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I bar italiani servono in un anno 6 miliardi di espressi per un volume d’affari di 6,6 miliardi di euro.
Dal 2008 al 2015 moderato aumento del prezzo medio di una tazzina che è cresciuto di soli 12 centesimi e che oggi è inferiore a 1 euro. 363mila gli addetti del settore, permangono difficoltà nel reperire personale qualificato.

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Caffè lungo all’americana? No, thanks. In Italia quando si parla di caffé la parola d’ordine è “espresso”, con buona pace dei colossi d’oltreoceano. Lo confermano gli ultimi dati presentati dalla Fipe – Federazione Italiana Pubblici Esercizi sul mondo del caffé e del cappuccino, una consuetudine che non conosce crisi né ripensamenti. Con oltre sei miliardi di espressi in un anno il caffè al bar genera un volume d’affari di 6,6 miliardi di euro, cappuccino compreso, e un consumo di 47 milioni di chilogrammi di miscela, corrispondente grossomodo a 6,7 miliardi di tazzine su base annua. Numeri che si traducono in 175 caffè e cappuccini serviti al giorno in media da un bar italiano per un incasso giornaliero di 184 euro.
“La caffetteria al bar è un prodotto di punta e rappresenta oggi il 30% del fatturato complessivo – dice Luciano Sbraga, direttore dell’Ufficio Studi Fipe -. Un dato che sancisce il ruolo fondamentale del bar nei consumi fuori casa e fa in modo che alcune grandi catene internazionali del settore non siano ancora entrate nel mercato italiano. Questo non significa che non lo faranno in futuro ma hanno certamente la consapevolezza che il nostro sia un mercato fortemente competitivo”.

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IL BAR PER COLAZIONE E LA DIVERSIFICAZIONE DELL’OFFERTA

Parlando nello specifico delle tipologie di locali il bar/caffé si conferma il luogo di eccellenza per il consumo della colazione fuori casa: lo dicono soprattutto gli uomini dai 55 ai 64 anni di età e residenti nel Nord Italia. Il bar pasticceria è risultato il secondo luogo per importanza, in prevalenza per gli over 64 e residenti al Sud. “Il peso del caffè nella struttura delle vendite del bar dipende principalmente da due fenomeni  – prosegue Luciano Sbraga -. La prima riguarda la spinta verso una crescente segmentazione dell’offerta con formule, come ad esempio quelle serali, in cui il caffè assume un ruolo meno importante. La seconda ragione invece ha a che vedere con la necessità di qualsiasi bar di alzare lo scontrino medio per aumentare i ricavi. In questo caso occorre puntare su altre categorie merceologiche”.
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LA CATENA DEL VALORE DEL CAFFÈ

Per quanto riguarda la catena del valore il prezzo del caffè verde risulta in calo: nel 2015 il prezzo medio è stato di 124,67 centesimi di dollaro statunitense per libbra con un calo del 41% rispetto al 2011 (fonte: ICO composite price). La quotazione in euro ha invece subito una flessione di minore entità (-26%) per effetto del sensibile apprezzamento del dollaro sull’euro registrato nello stesso periodo. Il prezzo è stato, nella media del 2015, di 2,49 euro al chilogrammo, mentre nel 2011 era di 3,36 euro al chilogrammo. L’Ufficio Studi Fipe a questo proposito chiarisce le dinamiche della catena del valore che portano ai prezzi delle tazzine di caffè consumate nei bar italiani: “La filiera del caffè è assai articolata e sconta il protagonismo dei trader internazionali e delle loro politiche commerciali – prosegue Luciano Sbraga -. Oggi il caffè ricorre a diversi prodotti finanziari sia per ridurre i rischi derivanti dalla strutturale oscillazione dei prezzi, sia per ragioni speculative. I ‘future’ sono uno di questi prodotti e vengono utilizzati per acquistare “sulla carta” una produzione che non è ancora disponibile. Nell’arco di tempo che intercorre tra il contratto e il raccolto accade di tutto in termini di scambi commerciali. Questa premessa è importante per dire che il prezzo del caffè verde che noi vediamo oggi non corrisponde a quanto realmente accade ai prezzi nei vari passaggi dal torrefattore al bar. In effetti il prezzo del caffè torrefatto acquistato dal bar non subisce mai decrementi di prezzo, al massimo non aumenta”.

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