Abstract tratto dalla relazione di
Gianacarlo Prevarin (presidente della’Associazione Enologi ed Enotecnica Italiani)
al 67.mo congresso 2012 della categoria
www.assoenologi.it
Riferimento temporale: giungo 2012
“Nel 2010 al nostro 65° Congresso nazionale, celebrato a Merano, ho aperto la prolusione dicendo che il 2009 era un anno da dimenticare e che il 2010 non sarebbe stato migliore. E così purtroppo è stato. Del resto, al di là dell’ottimismo che deve sempre e comunque animarci, dal latte alla frutta, dal pesce agli ortaggi, dalla carne ai cereali, il pianto per le vendite interne era e rimane continuo. Fortunatamente il vino ha trovato una sua valvola di sfogo all’estero dove ormai vendiamo oltre il 50% della nostra produzione, ma anche qui la “festa non è per tutti” visto che “ci sono aziende con il vento in poppa ed altre in profondo rosso”.Il nostro non era pessimismo, ma realismo, trasmessoci dai nostri colleghi che, come direttori di cantine sociali e private, hanno non solo la responsabilità della produzione ma anche il vero polso della situazione.
Il 2011, sommato tutto, per il vino italiano si è chiuso in modo positivo e questo in un periodo di grande difficoltà come l’attuale non è poco. Performance che ci danno molte nuove speranze. Per ricordare da dove siamo partiti e oggi siamo arrivati, basti pensare che nel 1980 il “Vino da Tavola” in Italia rappresentava poco meno del 90% della produzione. Oggi si attesta al 40%. I vini Igt non c’erano, mentre quelli a denominazione di origine erano solo il 12%; nel 2011 questi hanno toccato il 33%. È proprio l’affermazione del nostro settore che deve essere il primo obbiettivo e che ci deve trovare tutti uniti, visto che è la base, il punto di riferimento di ognuno, nella convinzione che il vino è sì storia, cultura, tradizione, territorio, ma soprattutto business. Solo con la poesia, nel nostro settore come in qualsiasi altro, non si campa, non ci si afferma, non si vende, non si costruiscono o conquistano i mercati.Appunto, la conquista dei mercati, a cui tutti tendono, quasi sempre però pensando esclusivamente ai propri interessi, alle singole affermazioni, ignorando che il primo traguardo da raggiungere non è togliere spazio al produttore vicino o alla denominazione antagonista, ma creare la fiducia di “sua maestà il consumatore” verso il vino italiano, ovvero una base su cui poi innescare confronti e concorrenze.
Un tempo era il settore che indirizzava le scelte, oggi, è inutile negarlo, è il mercato fatto di consumatori assai diversi, in alcuni casi attenti e competenti, in altri meno che spesso intendono e valutano il vino con criteri e logiche differenti dalle nostre. Comportamento che invece di essere criticato, deve essere capito e assecondato. Lo so che sono parole dure e crude, ma noi di Assoenologi, con molta coerenza, sono anni che le ripetiamo sicuri di essere nel giusto e qualche risultato grazie anche al nostri sforzi il settore l’ha avuto. Siamo infatti contenti che le Istituzioni abbiano accolto il nostro appello lanciato a Venezia nel Congresso del 2008 quando denunciammo che ben 21 enti sono deputati ai controlli e che squadre diverse piombano in azienda, magari durante il periodo di vendemmia, per controllare le stesse cose e che pertanto occorre una maggiore coordinazione. Oggi questo problema ci sembra diluito e ringraziamo le Istituzioni per averlo quasi annullato. Siamo contenti che finalmente, grazie alle nuove norme comunitarie applicate dal nostro Ministero delle politiche agricole, almeno per le Dop e presto anche per le Igp, finalmente possiamo conoscere la consistenza effettiva della superficie vitata italiana e quindi basarci su dati di produzione veritieri permettendoci di fare programmi di sviluppo, impostare nuove strategie, effettuare controlli basandoci su una situazione reale. Fino a ieri non conoscevamo la consistenza del vigneto e della cantina Italia, come potevamo studiare strategie, ipotizzare controlli, impostare piani di vendita? Era come costruire un palazzo senza planimetria.
Siamo contenti di avere sempre più consensi per demandare all’enologo, attraverso autocertificazione e sotto la sua responsabilità civile e penale, alcune pratiche, eliminando carte, lungaggini e quindi dispersione di tempo e denaro da parte delle imprese. Il successo del coacervo delle Doc ne è solo un esempio. Siamo contenti della ferma posizione che il Ministro Mario Catania ed il Presidente della Commissione agricoltura del Parlamento europeo Paolo De Castro hanno preso per mantenere i diritti d’impianto, tesi da subito auspicata e con determinazione sostenuta anche dalla nostra Associazione nazionale di categoria.Siamo contenti che il Direttore generale dell’Istruzione tecnica Raimondo Murano stia pensando ad una struttura formativa specifica da concretizzare presso gli Istituti di viticoltura ed enologia rilasciando il titolo di enotecnico, prendendo in considerazione i suggerimenti espressi da Assoenologi, e che le Università che possono formare l’enologo siano state ridimensionate nel numero, erano 21, e nella loro organizzazione di programmi e docenti. Abbiamo infatti sempre sostenuto che il nostro settore ha bisogno di diversi livelli di professionisti che però devono essere formati in modo adeguato e all’altezza delle richieste delle imprese.Siamo contenti che il Ministro della Giustizia abbia dato parere favorevole alla pratica di riconoscimento dell’Assoenologi quale entità a livello europeo di rappresentanza della categoria dei tecnici del settore vitivinicolo italiano, secondo le più recenti direttive comunitarie e che il Ministro delle politiche agricole abbia riconfermato il nostro direttore generale alla presidenza del Comitato nazionale vini, giusto riconoscimento alla sua managerialità, coerenza ed obiettività e di riflesso a quelle dell’Assoenologi tutta.
Non siamo contenti invece della piega che ha preso la concertazione tra Ministero e Conferenza Stato-Regioni, in cui spesso si scaricano tensioni che nulla hanno a che vedere con i provvedimenti in discussione e che comportano tempi lunghissimi di decisione anche per questioni semplici.Vedi ad esempio il recente decreto sulle Commissioni di degustazione che ha avuto una gestazione di 18 mesi e altri 4 ce ne sono voluti, poi, solo per cambiare la data di entrata in vigore.Non siamo contenti di dover constatare che sulla stessa materia vengano assunti localmente provvedimenti e decisioni operative diverse, creando difficoltà e tensioni. Mi riferisco ad esempio alla rivendicazione delle uve atte a dare vini Dop e Igp e alla gestione delle incombenze relative alla denuncia dei vigneti dove addirittura la modulistica è diversa tra una Regione e l’altra. Per non parlare del riallineamento dei vigneti e della relativa gestione delle anomalie, gravi per alcune, insignificanti per altre. Non siamo contenti di come molto spesso le norme nel nostro settore abbiano interpretazioni disomogenee sul territorio nazionale. Anche gli stessi uffici periferici dell’Icqrf spesso interpretano in modo differente. Auspichiamo quindi un maggiore coordinamento in modo che enti di controllo e non agiscano univocamente dal Piemonte alla Sicilia.Non siamo contenti che le semplificazioni amministrative stentino a decollare. Ad esempio, che l’innovativo sistema dello schedario vitivinicolo/denuncia delle uve unificate sia ancora applicato a macchia di leopardo, con dilatazione dei tempi di riscontro delle produzioni e di difficoltà di certificazione delle medesime.
Non siamo contenti dell’eccessivo ricarico che certi esercizi applicano al vino, moltiplicando anche 5 volte il prezzo di partenza. In questo modo i produttori fanno la fame, i consumatori sono scontenti e l’immagine del vino perde terreno. Nonostante siano passati alcuni anni rimangono sempre valide le conclusioni a cui è giunto il nostre Congresso di Montesilvano, conclusioni che possono essere così sintetizzate: “in certi esercizi la cantina rende più della cucina”.
Non siamo contenti che alcuni segmenti del settore facciano leva sugli organi di informazione per far passare di qualità solo il vino di alta o altissima gamma, ossia quello che costa molto. Secondo noi tutto il vino italiano deve essere di qualità, anche quello di tutti i giorni, ovviamente rapportato alla fascia di consumo e al prezzo. Non dimentichiamo che la maggiore percentuale del vino in Italia come in Francia e in Spagna non è di alta o altissima gamma e che i consumatori che oggi possono spendere oltre 15 euro per una bottiglia di vino sono sempre di meno.
In conclusione. La contingente situazione economica, la scarsa disponibilità di denaro dei consumatori, le sempre più aggressive campagne anti-alcol, stanno creando una situazione indefinita, ricca di incognite. Problemi certamente non solo nostri, è vero. Ma è altrettanto vero che sta a noi adottare formule adeguate. L’Assoenologi ne ha proposte diverse. Tutte però hanno un unico denominatore: “uniti si vince”.
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