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Jurij Ferri, padre abruzzese e madre svedese, ex-chef e talentuoso fondatore del birrificio Almond 22 di Spoltore (PE) ci dice la sua.
“Alla prima domanda: In tutti i settori avvengono acquisizioni di aziende medio – piccole da parte di multinazionali, quindi perché non dovrebbe succedere nel mondo della birra artigianale? Personalmente credo che anche qui in Italia ci saranno diverse acquisizioni. Probabilmente alcune anche poco facili da prevedere. Siamo troppi birrifici in un Paese con un consumo di birra notoriamente basso. Questo ha portato a una vera e propria battaglia per conquistare uno share del risicato mercato. Ha anche causato una crescita estremante lenta di molti birrifici che fanno buona birra. Il fenomeno in sé stesso, non mi preoccupa troppo.
Da non escludere che potrà dare qualche grattacapo a noi birrifici più piccoli.
Alla seconda domanda: Sono sempre stato un birrificio fuori dai trend. Ho sempre difeso l’idea di fare birre con personalità, che rispecchino il birrificio e non il mercato. Questo ci ha chiaramente anche un po’ penalizzato facendoci crescere costantemente ma lentamente. Non credo di essere un birrificio appetibile per una multinazionale e credo che potremmo cedere Almond solo per salvare i nostri posti di lavoro e il nostro futuro. Sono scelte difficili e che non faremmo a cuor leggero. Ho rinunciato tempo fa all’idea di fare soldi con questo mestiere/scelta di vita. Buona birra a tutti!!!”
Portiamoci nella troppo poco conosciuta (non certo da noi birrofili ) Nicchia, la zona delle colline tortonesi che può vantare una serie di “gemme” (odio la parola “eccellenze”) gastronomiche da urlo come il formaggio Montebore a forma di piccola torta nuziale, il salame del Giarolo detto “nobile” perché, dato che qui non si usa fare prosciutti, utilizza le parti nobili del maiale, la Pesca di Volpedo, la ciliegia Bella di Garbagna, la fragolina di Tortona, il vino Timorasso, un bianco che nel palato sembra un rosso, resuscitato dal grande Walter Massa e, last but not least, le birre di Montegioco create da Riccardo Franzosi con originalità ma con stretto legame all’amatissimo territorio. Sentiamo Riccardino.
“Cosa ne penso della vendita di un microbirrificio ad una multinazionale?
Per prima cosa vien da dire: “ma belin a chi vuoi che lo vendano?! A chi non ha i soldi?!”. Poi, se vogliamo farci un’idea, sarebbe interessante sapere se qualcuno vende perché è stufo di portare a casa soldi (tipo che dopo un po’ che li usi d’accendere la stufa scopri che va bene anche l’altra carta e allora cosa lo tieni a fare un birrificio?) o magari vende perché è stufo di “mettercili” i soldi; uno può vendere perché monetizzare è il suo obbiettivo e cerca di fare le cose per bene con tutte le lucine e gli optional per fare colpo e guadagnare di più; si può vendere perché si è stufi e cerchi di spremere qualche goccia di sangue dalla rapa che hai coltivato per anni. Tutti sono nel buono e nel giusto se vendono, magari anche bene, diverso è il pensiero di quel che resta dopo la vendita ma questa è un’altra storia.
Venderei se avessi delle offerte da una multinazionale? Il mondo è metà da vendere e metà da comprare e io non sono il birrificio ma faccio birra, è ovvio che non sarebbe più un microbirrificio ma una voce di bilancio nel business di un’azienda, quindi potrebbe essere e poi c’è sempre il sidro nèh!”
Schigi, al secolo Luigi D’Amelio, noto sommelier e conoscitore di vini, diventato geniale birraio dell’emergente Birrificio Extraomnes di Marnate (VA) è noto per non avere peli sulla lingua e, come dico io, da lui considerato come un fratello maggiore, per non saper contare “fino a tre” prima di scrivere sui social.
Eccolo qua:
“Sento commenti del tono…eh davanti a così tanti soldi…come si fa a dire di no. Questo è secondo me il segno che ormai viviamo in una società veramente malata, più malata di quanto mi sarei aspettato.
Gli ideali e i progetti personali non contano più nulla, quasi a livello dei calciatori, che nel fiore degli anni e con una splendente carriera nel calcio che conta, decidono di andare a giocare in Cina per “una proposta che non si poteva rifiutare” e c’è chi fa il conto di quante migliaia di euro guadagnano all’ora. E io penso…e quindi? Sono i soldi la felicità? Non credo. Che soddisfazione c’è a non partecipare più alle manifestazioni con le persone, i colleghi, i luoghi, che hanno contraddistinto la tua passione? Rallegrarsi per un cliente che ti stringe la mano perché la tua birra gli ha regalato delle emozioni? Eh ma bisognerebbe trovarcisi… Parli tu perché il birrificio non è tuo…chi sa cosa vuol dire mandare avanti un’azienda in Italia capisce…. NO, NESSUNA SCUSA. Chi fa questa scelta non ha la pistola puntata alla tempia e deve sapere che è una scelta indifendibile e che oltretutto oltre a far scomparire in un solo colpo tutto quello che ha fatto negli anni di lavoro con cuore e passione mette a rischio anche la passione di altri, perché permette di costruire all’industria un pezzetto di territorio “grigio” in cui il consumatore farà sempre più fatica a distinguere e a discernere dove stanno le cose buone e vere e dove stanno le cose cattive e finte.
Riguardo eventuali offerte da multinazionali, se dovesse accadere… Non sono decisioni che prendo io… Ma un piccolo gossip lo posso offrire. C’è stato, diciamo così, un abboccamento, un’esplorazione…Ma è stato prontamente respinto, e questo mi dà tranquillità”.
Fausto Marenco che con Massimo Versaci, forma l’affiatatissima “strana coppia” che dirige con grande intelligenza il Birrificio Maltus Faber nel sito che ospitava, a inizio ventesimo secolo, la storica Birra Cervisia, da buon genovese è “di poche parole” (solo io rappresento la classica eccezione) e ci regala queste brevi ma ficcanti considerazioni.
“Commento su argomento acquisizione birrifici artigianali da parte di multinazionali. Non c’è nulla di cui stupirsi è un processo normale che ha già interessato (ed interesserà ancora) altri settori artigiani e questo vale sia per il food e per il non-food.
Su un’eventuale offerta, aspettiamo che ce lo chiedano. E come per qualunque altra cosa (avvenuta sino ad oggi in Maltus Faber), eventualmente, faremo le nostre valutazioni.”
Più loquace è Lorenzo Guarino, birraio del Birrificio Rurale di Desio (MB) che si è meritatamente guadagnato la stima ed unanimi apprezzamenti grazie a birre che fanno della costanza, della qualità e della beverinità i loro punti di forza. Sentiamolo.
“Commento sulla notizia. Ricordo, quando venni a conoscenza dell’acquisizione di Birra del Borgo, sentimenti contrastanti. Da un lato dispiacere perché uno dei microbirrifici italiani più grandi fondato da un amico di vecchia data era passato di mano, e in che mani. Dall’altro la considerazione che anche il nostro mercato inizia ad assumere dei tratti di maturità, e questo è certamente positivo. È un processo osservato in altri mercati più maturi del nostro, potevamo aspettarci che la nostra nazione ne fosse esente? Io penso proprio di no. Accadrà ancora? Non saprei ma ciò non mi stupirebbe.
Reazione a fronte di una proposta del genere nei nostri confronti. Partiamo da un presupposto, l’indipendenza è un valore assoluto ed indiscutibile, ed è questo ciò a cui punta con forza il Birrificio Rurale, ad una crescita sana nel rispetto dei nostri valori, fra cui annoveriamo l’indipendenza. Devo però aggiungere che il ragionamento appena proposto, sebbene sia un obiettivo da perseguire con forza, non può essere un dogma. Questo è solo per dire che è difficile se non impossibile giudicare operazioni di questa entità dal di fuori, senza essere a conoscenza di dettagli e motivazioni che portano a prendere decisioni così importanti”.
Valter Loverier, creatore del Birrificio Loverbeer di Marentino (TO) non ha bisogno di presentazioni. Dico solo che le sue birre legate all’utilizzo della botte e della frutta hanno stregato appassionati italiani e stranieri tanto che Valter esporta circa il 70% della sua produzione all’estero, principalmente negli Stati Uniti dove viene considerato una vera “star”. Ecco cosa ci ha detto.
“Commento sull’argomento. Penso che dipenda dagli obiettivi del microbirrificio. Se sono puramente di natura economica (questo non vuol dire necessariamente che il prodotto non sia di buona qualità) l’acquisizione può essere un traguardo da cui trarre evidenti risultati economici. Ma se il motore che muove il progetto è prima di tutto di natura emozionale, alimentato da una passione che porta a affrontare difficoltà senza compromessi, forse allora il matrimonio non s’ha da fare.
Alla tua domanda “se una multinazionale ti chiedesse di vendere cosa faresti e perché” rispondo di stare tranquilli. Non credo che questo possa succedere. Però, nel caso, chi lo sa…”
Dicono che i friulani siano di poche parole ma fa eccezione, per noi, il bravissimo ed umile Gino Perissutti, birraio del Birrificio Foglie d’Erba di Forni di Sopra (UD) che nella sua fatata Carnia idea e crea birre di grande valore che sanno suscitare emozioni, fattore che rappresenta per le birre artigianali una delle principali differenze con le birre industriali.
Di seguito le sue risposte a quanto richiesto:
“Sull’argomento acquisizioni penso sia nell’ordine di come “gira il mondo” sempre più globale privo di anima che ci circonda, anche nel settore birra. Mi spiego meglio: alle multinazionali interessa una sola cosa, il profitto. Tutte le moine commerciali che lasciano intuire qualcosa di diverso sono semplici operazioni di marketing per gettare fumo negli occhi del consumatore finale. Pertanto, nell’ottica del profitto, quando le multinazionali, perfettamente consapevoli che il mondo “craft” è più buono, etico e salutare, più vivo ed innovativo, si rendono conto che la percentuale di mercato guadagnato dai birrifici craft aumenta, che ne aumenta la popolarità e l’interesse da parte del consumatore medio, fanno una cosa semplicissima: comprano e controllano. Se serve a loro in qualche maniera, sempre per un puro fine votato al profitto, ti tengono in vita con qualche autonomia. In caso contrario, ti lasciano semplicemente galleggiare sotto al loro controllo.
Se ricevessi una proposta di acquisizione da parte di una multinazionale, non avrei il minimo dubbio nel rifiutarla. Pur rispettando ovviamente il pensiero e le scelte altrui, magari dettate dai più vari motivi che solo gli addetti ai lavori conoscono, credo di non aver personalmente nulla da spartire con la filosofia di una multinazionale. Piuttosto chiudo, mi invento un altro lavoro e torno all’homebrewing per divertirmi. Amo profondamente il mio lavoro, che cerco di svolgere con passione ed approccio quanto più “etico” possibile e credo che sia un errore enorme, non solo in ambito birra ma per tutta la filiera agroalimentare e, più in generale, di piccolo o medio commercio di cibo e bevande di qualità, veder scomparire le piccole produzioni di territorio e di eccellenza in maniera passiva. Così come le botteghe, le taverne, le trattorie, a fronte di uno spaventoso aumento di Centri ed Aree Commerciali, che appiattiscono il nostro gusto e pensiero sull’argomento. Dobbiamo stare all’erta e, mai come ora, unirci per evitare lo sperpero di risorse umane e materiali enorme o potenzialmente molto importante, come nel caso del settore craft italiano. Ora più che mai dobbiamo gridare a noi stessi ed ai consumatori che La Birra Italiana di Qualità esiste. E che è più buona, sana e giusta di quell’altra. Prendiamone consapevolezza, uniamoci e non cediamo alle false lusinghe del “nemico”. O, detto in termini più moderni: “Support your local Brewery”.
Ho interpellato Alessio Selvaggio del pluripremiato Birrificio Croce di Malto di Trecate (NO) e mio allievo della prima ora durante le innovative e pioneristiche serate di degustazione ospitate da Stefano Leoni nel suo pub La Frottola di Vigevano (PV) nelle quali parteciparono, all’epoca come semplici appassionati e/o homebrewers, alcuni birrai ma pure publicans ed opinion-leaders, affermatisi da lì a poco nei rispettivi campi.
“È del tutto evidente che ormai il movimento della birra artigianale, parlando di mercati globali, stia sottraendo fatturati ai grandi gruppi industriali. La conseguenza storica nel nostro settore è quella delle acquisizioni di nuovi brand che si impongono sul mercato, potrei citare “mille” casi degli anni passati, per cui non mi sorprende vedere queste acquisizioni anche nel nostro paese.
Chiaramente sono queste manovre strategiche che “distraggono” il consumatore il quale come sappiamo è subissato di offerte di birre che sotto lo sesso termine legislativo, possiamo riassumere in: industriali, industriali ma fintamente artigianali, ex-artigianali controllate dai gruppi industriali ed alla fine della lista le nostre vere artigianali.
In tutto questo brodo in Italia, che è l’ultimo paese per consumi pro-capite di birra in Europa, quindi un mercato benché vivace molto lento dal punto di vista della velocità di crescita dei micro, non riusciamo a coalizzarci come potremmo a livello istituzionale/associativo per difendere il nostro lavoro con gli strumenti che abbiamo a disposizione, basti pensare al fatto che siamo l’unico paese al mondo che ha una definizione per legge di Birra Artigianale, la quale per quanto non perfettamente aderente allo stato dell’arte, oggi è uno degli strumenti che potrebbe essere utilizzato meglio per enfatizzare il lavoro dei micro italiani. Nel breve periodo la capacità di competere sui mercati dei microbirrifici italiani deve passare, tra le altre cose, attraverso scelte imprenditoriali oculate (oggi più che mai è vietato buttarsi sul mercato alla cieca), tra cui la corretta comunicazione del vero artigianale, sistemare l’apparato legislativo sui temi etichettatura ed accise con riferimento alla modalità di accertamento delle accise e la riduzione della stessa (che sono due cose molto diverse tra loro), tutte questioni che possiamo risolvere a livello istituzionale ed associativo e che porteranno un numero importante di gradi di libertà agli imprenditori della birra artigianale che meglio potranno competere sui mercati del futuro.
Guarda, su una cosa io e Federico Casari (socio di Croce di Malto) senza neanche averne mai parlato siamo completamente allineati ed è il concetto di indipendenza, non è una questione di moda, filosofie strambe o pensieri di massa, ma è semplicemente la conseguenza delle nostre scelte di vita, chi per un motivo chi per l’altro abbiamo intrapreso attività lavorative (prima di Croce di Malto) sostanzialmente aliene la mondo dell’industria, dietro a queste scelte ci sono molti ragionamenti difficili da esporre in poche righe, ma voglio darti la garanzia che proteggeremo il nostro marchio ed il nostro lavoro affinché possa mantenere l’identità che in questi anni si è guadagnato. Quindi la risposta è NO, perché credo che oggi Croce di Malto possa proseguire il proprio cammino nel piccolo mondo delle birre artigianali con lo stesso DNA di 8 anni fa; abbiamo sfidato il mercato quando erano acerbi, le sfide del futuro saranno sicuramente più difficili rispetto a quando abbiamo iniziato, ma ci siamo strutturati per affrontare i mercati da qui alla nostra pensione! Quale la ricetta…? Riadattarsi continuamente, questo faremo osservando sempre da vicino ed in prima linea le repentine metamorfosi del nostro settore, e sempre affianco ai nostri “sacri” consumatori”.
Samuele D’Imperio, giovane rampante imprenditore piemontese con laurea e master in Economia in tasca, ha aperto nel 2014, nell’incantevole isola di Gozo a Malta, il suo Lord Chambray, un birrificio di successo che, nonostante la giovane età, ha già vinto medaglie nelle competizioni europee più prestigiose. Sentiamo come la pensa in merito.
“Sulla tendenza di acquisizione di piccoli birrifici da parte delle multinazionali, quello che si sta verificando nel mondo birraio e ormai la prassi in qualsiasi altro settore. L’effetto della globalizzazione porta le grandi aziende/multinazionali ad acquistare società per mantenere quote di mercato.
Se una multinazionale un giorno dovesse bussare alla mia porta vorrà dire che gli sforzi e i sacrifici fatti negli anni hanno portato interesse per quanto fatto. Il birrificio è un’azienda e come tale la cosa più importante è la continuità aziendale sia per il prodotto che per le persone che ci lavorano. Se un’acquisizione da parte di una multinazionale permette di creare una sinergia tale da poter crescere sul mercato senza snaturare la propria attività, non ci vedrei niente di male”.
Chiudo col botto, intervistando “mio fratello di sangue” Jean Van Roy, birraio della Brasserie Cantillon (superfluo aggiungere altro) leader indiscussa nel produrre ed assemblare lambic tradizionale.
Jean, dicci la tua opinione sull’irresistibile tendenza dell’acquisizione di piccole birrerie da parte delle multinazionali.
Le multinazionali della birra si sono rese conto un po’ tardi dell’importanza del movimento artigianale. Le loro reazioni sono state tardive ma bisogna ben ammettere che da due-tre anni, i gruppi internazionali hanno molto bene compreso come potevano mescolarsi con la massa dei birrifici artigianali. Hanno molto bene assimilato le modalità dei “consumatori di birra artigianale” e si adattano perfettamente per farsi passare da piccole birrerie che producono qualità. Si sarebbe potuto credere che avrebbero ripetuto lo stesso modo di fare di quarant’anni fa, si acquista una birreria, la si chiude e si continua a fare la birra altrove sotto lo stesso nome.
Oggi le multinazionali lavorano intelligentemente e con potenziale finanziario senza fine. Senza una reazione reale del mondo artigianale (birrai, distributori, consumatori…) questi “falsi artigianali” trasformeranno chiaramente il mercato del futuro prossimo. Lo scopo finale di queste multinazionali è sempre quello di guadagnare il maggior denaro possibile! E per questa ragione, io dubito che a termine, tutte queste piccole birrerie acquistate a peso d’oro possano continuare a produrre nelle loro installazioni. Almeno una parte importante della produzione sarà fatta in mega-birrerie con una perdita di qualità per le birre e per i consumatori.
Davanti ad una grossa offerta per vendere la tua birreria, cosa faresti e perché.
Rifiuterei evidentemente! Cantillon non è solo una birreria che fa birre di successo. È un luogo che nel corso del tempo si è caricato di storia e che oggi rappresenta una vestigia vivente del passato molto ricco del mondo brassicolo bruxellese. È una birreria dove anche i muri, i soffitti e i pavimenti giocano un ruolo nell’inseminazione e dunque sarebbe impossibile riprodurre la stessa birra altrove. Infine, è una birreria in cui la famiglia s’è battuta per decenni per salvare una birra mitica, il Lambic.
Vendendo, avrei l’impressione di perdere la mia anima e di tradire i miei avi, ecco perché non è questione di rispondere a un’offerta di acquisto, qualunque essa sia!”.
Spero di aver fornito ai lettori un ampio e variegato panorama in modo che ognuno possa farsi la propria opinione in merito ad un tema che sta accalorando e preoccupando tutti gli attori di un mondo che all’apparenza sembra piccolo ma che in realtà rappresenta un nuovo, anzi inedito, ed importante tassello dell’affermazione del “Made in Italy” in campo eno-gastronomico.
Abbiamo ascoltato opinioni sanguigne o distaccate di incuranti, possibilisti, ottimisti e pessimisti ed io dove mi piazzo? Beh mi conoscete, mi piazzo all’estremo dei pessimisti e prevedo un’emorragia di piccole birrerie che falliranno o venderanno sempre che qualcuno le voglia comprare e soprattutto un incremento sempre più rapido e pressante delle acquisizioni di aziende con appeal dotate di un marchio che si sia consolidato grazie a passione e sacrifici, due parole chiave sconosciute alle multinazionali. E poi, e qui concludo, l’ideologia dov’è finita? Sul marciapiede senza dubbio alcuno! Io sposo in pieno il credo di Veronelli che affermava: “il peggior vino del contadino è migliore del miglior vino industriale”, il che ovviamente non è vero dal punto di vista “letterale” ma che è sacrosanto dal punto di vista ideologico. Quindi invito tutti i seguaci, come me, dell’ideologia artigianale a predicare e divulgare il verbo “la peggior birra artigianale è migliore della migliore birra industriale”. Amen!
A cura di Lorenzo Dabove detto Kuaska
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Per maggiori informazioni vi invitiamo a consultare il nostro Nuovo Annuario Birrifici Artigianali, scaricabile gratuitamente
Tutti gli articoli di Kuaska:
2016 – BIRRE ARTIGIANALI: FORMAZIONE E CRESCITA PROFESSIONALE DEI MICROBIRRAI IN ITALIA
2014 – IL CRESCENTE FENOMENO DELLE “BEER FIRM”, BIRRIFICI SENZA BIRRIFICIO
2013 – DEFINIZIONE E PERCEZIONE DELLA BIRRA ARTIGIANALE IN ITALIA
2012 – FOCUS SULLA BIRRA ARTIGIANALE NEI PAESI SCANDINAVI
2012 – BIRRE ARTIGIANALI MADE IN ITALY: LO STRETTO LEGAME COL TERRITORIO
2011 – IL BOOM DELLE BIRRE BARRICATE SULL’ASSE AMERICA/ITALIA
2008 – THE THRILLING ADVENTURE OF THE AMERICAN “RENAISSANCE”
2008 – L’ESALTANTE AVVENTURA DELLA RENAISSANCE AMERICANA
2006 – BIRRA ARTIGIANALE: DIECI ANNI DOPO LA NASCITA DEL “MADE IN ITALY”
2005 – IL BOOM DELL’ HOMEBREWING IN ITALIA
2004 – LAMBIC: L’ANELLO MANCANTE TRA LA BIRRA E IL VINO
2004 – INTERVISTA CON IAIN LOE, CAMRA (CAMPAIGN FOR REAL ALE)
2002 – L’INCREDIBILE SUCCESSO DELLA BIRRA ARTIGIANALE IN ITALIA
2001 – LA DEGUSTAZIONE DELLE BIRRE
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