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BIRRIFICIO DEL FORTE

 

Francesco Mancini, valente homebrewer agli albori del movimento artigianale, ha fatto il grande passo nel 2011, fondando il suo Birrificio del Forte a Pietrasanta, in Versilia dapprima col fido amico Zurgo, anch’egli bravissimo homebrewer. Le idee ben chiare sia dal punto di vista imprenditoriale che da quello relativo alle ricette delle sue birre hanno giocato un ruolo decisivo sull’indubbio successo che Francesco sta legittimamente riscuotendo e devono essere prese ad esempio da chiunque voglia intraprendere questa strada con senno ed intelligenza.
Ora tocca a Francesco parlarci della sua storia.

Kuaska e Francesco Mancini del Birrifico del Forte

Come e perché avete iniziato la vostra avventura.
Come ben sai, la nostra avventura inizia con l’incontro tra me (Francesco Mancini) e Carlo “Zurgo” Franceschini, due giovani homebrewer alle loro prime sperimentazioni. Tra qualche birra uscita meglio ed altre da “ritoccare” ci siamo fatti le ossa a suon di incontri e concorsi dove sottoponevamo le nostre “protobirre” ad assaggi di esperti. Negli anni siamo entrati sempre più dentro al mondo della birra artigianale, prima fondando con altri amici l’Ars Birraria, associazione nata con l’intento di promuovere appunto la cultura della birra.
Negli anni seguenti l’amicizia con Carlo si consolida ed iniziano i viaggi; insieme giriamo l’Europa alla scoperta di birre e birrifici. Nel frattempo, entro a far parte del consiglio direttivo di Unionbirrai, negli anni di grande sviluppo del concorso di Birra dell’Anno. Da qui, essendo ormai completamente immersi nel mondo brassicolo, la decisione di mettersi in gioco con un nostro birrificio che vede la luce nel 2011.
Quali birre/birrai/birrifici, sia italiani che stranieri, sono stati la vostra fonte d’ispirazione?
Per i birrifici esteri, personalmente porto nel cuore tanti nomi del Belgio conosciuti e visitati nei nostri primi anni allo Zythos. Sono molti, ma potrei nominare De Ranke (che all’epoca produceva anche per De la Senne), De Dolle, Glazen Toren, l’amico Laurent della Brasserie de Cazeau e molti altri. Per quanto riguarda il nostro territorio, essendo entrati da appassionati in contatto con i primi passi del movimento italiano, i nomi di chi ci ha ispirato sono Bi-Du, Lambrate, Baladin e Birrificio Italiano con Agostino, birraio esperto che negli anni non ha mai lesinato consigli disinteressati.
Differenze, nel bene e nel male, tra l’epoca della vostra partenza e quella attuale con particolare riferimento all’aria che tirava e che tira oggi.
Quando ci siamo approcciati al mondo della birra artigianale era come una piccola famiglia, ci conoscevamo tutti. Già quando abbiamo aperto l’aria stava cambiando, si affacciavano tanti volti nuovi e la concorrenza aumentava. Senz’altro i birrifici all’inizio si sono potuti permettere di inciampare su qualche birra ma allo stesso tempo hanno dovuto lottare contro un consumatore che non era pronto a prodotti artigianali. Oggi l’asticella della qualità si è alzata tantissimo ed un birrificio non si può permettere di partire all’avventura ma deve avere un piano ben strutturato. Negli ultimi periodi ci sono state le prime acquisizioni di marchi artigianali da parte dell’industria, segno che questo settore crea grande interesse.
La nostra apertura si inserisce nel mezzo di questo percorso, abbiamo potuto conciliare quella sensazione di lanciarsi in un’avventura senza però perdere il contatto con una strutturazione aziendale.
Avete qualche sassolino nelle scarpe?
Vedere molto, troppo spesso, le birre come una moda e non come una certezza. Oggi sembra che se non fai hype non sei nessuno, se non ti inventi la birra più strana non fai parlare. Troppa futilità! La concretezza di alcune birre è alla base di tutto il movimento. Tanti, troppi sedicenti appassionati alla ricerca del “che c’hai di nuovo”… Partiamo dalle basi e poi sperimentiamo, sempre con senno. La costanza e l’equilibrio non li ottieni se non con duro lavoro.
Cosa vi fa andare avanti e quali sono le prospettive future?
Il Birrificio del Forte si è imposto fin dall’inizio per la sua ricerca di classicità ed equilibrio. Le nostre birre non fanno tendenza ma puntano ad essere delle certezze per i nostri consumatori (appassionati?). Ad oggi stiamo vivendo una grande fase di strutturazione, i tempi sono cambiati e bisogna essere sempre più imprenditori. Le nostre birre ci aiutano tanto in questo, vincendo molti premi nei più importanti concorsi e facendo conoscere il Birrificio del Forte a sempre più persone che diventano poi amici e fedeli consumatori (appassionati?). (Qualche nota in più sul futuro? Giusto per mettere qualche pulce nell’orecchio).
Il Birrificio del Forte si è contraddistinto, fin dall’inizio, per la sua ricerca di classicità ed equilibrio. Le nostre birre non fanno tendenza ma puntano ad essere delle certezze per i nostri appassionati. Ad oggi stiamo vivendo una grande fase di strutturazione e di crescita, i tempi sono cambiati e bisogna curare sempre più aspetti all’interno del birrificio. Le nostre birre ci aiutano tanto in questo: vincendo molti premi nei più importanti concorsi fanno conoscere il Birrificio del Forte ad un pubblico sempre più ampio e sempre più esigente. Da qui dobbiamo essere bravi noi a far appassionare parte di questo pubblico alle nostre creazioni ed alla nostra filosofia cercando di comunicare quello che siamo e quello che facciamo nel modo più diretto e trasparente possibile. Tutto questo è ciò che ci spinge avanti quotidianamente e che ci rende parte di una missione condivisa da tutti all’interno del birrificio.
Progetti per il futuro… ce ne sono tanti! Alcuni a breve ed altri a lungo termine. Quello che posso dire con certezza è che quest’anno usciremo con la terza creazione della linea “Le Radici”. Questa novità, in uscita nella prossima primavera, si affiancherà a Il Tralcio e alla Birrasanta con l’obiettivo di rievocare un prodotto tipico della tradizione enologica rivisitato in chiave brassicola.
Una battuta per concludere: “Quale birra avreste voluto creare voi e che invidiate ai vostri colleghi, sia italiani che stranieri?”.
La Nigredo del Birrificio Italiano. Provo per questa birra un’attrazione unica, adoro il gioco tra le parti che fanno le tostature, le note amaricanti ed una morbidezza che non ti aspetti. Non l’ho mai nascosto ad Agostino e colgo l’occasione per confermarglielo, ha fatto un prodotto favoloso. Frutto di una sperimentazione con senno.

 

BIRRIFICIO STRADAREGINA

 

Andrea Branchini con Alessio Sabatini del Birrificio Stradaregina e Kuaska

Tocca ora rispondere alle mie domande, ad Alessio Sabatini, birraio dotato di capacità e competenze tecniche davvero notevoli, che, con l’amico Andrea Branchini, nel 2012 ha dato vita al Birrificio Stradaregina a Vigevano, città che oltre ad una delle piazze più belle del mondo, ha svolto e svolge tuttora un ruolo di protagonista nel nostro vivacissimo movimento artigianale. Fu proprio a Vigevano, nello storico pub La Frottola dei fratelli Leoni, che tenni, più di vent’anni fa, serate e corsi pioneristici cui partecipavano “carbonari” che in seguito divennero protagonisti della Renaissance italiana come Riccardo Franzosi di Montegioco che portava le sue sperimentazioni, Alessio Selvaggio di Croce di Malto con la moglie Erika che trascriveva tutto ciò che io dicevo, Allo Gatti, oggi a Canediguerra e, tra gli altri, un publican che timidamente mi invitava nel suo pub della vicina Nicorvo. Eh sì, l’avrete indovinato, si trattava di Nino Maiorano. Sempre a Vigevano tenevo regolarmente corsi ideati da Enzo Pinelli nel suo beershop “Il Magazzino della Birra” ed eventi di alto livello come i festival “Birre vive sotto la torre”, invernali ed estivi, nella suggestiva location del Castello Sforzesco. La tradizione continua tramite le molteplici attività ed eventi della recente, vivace ed intraprendente società Beerinba, creata da Enzo e la compagna Barbara e con la presenza, oltre che di Stradaregina, del Birrificio Conte Gelo, in costante progresso qualitativo. Lascio ora la parola ad Alessio Sabatini.
Come e perché avete iniziato la vostra avventura.
Personalmente ho iniziato a produrre birra a livello amatoriale a cavallo tra il 1999 e il 2000. Fin da subito mi sono appassionato all’homebrewing, affascinato da tutti quei processi che portano dal chicco al bicchiere, sperimentando le infinite combinazioni dell’all-grain. Da qui il sogno di aprire un birrificio, percorso comune con la stragrande maggioranza dei birrai italiani. Il progetto di apertura si è realizzato nel 2011, fondando il birrificio Stradaregina insieme al mio socio Andrea Branchini.
Quali birre/birrai/birrifici, sia italiani che stranieri, sono stati la vostra fonte d’ispirazione?
Ritengo che di grande ispirazione per me sia stata la Brasserie D’Achouffe, quando a gestire la sala cottura c’era ancora Pierre Gobron. Ricordo con un sorriso quando da bevitori giovani e inesperti si andava a degustare la “birra dei nani” (disegnati in etichetta) in una birreria di paese, e lo sguardo tra l’incuriosito e il disgustato degli amici notando i lieviti in sospensione dopo la versata. Nel periodo festivo la N’Ice Chouffe era qualcosa di magico. Anni dopo andai a visitare il birrificio, tutto era cambiato… Furono tra le prime produzioni artigianali belghe a cui mi approcciai, bevendole mi aprirono un mondo.
Differenze, nel bene e nel male, tra l’epoca della vostra partenza e quella attuale con particolare riferimento all’aria che tirava e che tira oggi.
Dall’anno di apertura ad oggi sono passati circa 8 anni, un lasso di tempo relativamente breve ma di grandi cambiamenti sulla scena brassicola italiana. La craft revolution è esplosa sul territorio con una forza dirompente. Rispetto agli anni passati, dove la birra artigianale veniva vista più con sospetto che con curiosità da parte del consumatore, si è fatta molta strada a mio avviso. Oggi il numero di birrifici è cresciuto in maniera esponenziale, la qualità media dei prodotti offerti è notevolmente aumentata e la conoscenza da parte del consumatore si è di gran lunga affinata. Ricordo quando partimmo con il progetto sour, all’epoca ad apprezzare questo tipo di birra eravamo pochissimi. Parlandone con amici e colleghi la risposta fu più o meno “Non sei coraggioso, sei pazzo. Non funzionerà mai”. Oggi è un segmento che da strettamente di nicchia sta vedendo a mio giudizio la sua epoca d’oro.
Avete qualche sassolino nelle scarpe?
Il sassolino nella scarpa, che ha più le dimensioni di un macigno, è senz’altro dedicato all’approccio che hanno avuto le istituzioni verso un settore in controtendenza rispetto alla crisi dilagante in Italia. Lo stato, invece di vedere i microbirrifici italiani come un fuocherello acceso su legna umida, da proteggere ed aiutare a svilupparsi, ha scelto una chiave di lettura diametralmente opposta incrementando continuamente i dazi e le complicazioni burocratiche con una gestione da parte degli accertatori degna del Far-West. La birra artigianale italiana è fonte di orgoglio all’estero, si veda l’avvento delle I.G.A. e le grandi interpretazioni di stili birrai da parte di produttori italiani che si stanno facendo notare in giro per il mondo. Una scarsa tutela da parte dello Stato è esiziale ai produttori per essere competitivi con le multinazionali e sui mercati esteri.
Cosa vi fa andare avanti e quali sono le prospettive future?
Ci spingono ad andare avanti innanzitutto i numeri, la nostra produzione è in lento ma costante aumento di anno in anno. Pian piano troviamo sempre più consensi sia sul mercato italiano che all’estero. L’apprezzamento dei nostri prodotti da parte dei clienti finali è fonte di grande soddisfazione per noi, cerchiamo costantemente di “mettercela tutta”.
Una battuta per concludere: “Quale birra avreste voluto creare voi e che invidiate ai vostri colleghi, sia italiani che stranieri?”.
Le tre birre che avrei voluto creare io sono in primis la Hel & Verdoemenis di De Molen, birrificio che stimo moltissimo. I primi batch che arrivarono in Italia dal primo impianto da 500 litri di Bodegraven furono qualcosa di completamente nuovo sul mercato, personalmente me ne innamorai subito. La seconda è la Aardmonnik /Earthmonk di De Struise, altro birrificio che adoro. Un’esplosione di aromi di una complessità pazzesca. La terza è la Mamouche di Cantillon, ha insegnato a tutti noi che la birra e i fiori di sambuco sono un connubio perfetto.

BIRRIFICIO DELL’EREMO

 

L’Umbria era un “deserto dei Tartari” fino a pochi anni fa mentre oggi può vantare birrifici pluripremiati e, cosa ancor più importante da sottolineare, producenti birre di grande qualità e carattere. è proprio questo il caso di Birra dell’Eremo, fondata a fine 2014 ad Assisi da Enrico Ciani, maniaco studioso e ricercatore nell’affascinante campo dei lieviti. I suoi brillanti risultati gli hanno giustamente valso una reputazione e una stima sempre più consolidate.
Sentiamo dunque Enrico.
Come e perché avete iniziato la vostra avventura.

Il team del birrificio dell’ Eremo

Il viaggio Birra dell’Eremo è iniziato durante i miei studi universitari. Durante un corso di tecnologie alimentari ho seguito una lezione sulla produzione brassicola. Sono stato talmente trascinato e colpito dai suoi incredibili ed innumerevoli aspetti che ho cercato da lì in avanti di scoprire ogni suo segreto. In quel periodo ho deciso che sarebbe stata la mia professione e mi sono impegnato per far si che diventasse tale.
Quali birre/birrai/birrifici, sia italiani che stranieri, sono stati la vostra fonte d’ispirazione?
Non c’è dubbio che il birrificio che ho ammirato sin dall’inizio sia stato, per diversi motivi, Birra del Borgo. Chiaramente ho ammirato le birre che lo hanno sempre contraddistinto, come la Reale o l’Equilibrista, ma la cosa che più mi ha ispirato è come siano riusciti a fare squadra e creare un team di lavoro affiatato e professionale.
Differenze, nel bene e nel male, tra l’epoca della vostra partenza e quella attuale con particolare riferimento all’aria che tirava e che tira oggi.
Le differenze sono molte e sostanziali. Nel 2012 quando abbiamo aperto c’era un clima di rivoluzione, si respirava nell’aria la voglia di creare un mercato. Oggi la nostra attenzione si è spostata al consolidamento e la ricerca di nuovi mercati. Prima i prodotti si facevano conoscere attraverso, principalmente, le fiere e le manifestazioni in giro per l’Italia. Oggi la rete è il luogo più utilizzato, all’interno del quale, farsi notare è diventato esasperazione.
Avete qualche sassolino nelle scarpe?
Sinceramente non ho sassolini nelle scarpe, ho sempre svolto il mio lavoro con estrema serenità e tranquillità seguendo unicamente la mia passione.
Cosa vi fa andare avanti e quali sono le prospettive future?
Sicuramente fare ciò che ti piace e che più ti appassiona è la spinta più grande.
Una battuta per concludere: “Quale birra avreste voluto creare voi e che invidiate ai vostri colleghi, sia italiani che stranieri?”.
Xyauyù di Baladin.

 

BATZEN BRAU

 

Se volete passare un bel weekend e non avete assillanti problemi di dieta e soprattutto un fegato allenato, fate un salto in centro a Bolzano, nel brewpub Batzen Bräu, nato nel 2012. La prima volta che feci la conoscenza di Robert “Bobo” Widmann, il suo birraio Christian “Pitch” Pichler, la sua birraia Alice Benecchi e il suo entourage, fu in un viaggio in Belgio per il Brassin Public Cantillon. Mi aspettavo un gruppo serioso e composto che parlando perlopiù in tedesco, restasse un pò isolato dagli altri partecipanti, provenienti da tutta Italia. Invece ho scoperto dei “caciaroni”, sempre pronti a ridere e divertirsi che, grazie ad un’innata simpatia e contagioso entusiasmo hanno contagiato e trascinato tutto il gruppo. Da allora, il nostro rapporto divenne stretto e carico di stima ed affetto reciproci.
Sentiamo Bobo come abbia risposto alle mie domande.
Come e perché avete iniziato la vostra avventura.
Sono sempre rimasto affascinato dal lavoro artigianale, veder nascere il prodotto dalle proprie mani e soprattutto poter mettere tutta la passione per realizzare qualcosa di reale.

 

Robert Widmann di Batzen Brau e Kuaska

 

Quali birre/birrai/birrifici, sia italiani che stranieri, sono stati la vostra fonte d’ispirazione?
Negli anni ’80 ho viaggiato all’estero nel momento in cui iniziavano a nascere diversi birrifici artigianali, con la caduta della “cortina di ferro”, ho potuto visitare il mitico birrificio di Praga U Fleku di cui ricordo ancora il meraviglioso sapore della sua birra scura. è stato in quegli anni che ho maturato l’idea di poter fare birra.
Differenze, nel bene e nel male, tra l’epoca della vostra partenza e quella attuale con particolare riferimento all’aria che tirava e che tira oggi.
All’epoca, in Italia, non c’erano birre artigianali, esistevano solo quelle industriali tutte filtrate e di colore giallo paglierino. Solo attraverso I miei viaggi ho potuto apprezzare la bontà della birra artigianale e la varietà dei suoi colori, sapori e consistenza. Oggi ci sono mastri birrai altamente qualificati le cui specifiche competenze gli permettono di alzare l’asticella verso nuove frontiere.
Avete qualche sassolino nelle scarpe?
Nell’immaginario collettivo della mia regione, pur essendo la birra un prodotto conosciuto da tempo, essa resta per troppa gente un prodotto “standard” con caratteristiche immodificabili. Questo lo ritengo un limite.
Cosa vi fa andare avanti e quali sono le prospettive future?
Creare sempre qualcosa di nuovo, alla ricerca della ricetta “perfetta”… che non esiste! Sono questi I principali stimoli per andare avanti. Assistiamo inoltre ad una crescente richiesta di birre artigianali e l’obiettivo sarebbe anche quello di soddisfarle tutte. La cultura stessa della birra si è diffusa e troviamo interessante lo scambio di idee a livello internazionale.
Una battuta per concludere: “Quale birra avreste voluto creare voi e che invidiate ai vostri colleghi, sia italiani che stranieri?”.
Non invidiamo nessuno per le loro ricette… l’invidia semmai sta nel fatto che non riusciamo a bere tutte le buonissime birre prodotte dagli altri, in tutto il mondo.

 

 

P3 BREWING

 

Innegabile affermare come anche la Sardegna si stia fortunatamente segnalando sia per crescente il numero di produttori che per l’indubbio innalzamento della media qualitativa. Giacomo Petretto, brillante homebrewer di lunga data, fonda, a Sassari nel 2012, con l’amico e socio Pierpaolo Peigottu, il birrificio P3 Brewing che si è ben presto affermato con birre sì votate nelle note amaricanti ed aromatiche da luppoli anglo-americani ma tutte concepite e realizzate alla ricerca, sempre trovata, di un equilibrio che garantisca carattere e facile beva. Parola ora al piccolo grande, caro amico Giacomo Petretto.
Come e perché avete iniziato la vostra avventura.

 

Pierpaolo Peigottu e Giacomo Petretto di P3 Brewing

 

Dopo 11 anni di homebrewing era tanta la voglia di proporre le mie birre oltre le mura della storica “Casa del forno”, la taverna di casa dove mi dilettavo da homebrewer e dove tanti amici venivano a dissetarsi molto, troppo spesso! L’anello mancante era una persona di fiducia che potesse svolgere la funzione di responsabile commerciale, così la risposta dell’amico storico Pierpaolo non si fece attendere e, dopo avere abbandonato le nostre precedenti occupazioni, iniziò a prendere vita il progetto P3 Brewing Company.
Quali birre/birrai/birrifici, sia italiani che stranieri, sono stati la vostra fonte d’ispirazione?
Brewdog per l’approccio irriverente con la sua comunicazione “urlata” e fuori dagli schemi e per le birre senza compromessi. Anche i mostri sacri belgi, gli “hop masters” statunitensi, ma soprattutto i tradizionali inglesi con le loro real ales poco alcoliche, beverine ma mai banali sono stati dei punti di riferimento fondamentali.
Differenze, nel bene e nel male, tra l’epoca della vostra partenza e quella attuale con particolare riferimento all’aria che tirava e che tira oggi.
Il numero dei birrifici è cresciuto enormemente, così come il numero degli ingredienti inusuali e/o legati al territorio. Anche il livello qualitativo medio ha compiuto un bel balzo in avanti. All’epoca (6 anni fa, non una vita) in tutta Italia le birre molto luppolate erano pochissime, in Sardegna praticamente non era mai esistita una IPA, quindi noi che puntavamo, e puntiamo, su birre ad alto tasso di luppolo stavamo contribuendo ad aprire una nuova strada che ormai è diventata una delle arterie più trafficate del movimento artigianale internazionale. Spinti dal grande interesse creatosi intorno al mondo della birra artigianale, continuano a nascere birrifici con le idee poco chiare, ma anche altri con alla guida capaci imprenditori che si avvalgono di birrai di sicuro talento. Sicuramente il mercato sta diventando sempre più selettivo e i consumatori sempre più consapevoli, questo ci dà sempre maggiore carica per superare qualsiasi ostacolo.
Avete qualche sassolino nelle scarpe?
Tante difficoltà come ogni impresa ma fondamentalmente sassolini no.
Cosa vi fa andare avanti e quali sono le prospettive future?
La sete infinita, la soddisfazione nel ricevere complimenti e premi. Il divertimento.
Una battuta per concludere: “Quale birra avreste voluto creare voi e che invidiate ai vostri colleghi, sia italiani che stranieri?”.
Ogni birra, così come dovrebbe essere per ogni prodotto artigianale, dovrebbe rispecchiare la personalità e i gusti dell’artigiano che la produce, diventa quindi sempre più interessante assaggiare le birre di colleghi spesso agli antipodi tra di loro per gusti, impianti produttivi e tecniche di birrificazione. Detto questo, la Baltic Porter di Pracownia Piwa prodotta dall’amico Tom è una birra che lascia il segno, alcolica, aromatica, complessa ma straordinariamente beverina.

BIRRA OFELIA

 

Per fare birre con ingredienti fuori dall’editto della purezza bavarese con altri cereali, spezie e frutta in terra veneta ci voleva coraggio e una dose di incoscienza. Doti che non sono mancate ad Andrea Signorini che, col prezioso ausilio della moglie Lisa, ha inaugurato nel 2012 il suo birrificio Ofelia a Sovizzo, nel vicentino. Equilibrio, costanza e spirito innovativo sono tra le caratteristiche più peculiari delle sue birre, trasmesse direttamente dalla personalità del birraio.
Ascoltiamo cosa ci ha raccontato Andrea.
Come e perché avete iniziato la vostra avventura.
La nostra avventura è iniziata nel 2012 con un piccolissimo impianto da 120 litri in un altrettanto piccolo laboratorio in seguito a 3 anni di sperimentazioni in casa. Il nostro primo cliente è stato il ristorante di Lisa. Al tempo il birrificio era per entrambi un secondo lavoro. In seguito, abbiamo cercato di sfruttare al meglio le nostre conoscenze in ambito enogastronomico andando a proporre i nostri prodotti a quei ristoratori di cui eravamo affezionati clienti. La nostra passione riguarda tutto il mondo gastronomico ma in particolare l’embolo per la birra è partito con un viaggio in Belgio nel 2009 per il compleanno di Lisa.

 

Andrea Signorini e Lisa Freschi del birrificio Ofelia

 

Quali birre/birrai/birrifici, sia italiani che stranieri, sono stati la vostra fonte d’ispirazione?
Il primo amore è stato De Ranke e in particolare la XX Bitter è stata la birra che ci ha fatto scoccare la scintilla mentre tra gli italiani all’epoca bevevamo spesso 32 Via dei Birrai. Una vera e propria fonte d’ispirazione però non l’abbiamo mai avuta perché ciò che ci fa scegliere le caratteristiche che le nostre birre devono avere sono principalmente l’equilibrio, la pulizia del prodotto e il nostro gusto personale, motivo per cui spesso si ispirano solamente a uno stile senza vestirne in pieno le linee guida.
Differenze, nel bene e nel male, tra l’epoca della vostra partenza e quella attuale con particolare riferimento all’aria che tirava e che tira oggi.
Nel 2012, quando siamo partiti eravamo forse meno della metà rispetto ad oggi, il mercato ti permetteva molte cose che oggi non perdona e c’era più spazio per tutti. Rispetto ad oggi anche i consumatori erano meno preparati e più spensierati. Ora credo che la qualità media delle birre e la professionalità si siano alzate rispetto a 7 anni fa. Penso inoltre che oggi sarebbe quasi impossibile partire e fare impresa come abbiamo fatto noi, autofinanziandosi, con un impianto così piccolo, ed avere un prodotto qualitativo e competitivo. Aumentando la concorrenza sicuramente è diventato un pò più impegnativo vendere i propri prodotti ma nonostante ciò quello che rispetto al 2012 non è cambiato è la volontà di collaborare che c’è nel settore.
Avete qualche sassolino nelle scarpe?
Più che un sassolino direi il macigno della difficoltà di lavorare data dalla burocrazia italiana.
Cosa vi fa andare avanti e quali sono le prospettive future?
Che ci muove c’è sempre l’enorme passione nei confronti di questo lavoro e le soddisfazioni che ci sta dando, le prospettive future sono quelle di crescere ancora un po’, di affacciarci al mercato estero e di riuscire a sviluppare alcuni prodotti nuovi che abbiamo nella testa e che vogliamo far diventare realtà. Un altro enorme stimolo è la velocità con cui si sta evolvendo questo mondo obbligando chi non vuole perdere il passo ad essere sempre aggiornato sotto tutti i punti di vista, dall’aspetto tecnico al commerciale, al marketing.
Una battuta per concludere: “Quale birra avreste voluto creare voi e che invidiate ai vostri colleghi, sia italiani che stranieri?”.
La Pliny the Elder di Russian River Brewing Company e la Hot Night at the Village – Breakfast Edition di Foglie d’Erba

 

FABBRICA DELLA BIRRA PERUGIA

 

Ogni volta che, da presidente di giuria di Birra dell’Anno, mi capita di premiare Luana Meola e Luca Maestrini, l’emozione mi coglie nel vedere la felicità nei loro occhi che rivelano passione e sacrifici.
Hanno fatto epoca le lacrime copiose che mi hanno bagnato la spalla e contagiato, quando Luana mi ha abbracciato, raggiante e commossa per la consacrazione di Birra Perugia a Birra dell’Anno 2016. Oltretutto i nostri ragazzi hanno avuto il grande merito di aver ridato vita, nel 2013, ad un marchio storico risalente al 1875, anno di fondazione della Fabbrica della Birra Perugia, attiva fino al 1927. Ho interpellato Luana di farci partecipi della loro storia e della loro filosofia.

Il team della Fabbrica della Birra Perugia

Come e perché avete iniziato la vostra avventura?
In realtà, prima di tutto, abbiamo voluto riportare alla luce un pezzo di storia incredibile, caduto nel dimenticatoio ma di grande fascino. La Fabbrica Birra Perugia nasce nel 1875 ed è uno delle prime aziende italiane del genere. Solo l’acquisizione da parte di una grande industria nel 1927 interrompe questa favola e noi avevamo una voglia matta di riallacciare i fili della storia, restituendo alla città il suo marchio. Ovviamente la birra artigianale era la nostra passione e la “scoperta” ci ha convinto a fare il grande salto. Una specie di illuminazione, un segno premonitore inequivocabile.
Quali birre/birrai/birrifici, sia italiani che stranieri, sono stati la vostra fonte d’ispirazione?
Le birre di stampo inglese, prima da appassionati bevitori e poi da produttori, sono state sempre un riferimento speciale. Quando abbiamo iniziato i miti erano Thornbridge, che produceva birre rivoluzionarie nella loro impostazione moderna, e The Kernel. Ne sono passate di pinte sotto gli archi della ferrovia londinese di Bermondsey ma certo non dimenticheremo mai il fascino pionieristico di quelle bottiglie (peraltro l’etichetta della nostra Linea Creativa, di cui fa parte la Calibro 7, ha preso spunto proprio da questo microbirrificio).
Più di recente siamo stati a Bristol per scoprire da vicino un altro tassello importante della scena craft inglese: Moor. In Italia, al momento del pronti – via, abbiamo subito pianificato viaggi e visite da Agostino Arioli di Birrificio Italiano e Leonardo Di Vincenzo, nel vecchio stabilimento di Borgorose. Altro incontro significativo, peraltro cercato fortemente, è stato quello con Bruno Carilli di Toccalmatto (umbro di origine) con cui abbiamo realizzato la prima cotta della nostra English IPA Suburbia. Potremmo continuare a lungo, i buoni esempi sono importanti per il nostro cammino, ma chiudiamo con Gino Perissutti di Foglie d’Erba, un esempio di abnegazione e precisione maniacale che emerge da ogni singola birra.
Differenze, nel bene e nel male, tra l’epoca della vostra partenza e quella attuale con particolare riferimento all’aria che tirava e che tira oggi.
In pochi anni molto è cambiato. La birra artigianale non è più l’oggetto misterioso di allora, e questo è un bene, tuttavia lo spirito degli inizi si è un pò annacquato. I passi avanti sono stati tanti e oggi bere bene, se non benissimo, è molto più facile. Ovviamente se ne è accorta anche l’industria che sta correndo ai ripari, con ogni mezzo. Questa è la grande novità degli ultimi tempi e gli scenari sono in continua evoluzione. Forse oggi il movimento è più consapevole ma anche meno romantico e un pizzico confuso.
Molte imprese, che un tempo nascevano quasi esclusivamente ”dal basso”, per la passione, i sogni e le visioni di alcuni appassionati, sono oggi figlie di piani più ragionati, come dimostrano i tanti imprenditori che da altri mondi investono nel nostro.
Avete qualche sassolino nelle scarpe?
Senza voler fare i vecchi lamentosi e tenendoci il più lontano possibile da odiose prediche paternalistiche, ci pare che nell’ambiente ci sia un pò troppo “nuovismo”. Intanto da parte degli operatori che sembrano drogati dalla voglia di cambiare e dai nuovi progetti, che siano birre o birrifici, digeriti ed espulsi con altrettanta facilità. Va bene tutto, per carità, ognuno è giusto che faccia i suoi interessi, però bisognerebbe anche portare qualche bandiera, in modo da creare consapevolezza e una certa stratificazione culturale, ad uso e consumo di semplici bevitori e appassionati.
Collegato a quest’aspetto c’è quello dell’hype cui sono soggette birre e birrifici, a volte meritato altre meno. Noi preferiamo la solidità e la durata nel lungo periodo, a costo di fare scelte controcorrente, forse meno modaiole ma più consone la nostro stile. Meglio dettare le mode che seguirle, questo è stato fin dall’inizio il nostro obiettivo.
Cosa vi fa andare avanti e quali sono le prospettive future?
L’amore per questo mondo, lo spirito che nonostante tutto anima l’ambiente di cui facciamo parte, pieno di energia e belle persone, il senso di appartenenza di chi sceglie ogni giorno Birra Perugia. Un fatto non scontato che ci rende molto orgogliosi. Prospettive future? Rimanere coi piedi per terra, anche nelle dimensioni, e consolidare quello che abbiamo creato. Migliorare le birre esistenti è importante quanto creare nuove etichette.
Una battuta per concludere: “Quale birra avreste voluto creare voi e che invidiate ai vostri colleghi, sia italiani che stranieri?”
Tante, forse troppe per dirle tutte. Diciamo molte di birrai fantastici che ci sono venuti a trovare di recente, con cui abbiamo scambiato bottiglie, pensieri e idee: Rob Tod di Allagash, Gert Christiaens di Oud Beersel, Ryan Graham di Track 7 o Florian Van Roy di Cantillon, rampollo di una famiglia che certo non ha bisogno di presentazioni. Magari con qualcuno di questi una birra insieme la faremo, mai porsi troppi limiti.

 

BIRRA ELVO

 

Josif Vezzoli fondò il suo birrificio Elvo a Graglia, nel biellese, nel 2013 con le idee chiarissime, cioè creare birre a bassa fermentazione per l’amore maturato per le tipologie tedesche e per sfruttare appieno la leggera acqua locale, ideale per produrre birre a bassa fermentazione. Il risultato è oggi davanti agli occhi e sulla bocca di tutti. Grandi birre da un birraio di gran mano, semplici ma di carattere, votate ad un costante equilibrio che hanno valso a Josif, solo 4 anni dopo, l’ambito titolo di Birraio dell’Anno 2017. Vediamo cosa ci dice questo bravissimo e sempre sorridente e solare birraio biellese.

 

Josif Vezzoli di Birra Elvo e Kuaska

 

Come e perché avete iniziato la vostra avventura.
Il nostro birrificio nasce nel 2013, precisamente nel luglio 2013, intuizione del fondatore Josif Vezzoli di fare birre a bassa fermentazione in classico stile teutonico con la meravigliosa acqua di Graglia, imbottigliata e venduta in tutto il mondo come “Lauretana, l’acqua più leggera d’Europa” (0,4 gradi francesi).
Fin dal principio mio fratello Raoul e mio suocero Giuliano Rama hanno sposato il progetto e mi hanno appoggiato economicamente: nasce così il nostro birrificio familiare!
Il mio obiettivo era in terra Biellese, tradizionalmente votata a questo stampo di birre (vedi Menabrea), di partire dalle migliori tradizioni brassicole germaniche per creare birre che elevano i vari stili ai massimi livelli dandogli quel tocco di personalità italiana che ci contraddistingue.
Dal punto di vista professionale il mio percorso comincia circa un anno prima con la frequentazione del Mastro birraio VLB Fabrizio Leo che mi ha aiutato a formarmi come birraio. Insieme abbiamo sviluppato sulla carta il business plan e dato vita al piccolo impianto di produzione austriaca con il quale cominciai.
Inoltre, tengo a sottolineare che il passaggio a imprenditore/birraio segue ad una carriera imprenditoriale di tecnico del suono specializzato nella progettazione e realizzazione di studi di registrazione musicale che mi ha portato a viaggiare e lavorare molto nei paesi anglosassoni.
Questi lunghi periodi all’estero e la costante frequentazione di pub mi aveva portato negli anni ad amare la birra per la sua capacità aggregativa e di convivialità.
Stanco di essere sempre lontano dalla giovane famiglia che ho formato nel 2005 sposando mia moglie Cristina, di Graglia, nel tempo questi elementi mi hanno spinto a trovare questa nuova strada. La birra così è entrata in famiglia!
Quali birre/birrai/birrifici, sia italiani che stranieri, sono stati la vostra fonte d’ispirazione?
Le prime birre artigianali che ho conosciuto sono state quelle di Teo Musso e Leonardo di Vincenzo ma essendo amante delle lager il mio primo grande punto di riferimento fu Simone Dal Cortivo di Birrone che negli anni precedenti l’apertura del birrificio seguivo e bevevo.
La sua semplicità di beva unita alla qualità delle sue birre mi aveva dato stimolo a fare lo stesso percorso. Inoltre, avendo vissuto parecchio a Londra ero molto deluso della qualità media delle lager che trovavo nei pub d’oltremanica.

Differenze, nel bene e nel male, tra l’epoca della vostra partenza e quella attuale con particolare riferimento all’aria che tirava e che tira oggi.
Beh, essendo nati sei anni fa non possiamo certo definirci dei pionieri. Di sicuro quando siamo nati molti colleghi vedevano il mio progetto come una strada in salita, molto ripida.
Birre semplici da bere, delicate, catena del freddo, tempi e investimenti di produzione più lunghi e quindi meno remunerativi non mi hanno spaventato e anzi mi hanno spronato a farne quasi una missione: oggi a distanza di qualche anno credo di aver contribuito a diffondere ed elevare la qualità delle birre a bassa fermentazione in una terra come l’Italia dove queste birre sono sempre state quasi ad appannaggio della grande industria con esempi che ne discreditano il valore.
Oggi vedo con grande piacere birrai emergenti che fanno birre a bassa di estremo valore. L’anno passato sono stato proclamato Birraio dell’anno e da allora ho visto sempre più birrifici fare stili come Pils, Keller, e lager di vario tipo. Questo mi rende felice e dà al mio lavoro di rigore e passione grande significato.
Avete qualche sassolino nelle scarpe?
Nel 2016 abbiamo aperto la nostra taproom/beershop nel cuore di Biella: un tassello fondamentale che vuole diffondere la cultura di bere birre eccellenti ma senza fuochi d’artificio.
Credo che siano questo tipo di locali non frequentati da geek ma da gente normale di paese che faranno e levare le papille gustative …
Ogni giorno creiamo una persona consapevole di cosa sia birra di qualità. Ogni birrificio che punti alla qualità del prodotto dovrebbe farlo, solo così possiamo far appassionare la massa a quello che facciamo.
Cosa vi fa andare avanti e quali sono le prospettive future?
Noi abbiamo un progetto consapevole di voler rimanere in chiave veramente artigianale, quindi abbiamo quasi raggiunto l’obiettivo di un ettolitraggio limite (2000 hl.) che consideriamo rispettoso di darci la possibilità di mantenere la nostra costanza qualitativa.
Per me questo è un birrificio artigianale di qualità, perché ricordiamoci che artigianale non è per forza di qualità. Il futuro del movimento artigianale sano lo vedo così: piccoli e bravi. Non nascondo che credo il futuro riservi anche prospettive nuove che potrebbero nascere dalla collaborazione tra l’industria e il mondo artigianale.
Credo che ci siano prodotti e aziende che supportati dai giusti capitali potrebbero sviluppare a livello industriale linee di birre per la massa che possano raggiungere rapporto qualità/prezzo superiori a quelle sul mercato italiano e che importiamo dall’estero.
Io non sono contro a cose del genere, sono più preoccupato di artigiani che giocano a fare l’industria o di artigiani che producono birre di scarsa qualità mettendo in discredito il lavoro di chi lo fa egregiamente.
Una battuta per concludere: “Quale birra avreste voluto creare voi e che invidiate ai vostri colleghi, sia italiani che stranieri?”.
Invidio in modo sano le birre dell’emergente Altavia, birrificio ligure, che mi ha stregato con le loro Keller in stile francone di grande personalità.
All’estero invidio l’amico Georg Kugler di Elch Brau per vivere in una nazione dove di birra se ne beve tanta e in particolare di una regione, la Franconia, che mi riporta al passato, all’essenza del rapporto con questa meravigliosa bevanda.

 

MC77

 

Il nostro movimento si arricchisce, nel 2013, di una coppia che ha saputo farsi amare per la genuina passione legata alla proverbiale caparbietà della gente marchigiana. Parlo ovviamente di Cecilia Scisciani e Matteo Pomposini che nel 2013 diedero vita al loro sogno, aprendo il birrificio MC77 a Serrapretrona nel maceratese ottenendo subito, seppur mantenendo innate umiltà e riservatezza, unanimi apprezzamenti e un successo immediato culminato con la vittoria nella categoria emergenti al Birraio dell’Anno 2017 confermata poi dal brillante recente quinto posto ex-aequo con il reputato e più sperimentato Birrificio Lariano, nella categoria big al Birraio dell’Anno 2018. Questi risultati acquistano ancor più valore se pensiamo ai danni, materiali e psicologici, subiti dal birrificio e dai due ragazzi a causa del terremoto che nel 2016 ha sconvolto il centro-Italia.
Ecco cosa ci hanno detto Cecilia e Matteo.

 

Matteo Pomposini e Cecilia Scisciani di MC77 con Kuaska

 

Come e perché avete iniziato la vostra avventura.
La nostra avventura nasce a Roma dove vivevamo durante gli anni dell’università. Le prime birre artigianali assaggiate probabilmente sono state quelle di Turbacci nel suo brewpub a Mentana, erano gli anni 2002/2003, è stato subito un colpo di fulmine e le gite da Roma a Mentana sono state molto frequenti nel periodo successivo! Nell’estate del 2004 ci siamo avventurati in Belgio seguendo una guida trovata in un giornaletto di viaggi che ancora conserviamo gelosamente.
Abbiamo girato tantissimo e il ricordo più vivido è probabilmente il primo assaggio di una Cantillon direttamente in birrificio, pensavamo fossimo vittime di uno scherzo di cattivo gusto… Mai avremmo pensato che negli anni seguenti ci sarebbero piaciute così tanto quelle birre che all’epoca non riuscivamo proprio ad inquadrare.
Ormai la passione era dilagata ed un bel giorno Cecilia assiste ad una lezione universitaria tenuta da Leonardo di Vincenzo che all’epoca era studente di dottorato. L’argomento erano i processi biochimici che ci sono dietro la produzione della birra, anche di quella fatta in casa… il passaggio all’homebrewing è stato rapidissimo. Da qui in avanti la nostra storia è come quella di tanti birrai italiani che ad un certo punto hanno deciso di far diventare la loro passione un lavoro vero e proprio.
Ci riteniamo molto fortunati ad aver scoperto in quegli anni a Roma questo mondo perché sicuramente era uno dei pochi posti in Italia che già aveva tanto da offrire, c’erano già realtà affermate e tantissime altre stavano nascendo.

Quali birre/birrai/birrifici, sia italiani che stranieri, sono stati la vostra fonte d’ispirazione?
La nostra curiosità ci ha portato ad assaggiare un pò tutto quello che riuscivamo a reperire nei negozi specializzati o pub. Dovendo ricordare le birre o i birrifici che ci hanno ispirato maggiormente sicuramente non possiamo non nominare la Reale di Birra del Borgo, la birra più luppolata con cui siamo entrati in contatto in quegli anni. Ci hanno affascinato diverse produzioni del birrificio sardo Barley, una su tutte la BB10 e poi siamo innamorati da vecchia data della Torbata di Almond’22.
A livello internazionale forse la folgorazione più grande è stato il birrificio Dieu du Ciel. Abbiamo bevuto le sue birre direttamente nel brewpub a Montreal, tralasciando quanto ci sia piaciuta la Rosée d’Hibiscus naturalmente forte fonte di ispirazione per la nostra Fleur Sofronia, siamo rimasti stupiti da quanti diversi stili di birra erano prodotti da quel birrificio, tutti in maniera esemplare.
Differenze, nel bene e nel male, tra l’epoca della vostra partenza e quella attuale con particolare riferimento all’aria che tirava e che tira oggi.
Per quanto siamo appassionati di vecchia data la storia del nostro birrificio è piuttosto recente. Quando abbiamo aperto noi il mercato era già abbastanza consapevole del prodotto birra artigianale, in qualche modo ci siamo trovati la strada spianata da chi ha intrapreso questo lavoro prima di noi.
D’altra parte, l’asticella della qualità si era già alzata e lavorare bene fin da subito era essenziale. Ora questa asticella ha raggiunto un nuovo picco e stiamo notando che i nuovi progetti che riescono ad ingranare bene sono quelli che oltre a fare buonissime birre hanno anche molto chiaro come curare tutti gli aspetti che ruotano attorno al prodotto, dalla comunicazione alla gestione.
Ritagliarsi una fetta di mercato in un momento in cui i consumi non aumentano particolarmente mentre i birrifici aumentano considerevolmente, sta diventando sempre più difficile. Forse proprio per questo motivo i nuovi progetti che reputiamo più lungimiranti sono quelli che puntano (oltre alla qualità che deve stare alla base di tutto) alla vendita diretta al consumatore, come i brewpub o i birrifici con tap room.
Avete qualche sassolino nelle scarpe?
Ne abbiamo diversi e tutti riconducibili al fatto che spesso si ha l’impressione che il nostro settore remi contro sè stesso e la possibilità di allargare gli orizzonti rimanendo sempre relegato ad una nicchia. Per ora comunque sono ancora sassolini sopportabili e possiamo ancora camminare tenendoli nelle scarpe!
Cosa vi fa andare avanti e quali sono le prospettive future?
Il lavoro in birrificio, esclusa la creazione e il perfezionamento delle ricette che consideriamo la parte più divertente, è abbastanza duro e ripetitivo e richiede molta attenzione e precisione in tutte le fasi. Inoltre, ci si trova sempre a doversi confrontare con un mercato piuttosto esigente, alla ricerca di novità e nel quale molto spesso l’offerta supera la domanda.
Tutto questo ci conferisce una buona dose di stress quotidiano che però riusciamo ad affrontare in maniera serena quando notiamo che quel che a noi piace fare è apprezzato anche da chi beve le nostre birre. Ogni volta che arriva un riconoscimento o un semplice complimento da parte di un consumatore abbiamo la spinta per far meglio ogni mattina.
Una battuta per concludere: “Quale birra avreste voluto creare voi e che invidiate ai vostri colleghi, sia italiani che stranieri?”.
Ci piace molto la reinterpretazione delle birre di stampo belga da parte di Extraomnes, una su tutte che avremmo voluto pensare noi è la Zest!

 

Ecco qua, non aggiungo altro. Come pensavo, ogni birraio ha confermato il mio postulato “i prodotti artigianali, in questo caso le birre, sono il prolungamento della personalità dell’artigiano, in questo caso del birraio!

Lorenzo Dabove in arte Kuaska

 

© Riproduzione Riservata

 

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Tutti gli articoli di Kuaska pubblicati da Beverfood.com:

 

2019 – KUAKSA RACCONTA I BIRRIFICI ARTIGIANALI ITALIANI EMERGENTI

2018 – L’EMERGENTE FENOMENO DELLE IGA (ITALIAN GRAPE ALE)

2017 – LE POTENTI MULTINAZIONALI SI INNAMORANO DEI BIRRIFICI ARTIGIANALI

2016 – BIRRE ARTIGIANALI: FORMAZIONE E CRESCITA PROFESSIONALE DEI MICROBIRRAI IN ITALIA

2014 – IL CRESCENTE FENOMENO DELLE “BEER FIRM”, BIRRIFICI SENZA BIRRIFICIO

2013 – DEFINIZIONE E PERCEZIONE DELLA BIRRA ARTIGIANALE IN ITALIA

2012 – FOCUS SULLA BIRRA ARTIGIANALE NEI PAESI SCANDINAVI

2012 – BIRRE ARTIGIANALI MADE IN ITALY: LO STRETTO LEGAME COL TERRITORIO

2011 – IL BOOM DELLE BIRRE BARRICATE SULL’ASSE AMERICA/ITALIA

2009 – BIRRE PER SPIRITI LIBERI – BIRRE STRANE? NO! BIRRE GENIALI, CREATIVE ED ORIGINALI, “TIPICHE” DEL NUOVO MADE IN ITALY!

2008 – THE THRILLING ADVENTURE OF THE AMERICAN “RENAISSANCE”

2008 – L’ESALTANTE AVVENTURA DELLA RENAISSANCE AMERICANA

2006 – BIRRA IN CUCINA

2006 – BIRRA ARTIGIANALE: DIECI ANNI DOPO LA NASCITA DEL “MADE IN ITALY”

2005 – IL BOOM DELL’ HOMEBREWING IN ITALIA

2004 – LAMBIC: L’ANELLO MANCANTE TRA LA BIRRA E IL VINO

2004 – INTERVISTA CON IAIN LOE, CAMRA (CAMPAIGN FOR REAL ALE)

2002 – L’INCREDIBILE SUCCESSO DELLA BIRRA ARTIGIANALE IN ITALIA

2001 – LA DEGUSTAZIONE DELLE BIRRE

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