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Intervista condotta da Marco Tripisciano (Mondobirra)
a Stefano Ricci (beer hunter, degustatore ed esperto di birre artigianali)
(cfr. foto)
Autorizzazione alla pubblicazione da parte di www.mondobirra.org


SOMMARIO:
Numero birrifici artigianali e trend di crescita- I libri dedicati alle birre – I riconoscimenti internazionali per i produttori e le birre – I paesi all’avanguardia del movimento birrario artigianale – Gli emergenti in Italia e all’estero – Le associazioni birrarie


riferimento temporale : agosto 2010

Il numero dei birrifici artigianali sta aumentando ancora, il trend non si arresta, abbiamo superato quota 300. Cosa ne pensi?

Penso che sia una cosa positiva. La concorrenza, sui prezzi e sulla qualità, è sempre positiva e non può che far bene al settore. E non parlo solo delle tasche dei consumatori. In Italia dove la quota di mercato della birra artigianale non raggiunge (vado a memoria) l’1% del volume totale rispetto all’ 8% statunitense, fatte le debite proporzioni rispetto alle dimensioni assolute dei due mercati, penso ci sia ancora molto spazio da conquistare. Senza considerare l’export, ovviamente, di cui poco si parla, ma che rappresenta una voce importante, se non fondamentale, per molti birrifici.

Il problema, secondo la mia visione, è che sarebbe necessario un ripensamento del modello di commercializzazione, non più votato alla scorciatoia del prodotto elitario (segmento già affollato che peraltro andrebbe a saturarsi ben prima di raggiungere il fatidico 8%) bensì al consumo massificato di qualità. L’eccellenza può essere elitaria e occasionale, la qualità deve diventare la norma. A tale proposito, il continuo aumento della proposta artigianale non può che “catechizzare” nuovi consumatori e non vedo un problema di sottrazione di clientela fra birrifici, piuttosto un’opportunità di crearne di nuovi per tutti quanti. Certamente il numero elevato non va di pari passo con la costanza qualitativa, sono molti gli arrivisti improvvisati che pensano sia tanto facile ingrassare il conto in banca con qualche grosso pentolone di rame, ma sempre più spesso, assaggiando prodotti di birrifici misconosciuti (ed in questo microbirrifci.org è una bibbia insostituibile), perché non sugli scudi del web o sulla bocca di qualche “santone”, si possono avere sorprese positive e prodotti corretti a prezzi concorrenziali.

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Gli ostacoli sono molti e più che alle trite questioni di accise e UTIF, che a me spesso paiono specchietti per le allodole, penso ad una cultura imprenditoriale molto conservatrice ed alla grande difficoltà di reperimento di finanziamenti e di capitale di rischio nel nostro paese. Ma, con tempi sicuramente più lunghi rispetto ad altri paesi, una delle evoluzioni possibili sarà quella della qualità per tutti e qualche birrificio leader in questo nuovo approccio emergerà. D’altronde non è nemmeno necessaria la fatidica creatività e fantasia nostrana. Basta copiare il modello di business che altri hanno già portato al successo…

Libri dedicati alle birre. Negli ultimi 3 anni si sono moltiplicati, a volte però mi sembrano un pò simili, mi sbaglio?

Ti confesso di non essere un grande lettore di libri a tema birrario. Ne acquisto pochi e a volte mi limito a darci solo una sfogliata. Sono rimasto fermo all’incommensurabile ‘Guida alle Birre del Mondo’ di Michael Jackson che fu per me fondamentale nello stimolare la curiosità e la ricerca birraria grazie a quelle descrizioni chirurgicamente esaustive. Altro ottimo libro da consigliare, anche se un po’ disomogeneo, è ‘ Evaluating Beer’ edito dalla Brewers Association. Pubblicazioni di questo profilo sono quelle che più mi interessano, ma sono libri di una qualità non comune, che forse non interessano tutti. A livello nazionale, giustamente perché è necessario partire dal principio, ho visto manuali di carattere più divulgativo, basico, con l’eccezione di ‘La Tua Birra Fatta in Casa’ Di Bertinotti e Faraggi che, sfogliandolo e leggiucchiandolo (non sono homebrewer), mi è parso davvero un imprescindibile capolavoro del genere in lingua italiana.

Sul tema della cultura birraria si è vista qualche duplicazione, forse dettate anche dalle esigenze dell’editore. Ora è il turno delle guide, con la ‘Guida alle Birre d’Italia’ di Slow Food e l’invasione di ‘EuroHop’, guida dei locali europei, in tutto il paese. Non ho ancora visto l’ultima edizione della guida di Slow Food, un libro utile, se non necessario, soprattutto per stimolare la curiosità dei gourmet verso il panorama birrario. Non credo possa diventare un riferimento simile a quelle del vino in fatto di premi per la peculiarità del prodotto birra, slegata dalla stagionalità e non sempre uniforme nel tempo. Ho letto alcune critiche riguardo ad alcune scelte fatte, ad un’eccessiva generosità di giudizio, alla concentrazione di premi su alcuni nomi che adombrano conflitti di interesse. Come diceva Andreotti? A pensar male… Di certo, e forse è la cosa più importante, è una guida che ha colmato un vuoto importante sugli scaffali birrari, raccogliendo l’eredità (ricordiamolo) di un precedente e pionieristico libro di Lelio Bottero. Riguardo alle guide di locali, trovo sia un segmento spinoso perché se è vero che avere in valigia un elenco di luoghi validi può sempre tornare utile, è vero anche con un minimo di programmazione e con una navigata su Google, Ratebeer e Beeradvocate si hanno sempre notizie fresche. Il web è un avversario ostico e aggiornatissimo.

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Io stesso, insieme ad Alessio Leone, sto lavorando con la mano sinistra ad una guida locale che spero un giorno possa vedere la luce. Ci abbiamo ragionato e ci siamo fatti l’idea che una guida debba essere qualcosa di più di un elenco, che debba mettersi prima di tutto nei panni di chi la acquista (la guida e la birra) fornendogli le informazioni davvero necessarie ed allo stesso tempo esprimendo una personalità, un taglio ed un’omogeneità che dia un surplus rispetto ad un archivio web. Vedremo cosa ne verrà fuori, è un progetto in divenire, anche in termini di editore e di formato. Di una tipologia di libro sento davvero la mancanza: qualcosa che sappia trasmettere in maniera approfondita nozioni di degustazione insieme a pagine di passione respirata e vissuta. Un libro di estetica birraria che deve necessariamente essere anche storico, se vogliamo usare qualche parolone. Chissà, magari un giorno Kuaska si deciderà a scriverlo…

L’altro giorno un signore ci ha chiesto via mail: quale è il miglior riconoscimento internazionale per un produttore di birra? La facciamo una classifica dei premi?

A me i concorsi piacciono, sia come giudice quando vi partecipo che come appassionato quando leggo i risultati. Chi ha partecipato ad una giuria sa quanto questo compito sia difficile e credo quindi che il lavoro onesto di persone competenti possa essere criticato ma vada sempre rispettato. Io credo che sia un bene avere più concorsi, anche con differenti modalità poiché rispondono a scopi diversi. La cosa importante è prevenire la concentrazione di autorevolezza su una sola fonte: è mettendo insieme più campane che il meno esperto si mette in condizione di partire all’esplorazione. I concorsi che amo di più sono quelli nazionali: trovo siano i più coerenti ed i più interessanti, quelli che forniscono più informazioni utili.

Sono più tiepido invece sui vari tornei mondiali, spesso la scarsa copertura e partecipazione (vedi molti big del Belgio da sempre disinteressati alle competizioni) fornisce risultati che oltre al marketing lasciano il tempo che trovano.Personalmente metto in cima alla lista il modulo di concorso proposto dal CAMRA al GBBF: categorie non sterminate, storicamente sensate e ben delineate, concorso svolto in concomitanza con un grande evento pubblico. Mi piace un po’ meno la pur splendida versione all’americana del GABF, dove le categorie tendono al centinaio, un po’ per essere esaustivi, un po’ per dare sfoggio di innovazione, un po’ perché così si danno molte più medaglie e i birrai sono più contenti..Trovo sia un concorso dalle grandi potenzialità Birra dell’Anno di Unionbirrai, ho fatto parte della giuria nel 2007 e posso dire che dovrebbe essere il principale riferimento italiano per birrifici e consumatori attenti.

Sono invece meno entusiasta dei siti di rating tipo Ratebeer. Se è vero che le democrazia della rete è una bella cosa, è vero anche che l’assenza di un rating affidabile sull’autorevolezza del rater stesso vanifica di molto queste miniere di informazione. Tutto finisce per creare curiose lobby di cosiddetti beer geeks, dediti più al safari birrario ed alla ricerca di una nuova etichetta da impagliare più che alla voglia di bersi una birra in santa pace e capire solo se alla fine della fiera è buona o meno. Uno si aspetterebbe che fossero un circolo chiuso ed autoreferenziale, invece finiscono per avere una certa influenza sul mercato e sulle scelte commerciali di alcuni birrifici. Purtroppo.

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Birra Artigianale. Italia, Belgio, UK e USA, sono questi secondo te le 4 nazioni che stanno trainando la produzione in termini di novità e qualità?

Non so dirti se abbiano l’esclusiva, di sicuro sono i quattro paesi dove amo di più andare a farmi una birra. Ho messo un po’ in discussione le mie opinioni sugli USA, grandissimi nelle birre sperimentali, maturate in legno, inarrivabili negli stili ultraluppolati da loro ideati, ma non allo stesso livello (con le dovute eccezioni) sugli stili classici ed in generale sulle birre che facciano della magnifica semplicità il loro punto di forza. Non è nelle loro corde, o forse sarà la loro seconda rivoluzione brassicola, chissà. Di sicuro la loro la scelta di una forte caratterizzazione ha fatto scuola ed è stata una delle chiavi di successo nel distinguersi dalla grande industria. Amo molto le birre artigianali italiane. Nonostante i miei strali da vecchio trombone, trovo che i birrai bravi italiani (certo, non sono moltissimi) siano bravi sul serio. In Italia ci trovo innovazione ma anche tradizione rivisitata, ci trovo tanta varietà abbinata ad un buon livello, e possiamo sfoggiare diversi fuoriclasse. Se ne stanno accorgendo anche all’estero e se fossi uno straniero prenderei in seria considerazione del beer huntig selvaggio in Italia. E poi, le nostre birre sono in molti casi “divertenti”, interessanti e coraggiose senza essere cerebrali, e spero lo rimangano.

In UK forse non c’è tutta questa innovazione. Per fortuna. Non ne hanno bisogno, hanno un patrimonio storico inestimabile e, sebbene gli stili britannici non siano in cima alla mia top list, resta per me il luogo più rilassato dove trovare birra, mi diverto e mi sento sempre a casa dal GBBF al pub nel paesino che si affaccia sulla Manica. Il Belgio con i suoi tesori resta la Mecca: non mi dispiace vederli contaminarsi e seguire qualche moda se ne esce qualcosa di nuovo e di buono, ma la priorità spero rimanga sempre quello dei loro magnifici stili tradizionali. Io vedo l’evoluzione degli stili come qualcosa di darwiniano: se in un’epoca lontana dal marketing, date certe materie prime, un certo tessuto sociale ed un determinato clima, determinati stili (ricette se si vuole) si sono evoluti ed affermati rispetto ad altri, ci sarà una ragione o no? W la varietà in un mondo che muta, ma non è che alla fine si torna sempre ai grandi classici, che guarda caso i nostri avi hanno selezionato perché sono semplicemente più buoni? In Belgio quindi più che altro mi piacerebbe vedere emergere ed arrivare al successo qualche nuovo fuoriclasse, innovatore o meno, che non sono mai abbastanza…Come beerhunter ho nel mirino Giappone, Australia e Nuova Zelanda: non so a che livello realmente siano (mi è arrivata qualche birra giapponese piuttosto improbabile), ma sarebbe curioso e divertente vedere cosa accade da quelle parti e non è detto che non capiti prima o poi.

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Mi è piaciuta molto l’idea della Compagnia del Luppolo sul tema dei birrai Saranno Famosi. Ci fai 5 nomi emergenti in Italia e 5 all’estero che consiglieresti ai nostri lettori?

Anche io trovo sia un bellissimo festival (non so quanto replicabile, difficile trovare 6 nuovi birrifici meritevoli all’anno…) e non dimenticherei Claudio Capelli della Locanda del Monaco Felice che lo ospita, publican schivo e poco sotto i riflettori ma appassionato e competente come pochi. Sui nomi mi cogli un po’ in castagna: oramai il concetto di emergente viene bruciato nel giro di pochi mesi ed io non ho avuto l’occasione di fare grandi viaggi negli ultimi mesi. Sull’Italia, mi ha ben impressionato la partenza bruciante del Birrificio Rurale che con tre birre ben calibrate e senza fronzoli ha già mietuto parecchi successi. Buona impressione anche da alcuni di assaggi del Birrificio Valcavallina, birre semplici, ineccepibili e molto godibili a prezzi accessibili. In conflitto di interesse, citerei poi Extraomnes dove lavora l’amico Schigi, birre che devono piacere prima di tutto ai birrai, da qui la scelta di seguire il solco della tradizione belga e proporre prodotti a prezzi contenuti e già di livello elevato. Altra partenza folgorante è stata quella del Birrifico Lovebeer, e c’era da aspettarselo da un homebrewer esperto come Valter Loverier, con birre tradizionali e innovative al tempo stesso, ma mai sopra e righe.

Riguardo all’estero, ho poche “novità” da portare. Se consideriamo “estero” qualche centinaio di metri oltre il confine, ho apprezzato molto la carica innovativa del progetto Bad Attitude, la scelta “popolare” della lattina e di ricette lineari ma solide. Qualche buon assaggio l’ho fatto allo stand di Jandran-Jandrenouille allo Zythos. E segnalo De Graal, che nuovo non è, ma di sicuro un po’ trascurato, mentre ho avuto di recente un paio di assaggi davvero notevoli dalle mani del birraio, in particolare i lotti più recenti della Quest, una tripel non speziata, robustamente luppolata e molto attenuata. Non sono un amante delle muscolarità nord-europee ma ho molto apprezzato le eleganti e buonissime quanto rare Imperial Stout di Narke . Nel panorama inglese, nonostante abbia incocciato in qualche bottiglia problematica, apprezzo l’approccio di Thornbridge che guarda all’innovazione senza scadere nel ridicolo. Gli Stati Uniti sono una miniera di buoni prodotti, molti dei quali purtroppo irreperibili. Da noi si trovano le ottime ale di Port Brewing ed alcuni eccellenti prodotti di Jolly Pumpkin maturati in legno.

Associazioni Birrarie. Adesso rappresentano, direi, un po’ tutte le esigenze, dai piccoli produttori ai consumatori, è l’ora di passare ai fatti?

Il vero problema delle associazioni è che tutto avviene su base volontaria. E mancando l’incentivo economico, l’attività viene lasciata alla disponibilità di tempo ed alla buona volontà dei singoli, spesso senza un’adeguata regia ed in povertà di mezzi. E succede che spesso gli spazi aperti vengono riempiti da chi, legittimamente, di interessi economici personali invece ne ha. Non sono più socio di Unionbirrai perché da sempre, finita la fase pionieristica, ho sostenuto una doverosa separazione dei ruoli. Ma è un’associazione a cui va tutta la mia considerazione, fosse solo per gli amici che ancora ne fanno parte. Credo che, nonostante la base volontaria, un’associazione di birrifici avrebbe dovuto fare molto di più in passato e che i birrifici, magari i più fortunati, avrebbero dovuto investirci direttamente del loro. Un decennio di immobilismo ha invece rallentato l’affermarsi di un’identità e di una cultura birraria unitaria e diffusa e non ha permesso di affrontare i nodi principali che frenano il settore. I recenti avvicendamenti, l’ingresso di personaggi che si spera siano più “uomini d’azione”, credo siano un segnale di un nuovo corso.

MoBI invece, ancora giovane, mi pare ancora molto legata alla buona volontà dei suoi consiglieri ed in fase di rodaggio. Non ho idea di come venga percepita all’esterno l’attività sociale, al di là dell’entusiasmo che è molto, e l’elevato numero di iscritti penso crei una certa aspettativa. Forse c’è ancora poco sostegno ed iniziativa diretta dei suoi soci (tipo me…), anche se il lavoro fatto finora sul homebrewing mi pare sia eccellente e mi piace molto la trasparenza e la libertà che vi si respira. Personalmente mi auguro si possano trovare collaborazioni fra UB e MoBI su specifici progetti, magari sui concorsi o su qualche grossa manifestazione. Sarebbe un bel segnale mettere in comune le forze migliori e molto sciocco non cercarsi reciprocamente.

Su ADB mi sono espresso molte volte, mi pare il braccio culturale delle attività imprenditoriali (legittime e a volte pure meritevoli) di Paolo Polli. Non discuto la serietà delle sue iniziative, ma credo abbia un ruolo molto limitato al di fuori del proprio business. Gli va però riconosciuta una capacità di iniziativa e realizzativa nettamente superiore a quella delle altre associazioni, che dovrebbero prendere spunto se non trovare qualche punto di incontro anche con la sua attività. L’ONAB non l’ho sinceramente capito. Se ne sentiva davvero la mancanza? Se c’era la volontà di portare il proprio contributo, perché non portarlo all’interno di qualcosa di già esistente? Sulla campagna acquisti di Assobirra, associazione di industriali, nel mondo artigianale si sono spese molte parole, ma io ancora oggi non ho compreso quale fosse il reale obiettivo. Probabilmente è un problema mio di scarso comprendonio.

Fonte: www.mondobirra.org/stefanoricci.htm

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