. Col Bi-Du è nata la Black Ale Paranoid, con Extromnes la Hop Tripel Devotchka con chiaro riferimento al cult movie Arancia Meccanica, con Menaresta la Ezekiel, American Pale Ale dedicata al genio di Quentin Tarantino. Con Foglie d’erba l’IPA Big Sur, col Ducato la witbier Nausicaa e la Black Belgian Ipa Black Junkie, con Freelions la Double ipa Double jagger, con Opperbacco la California Uber Alles, ovviamente una California Common, per la Casa di Cura, la Scotch Ale Peacemaker e la Golden Ale Schiatsu ed infine con il Birrificio Perugia la Black IPA Blacula. In attesa di uan collaborazione all’estero che si materializzerà al più presto. Dal 2014 è iniziato un nuovo progetto buskers, il 2.0. Ho iniziato ad acquistare dei fermentatori da mettere direttamente nei birrifici per produrre con costanza per dare la possibilità a tutti di assaggiare le nostre birre e programmare bene le cotte. Ma soprattutto per avere disponibilità per il nostro pub, il Buskers”.
BIRRIFICIO DI SORRENTO
Per far ben capire quanto possa essere diametralmente diversa l’ ideazione e la concezione di una beerfirm, ho coinvolto nella discussione i due cognati sorrentini Giuseppe Schisano e Francesco Galano.
“Il Birrificio Sorrento nasce nel 2009 ma in realtà è frutto di un sogno e di una passione, coltivati da tanto tempo, a cominciare dai racconti sul primo Microbirrificio d’Italia nato, nei primi anni ’80, proprio a Sorrento. Il sogno e la passione sono di Giuseppe Schisano e Francesco Galano. Come la maggior parte dei birrai artigianali italiani hanno cominciato come homebrewers, termine anglosassone per descrivere l’hobby di farsi la birra in casa. Il primo a partire è Giuseppe che fin da subito comincia a studiare ogni singolo elemento, o per meglio dire, ogni singolo ingrediente della Birra: dall’acqua alle spezie”
“Il desiderio era quello di acquisire la padronanza delle materie prime, far proprie quelle conoscenze che gli permettessero di scegliere, con consapevolezza, un malto piuttosto che un altro, ma soprattutto che gli permettessero di capire, quando il risultato non era quello sperato, cosa non era andato per il verso giusto e su cosa apportare modifiche. Nel frattempo cominciarono a girovagare per l’Italia partecipando a manifestazioni, incontri internazionali con birrai stranieri, degustazioni, visitando impianti di produzione, corsi di imprenditoria birraria e concorsi. Nel loro peregrinare strinsero parecchie conoscenze e più di qualche amicizia con Birrai italiani e stranieri. All’esperto di turno sottoponevamo le loro creazioni fugando dubbi e scambiando impressioni. Erano sempre spinti dalla volontà di acquisire la consapevolezza di ciò che si stava facendo”
“E’ stata una crescita continua e costante (“Un Birrificio…a piccoli passi ma ben calibrati” come lo ha definito Kuaska) anche di soddisfazioni. Nel 2006 l’incontro con Lorenzo Dabove, in arte Kuaska, massimo esponente della Birra Artigianale Italiana, ormai aveva fatto esplodere quella passione che ancora oggi li spinge a sopportare fatiche, sacrifici e sveglie prima dell’alba. L’amicizia con Mario Cipriano, già proprietario e mastrobirraio del Birrificio Karma, e i suoi incoraggiamenti ci spinsero ad elaborare un progetto che prevedeva l’installazione di un impianto in Penisola Sorrentina il “Birrificio Sorrento”. Ben presto per le difficoltà burocratiche capirono che i tempi di realizzazione erano piuttosto lunghi. Scissero il progetto in due fasi: la prima, ormai realizzata, prevedeva di riportare la Birra Artigianale a Sorrento, contemporaneamente continuarono a lavorare per riportare anche gli impianti di produzione. Proposero ad altri Birrai l’idea di prendere in fitto gli impianti per produrre la loro Birra. Questo modo di produrre birra è stato preso in prestito dal Belgio, paese dalla millenaria cultura Birraria, e che grazie a Kuaska hanno imparato a conoscere”.
“Le Birre del Birrificio Sorrento nascono da ricette proprie. Giuseppe e Francesco le sperimentano, le perfezionano e le producono personalmente. Le prime produzioni furono fatte sull’impianto del Birrificio Karma e qualcosa sul primo impianto di Birra del Borgo. Poi stabilmente abbiamo prodotto sull’impianto di Maneba. Attualmente in località Massa Lubrense, il polmone verde della Penisola Sorrentina a pochi passi da Sorrento, è attivo il nostro primo impianto che ci dà la gioia di produrre le nostre Birre su un impianto di nostra proprietà. Il prossimo progetto è già in atto in quanto abbiamo acquistato un terreno su cui sorgerà il prossimo impianto del Birrificio Sorrento più grande e moderno.
“Produrre come Brew Firm per noi è stata, in un periodo storico molto difficile, una scelta obbligata e “fortunata”. Abbiamo cullato per tanto tempo di poter mettere su un impianto ma volevamo farlo a casa nostra il che ha decuplicato le difficoltà. Se volevamo produrre la nostra Birra artigianale potevamo farlo solo così. Ma non tutti i mali vengono per nuocere. Essere Brew Firm, fin da subito, ha mostrato i suoi vantaggi: produrre senza accollarsi le spese di un impianto e contemporaneamente si testava il mercato. Vi sono altri vantaggi come quello di poter produrre su impianti diversi, il che ti fa acquisire notevole esperienza, nonchè venire a contatto, sul campo e non scambiando quattro chiacchiere con amici birrai, con filosofie birrarie diverse”.
“Il rovescio della medaglia è stata la difficoltà di far capire che eravamo noi effettivamente a produrre e che avevamo il Know-how per farlo. Abbiamo dovuto lottare per identificarci come brew firm e non essere scambiati per birra a marchio. Pensa che Unionbirrai non accettò la nostra iscrizione. In seguito hanno creato proprio una sezione a parte alla quale non partecipai perché, per come era concepita, non c’era nessuna differenza tra noi e le birre a marchio. Ci tengo a precisare che sono sempre stato, e lo sono ancora, in ottimi rapporti con Unionbirrai. Probabilmente quattro anni fa c’era molta confusione in merito anche tra gli addetti ai lavori. Per sconfiggere le ritrosie nei nostri confronti abbiamo puntato sempre sulla qualità e pulizia delle Birre e il farci conoscere di persona comunicando cosa facevamo, come e perché lo facevamo. Pian pianino ci hanno “accettato” e ci stanno apprezzando. Tecnicamente le difficoltà di produrre su altri impianti sono in primis quella di tarare le ricette su impianti di concezione diversa, soprattutto se si utilizzano materie prime non usuali come le bucce fresche di limoni di Sorrento IGP”
“In alcuni casi bisogna convincere il “padrone di casa” che determinate cose devono essere fatte in maniera diversa da come ha sempre fatto, questo però dopo la prima produzione non diventa più un problema anzi diventa una vera e propria collaborazione nello sperimentare cose diverse. Io avevo una vera e propria valigia del Birraio, in modo da non dimenticare nulla, in cui c’era sempre tutta la mia strumentazione che portavo con me: ph-metro, rifrattometro, pelalimoni, qualche piccola bilancia, spezie e tante altre cosine. In sintesi credo che sia fondamentale distinguere i brew firm dalle birre a marchio. Dove i primi, oltre ad avere la proprietà intellettuale della ricetta, sono sempre presenti in produzione e si assumono tutte le responsabilità. Quando sorgeva un problema in produzione io ero l’unico, come è giusto che fosse, a dover prendere una decisione e conseguentemente ad assumersi la responsabilità sia nei confronti del mio Birrificio che nei confronti di quello che ti ospita. La birra a marchio ordina la birra che gli serve ed ha solo l’incombenza di doverla commercializzare. Un po’ pochino mi sembra”
“Detto ciò per noi l’esperienza da Brew Firm è stata importantissima sia a livello tecnico che a livello commerciale, ma anche da un punto di vista umano in quanto con il Birraio che ti ospita si stringe un amore fraterno. Nonostante tutto è un’esperienza che non può durare per sempre. Con Nello e Mario abbiamo mangiato e dormito insieme tantissime volte e ci siamo divertiti tantissimo. Dopo qualche anno, però, senti il bisogno di avere un’identità, senti la necessità di sperimentare qualcosa di nuovo senza aspettare la disponibilità, senti la necessità di avere un impianto tutto tuo. Qualche volta mi è capitato che mi abbiamo detto: “ Birrificio Sorrento? Ma in etichetta c’è scritto prodotta a Striano?”. Se sei presente spieghi come stanno le cose ma in caso contrario rischi di non essere più credibile. Da qui la decisione di fare un impianto di transizione che spero ci darà qualche altra soddisfazione.”
VANNI BORIN
Ma non solo in Belgio, come vedremo, c’è chi è contrario e attacca le beerfirm. Da noi tra i più feroci e polemici detrattori troviamo il bravissimo publican Vanni Borin del Drunken Duck di Quinto Vicentino che non usa certo mezze misure e che ho significativamente scelto anche perché opera in una delle regioni con un alto e crescente numero di beerfirm.
“Ho scelto di non proporre beerfirm nel mio locale, afferma Vanni, perché spesso e volentieri trovo idee campate in aria e prive di un vero e proprio progetto, con birre prive di anima e spesso anonime. Progetti imbastiti in quattro e quattr’otto da persone poco competenti pronte a cavalcare l’onda sempre più crescente del movimento artigianale birraio. So che non è così per tutti le beerfirm, ma è anche vero che quelli più preparati investono in un impianto di produzione propria perché alla lunga diventa controproducente anche per loro. Cito il caso di Birra Olmo di Padova con progetto serio, solide idee di base e schietta preparazione, penalizzato spesso e volentieri dalla birra che si trovava all’interno delle loro prime bottiglie per produzioni sbagliate dipendenti dai birrifici a cui affidavano la produzione. Inoltre non trovo concepibile di vendere una birra senza “birraio”. Ci sono anche casi positivi come il romano Stavio o l’emiliano Bellazzi dove i birrai entrano effettivamente in birrificio e si occupano personalmente della propria produzione negli impianti ospitanti”
“È anche vero che è difficile trovare birrifici che abbiano piena fiducia a lasciare i propri impianti a terzi. Così ci stiamo trovando in un mercato, ancora in crescita e sconosciuto alla maggioranza, con un sacco di marchi nuovi che appaiono per un breve periodo, creando grande confusione nel consumatore. Io credo che investire in prima persona in qualcosa comporti un impegno diverso nei confronti sia del pubblico sia della propria famiglia perché tale impegno diventa totale. Spesso ci si trova di fronte a chi, dopo due cotte, passa la ricetta in birrificio, millantandosi birraio. Io ho paura che se questo fenomeno non viene regolarizzato e regolamentato, nel giro di qualche anno ci troveremo con più beerfirm che birrifici con il proprio impianto”.
IL FENOMENO IN BELGIO
Sul fronte belga, dove questo fenomeno, esistente da decenni, sta accelerando notevolmente con continua nascita di beerfirm anche minuscole chiamate hobby brouwers, nano e pico brouwerij, ho sollecitato le opinioni autorevoli e decisamente contrastanti di Yvan De Baets, geniale birraio della bruxellese Brasserie de la Senne (ex bierfirma e oggi affermatissima realtà anche a livello internazionale) e Yannick De Cocqueau, responsabile dello Zythos Bier Festival, la maggiore rassegna dedicata ai produttori del Belgio.
IL MANIFESTO DI YVAN DE BAETS
Yvan dall’aspetto pacato e timido, in realtà è un fiero oppositore del fenomeno bierfirma e si è fatto promotore di una “dichiarazione di guerra” tramite un vero e proprio manifesto dal titolo “La “Birra Belga” in pericolo, il Regno della truffa e della falsità”, che mi ha passato ancor prima di renderlo pubblico. Eccolo qua nella sua stesura completa.
“ La birra belga, ritenuto uno dei nostri ultimi orgogli nazionali, è attualmente in grave pericolo. In effetti, una manciata di imprese votate a puri scopi commerciali sta per rovinare seriamente la nostra reputazione. Intendiamo delle imprese gestite da falsi birrai in opposizione alle birrerie autentiche. Si tratta di imprese commerciali che vendono birra che non producono, facendosi passare, più o meno sottilmente, come fabbriche di birra reali. Le loro birre sono in realtà fatte da produttori di birra che si sono specializzate nella produzione conto terzi. Due birrerie belghe delle quali, detto per inciso, rispettiamo i leader, produttori di birra come noi, si sono specializzate in questo tipo di business, mentre altre birrerie classiche producono birre per altri in misura marginale rispetto alla loro produzione regolare”
“Attualmente, in seguito ad un crescente interesse per la birra in Belgio aprono birrerie ogni 15 giorni. Stimiamo che circa il 75% di queste imprese di birreria non hanno che il nome e che nessuna birra è realmente prodotta da loro, in poche parole non posseggono impianto di produzione. Nei casi più deprecabili di manipolazione del consumatore e dei media, questi falsi birrai presentano, davanti alle telecamere, birre fatte da loro in quantità irrisoria, a volte non più di una casseruola, mentre quello che si ritroverà in commercio sarà fatto da altre birrerie. Altre imprese acquistano materiale solo per esibire un impianto mentre la maggior parte della produzione viene effettuata altrove”
“Il fenomeno non è nuovo, marchi ben conosciuti sono venduti da falsi birrai da molti anni ma oggi si sta espandendo in modo nuovo, amplificato dai nuovi media, strumenti ideali per manipolare i consumatori in una scala fino ad ora inedita. Il “falso-vero” diventa la norma. Sono imprese molto aggressive commercialmente e quindi molto pericolose per l’immagine che danno alla birra belga. Si tratta principalmente di persone che non sono birrai sia perché non hanno né l’esperienza né la formazione e le loro imprese si avvalgono in generale di uno splendido sito internet e sono sempre in caccia ai media a cui raccontano storielle ricevendo in cambio passaggio televisivi o articoli che assicurano loro pubblicità gratuita e fanno questo con grande talento essendo il marketing la loro priorità.
Si fanno riprendere davanti a vecchi bollitori di rame presso altri birrai davanti a personalità incaricate, a loro insaputa, di dar loro credito col risultato di poter ingannare l’ignaro consumatore usando parole ad effetto come “tradizione”, “innovazione”, “artigianato”, “rivoluzione”, “ecologia”, “co-creazione” ecc.Uno dei fattori più scioccanti è che questa gente sono la negazione del mestiere di birraio che svuotano di ogni significato. Nel loro mondo non c’è bisogno del birraio nel senso tradizionale del termine, sono fabbricanti di macchine o mercanti che si fanno passare per quello che non sono. Non seguono il percorso degli artigiani, creatori con idee proprie, ma quello di chi vuole disperatamente provare a cavalcare le tendenze del mercato al fine di poter vendere i loro prodotti più facilmente e ricavarne il maggior profitto. Tutto ciò si riassume in una sola parola: puro marketing”
“Ci troviamo davanti ad una pratica anti-creatrice, agli antipodi di quello che pensiamo debba essere l’essenza di un birraio che, eterno apprendista, elabora un prodotto personale, intimo, nel quale mette tutto il suo cuore, un prodotto originale che gli somigli e veicoli i suoi valori per condividere col pubblico l’amore che prova per le sue creazioni. Un percorso simile a quello di un artista ed i tre elementi fondamentali che si dovrebbero ritrovare nel lavoro del vero birraio sono le capacità, la personalità e il rispetto. Una persona o un’impresa che semplicemente produca interamente le proprie birre e che ne abbia il totale controllo”
“Al contrario, siamo in presenza di persone che provano a darsi l’immagine di birraio ma che obiettivamente non lo sono. Forse qualcuno di loro lo sarà in futuro ma al momento non padroneggiano e/o praticano il mestiere dato che lo fanno fare da altri. Lo diventeranno un giorno? Faranno buone birre? Artigianali? Nessuno può pretenderlo. E’ interessante sottolineare come questa gente calpesti la nozione di imprenditore, cioè quella figura che incarna il rischio, lo sforzo e il sacrificio. Nulla di tutto ciò in quanto si tratta solo di “sentire il mercato” senza investire in materiali, aspettando comodamente che un milionario, una banca o degli investitori creduloni, apportino i fondi necessari. Potremmo tranquillamente parlare di “concorrenza sleale”.
“Il “Made in Belgium” viene ridicolizzato, una professione e una capacità non vengono protette col risultato di mettere la reputazione della birra belga in serio pericolo in quanto il Made in Belgium indicato sull’etichetta non vorrà dire più nulla visto che si tratterà di birre fatte da non importa quale produttore del pianeta e vendute da gente che a fatto del “falso-vero” un modello economico”
“Tutti i veri birrai saranno messi in pericolo dai più grandi ai più piccoli. Un modello che tratta il cliente, belga o straniero, alla stregua di un piccione da spiumare al quale si può raccontare di tutto. Una vera e propria truffa per il consumatore che dovrebbe essere contrastata dalle associazioni deputate alla difesa del consumatore stesso. Un modello che spinge all’appiattimento ed omologazione del gusto dato che tutte quelle birre sono prodotte da un numero molto ristretto di birrerie che forzatamente trasmettono la loro impronta”
“La birra sta facendo fortemente tendenza e non è certo di questo che ci lamentiamo ma il rovescio della medaglia è che vengono attirati impostori che approfittano della credulità della gente per ricavare profitti senza rispettare alcun fondamento etico. Ecco perché il mestiere di birraio nel nostro cosiddetto “paradiso della birra” non è assolutamente protetto. Noi lanciamo dunque alle istituzioni e agli uomini politici del settore un appello perché sia sviluppata una legge atta a proteggere efficacemente il nostro mestiere. Un punto focale deve essere l’obbligo di un’indicazione chiara, su ogni etichetta, del nome della birreria che ha realmente prodotto il contenuto della bottiglia”
“Inoltre si dovrebbe permettere l’utilizzo del termine “ birreria” alle sole imprese di fabbricazione e vendita di birra che possiedono il proprio impianto dove effettuano l’intera produzione. Il rispetto per il consumatore deve garantire chiarezza e trasparenza. Il mestiere di birraio è per noi uno dei più belli al mondo ma è terribilmente duro e impegnativo e richiede una molteplicità di competenze aziendali ed è giunto il momento che le autorità lo protegga come merita. Dare visibilità al messaggio che chiunque possa mettere birre sul mercato definendosi birraio rappresenta non solamente una truffa per il consumatore ma anche un insulto a secoli di tradizione e di “savoir-faire”
YANNICK DE COCQUEAU
E ora sentiamo la campana di Yannick De Cocqueau, dirigente di Zythos.
“La mia personale opinione é che ci troviamo di fronte ad una situazione molto difficile e non del tutto chiara. Voglio affermare che abbiamo ottime birrerie ma ne abbiamo anche di meno buone, al tempo stesso abbiamo ottime bierfirma ma ne abbiamo anche di meno buone. Ci sono birrerie con il cuore e amore per il prodotto ma c’è ne sono anche che producono la maggior parte delle loro birre in altra birreria e/o se ne fregano altamente della qualità della loro birra o di ingannare il consumatore. Ci sono bierfirma con il cuore e amore per il prodotto ma c’è ne sono anche (per amor di verità, in numero leggermente superiore a quello delle birrerie) che se ne fregano altamente della qualità della loro birra o di ingannare il consumatore. In altre parole, vendere birre o aspirapolvere é uguale ore loro. Inoltre abbiamo bierfirma che considerano la loro esperienza come il primo passo verso l’acquisizione di un proprio impianto e diventare birrerie a tutti gli effetti ed altre che non hanno nessuna intenzione di fare una goccia di birra. Evidentemente la situazione non è chiara e lo Zythos ne è conscio. Il grosso problema è che noi vogliamo avere dei criteri oggettivi per fare la differenza e la presenza di un impianto di produzione attivo e riconosciuto potrebbe essere un buon criterio. Noi quindi non ci esprimiamo in termini di “meglio” o “non buono” ma vogliamo semplicemente poter aiutare il “vero” birraio a valorizzare il suo investimento, passo che una bierfirma non ha (ancora) fatto.”
Allo Zythos Bier Festival 2014, su 106 produttori presenti ben 28 (circa un quarto) erano bierfirma. Riguardo l’assenza di alcuni birrifici storici nello Zythos Bier Festival, sempre presenti in passato come ad esempio Sint Bernardus, Gouden Carolus e De Dolle Brouwers che accusano gli organizzatori di creare confusione o falsi messaggi ai visitatori, mischiando birrerie e bierfirma, Yannick De Cocqueau che, come detto, è il responsabile dell’evento, ci dice la sua. “La questione é semplice. I birrai ricevono l’invito più di un mese prima delle bierfirma quindi hanno tutto il tempo per decidere di iscriversi e partecipare e quindi avere una loro postazione assicurata. Se le birrerie, tramite la prelazione concessa, occupassero tutti gli stand disponibili, non ci sarebbe più posto per le bierfirma.”
LUIGI SCHIGI
Concludo questa lunga e approfondita disamina con l’opinione di Luigi “Schigi” D’Amelio del Birrificio varesino Extraomnes, eletto “Birraio dell’Anno 2013”, ben noto per la sua cultura ed intelligenza associate alla sua altrettanto nota “vis polemica” e da me molto apprezzato anche per il suo “frankly speaking”. Ecco cosa “il mio fratello minore” mi ha detto al riguardo.
“Come in quasi tutte le domande sulla birra (e non solo…) la risposta è “Dipende!” Ci sono beerfirm capitanate da grandi appassionati e potenzialmente grandi birrai, che scelgono questa strada solo perché non hanno la possibilità di fare l’investimento per l’apertura di un proprio birrificio…in questi casi spesso viene selezionato l’impianto che gli ospiterà, anche avendo come discriminante la possibilità di “smanettare” personalmente sulla cotta e sulle successive operazioni di cantina e di imbottigliamento. Altri invece (ahimè, secondo me sono la grande maggioranza) sono guidati solo dalla mera volontà di fare business, sanno ben poco del processo, o almeno non riuscirebbero a seguirlo completamente, e si affidano al birrificio terzista mani e piedi, forse con l’unica indicazione di produrre uno stile di moda, ed ecco tutto un florilegio di APA anonime e totalmente inutili. In ambedue i casi l’unica cosa richiesta è comunque la chiarezza nei confronti del consumatore, troppe Beerfirm giocano sul filo dell’equivoco, del detto e non detto, e questo è deleterio per tutti”.
IN CONCLUSIONE
Da tutti i contributi raccolti si evince indiscutibilmente come la spinosa questione sia lungi da essere risolta o perlomeno anche solo serenamente affrontata e come riscuota pareri fortemente contrastanti. Più dura la presa di posizione dei birrai belgi e più morbida quella dei nostri. Come mai? Forse una delle molteplici chiavi di lettura può essere data dal fatto che in Belgio solo un paio di birrerie fanno tantissime birre per bierfirma mentre da noi c’è una maggiore polverizzazione. Le nostre beer firm possono scegliere tra molte opzioni possibili, trovando spesso nella stessa regione, produttori che accolgano le loro richieste. D’altronde, dato non trascurabile e forse mai abbastanza sottolineato, noi abbiamo circa il triplo di produttori rispetto il Belgio!
Articolo a cura di
Lorenzo Dabove In arte KUASKA
Degustatore birre e giudice internazionale
Responsabile culturale MO.BI.
Articolo pubblicato in originale sulla Guidaonline Birre Artigianali 2014 – Beverfood.com Edizioni.
Per scaricare la Guidaonline Birre Artigianali 2014:
www.beverfood.com/downloads/guidaonline-birre-artigianali-microbirrifici-e-brewpub-italia/
gli atri articoli di Kuaska pubblicati su beverfood.com:
2013 – DEFINIZIONE E PERCEZIONE DELLA BIRRA ARTIGIANALE IN ITALIA
2012 – FOCUS SULLA BIRRA ARTIGIANALE NEI PAESI SCANDINAVI
2012 – BIRRE ARTIGIANALI MADE IN ITALY: LO STRETTO LEGAME COL TERRITORIO
2011 – IL BOOM DELLE BIRRE BARRICATE SULL’ASSE AMERICA/ITALIA
2008 – THE THRILLING ADVENTURE OF THE AMERICAN “RENAISSANCE”
2008 – L’ESALTANTE AVVENTURA DELLA RENAISSANCE AMERICANA
2006 – BIRRA IN CUCINA
2006 – BIRRA ARTIGIANALE: DIECI ANNI DOPO LA NASCITA DEL “MADE IN ITALY”
2005 – IL BOOM DELL’ HOMEBREWING IN ITALIA
2004 – LAMBIC: L’ANELLO MANCANTE TRA LA BIRRA E IL VINO
2004 – INTERVISTA CON IAIN LOE, CAMRA (CAMPAIGN FOR REAL ALE)
2002 – L’INCREDIBILE SUCCESSO DELLA BIRRA ARTIGIANALE IN ITALIA
2001 – LA DEGUSTAZIONE DELLE BIRRE