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Il valore nutritivo degli alimenti: un approccio innovativo

Fino a oggi, il “potenziale di salute” degli alimenti è stato valutato quasi esclusivamente in base alla loro composizione nutritiva, e le diverse linee guida si sono concentrate per lo più sulla riduzione o l’aumento di singoli nutrienti nella dieta, dando indicazioni sui principi dei quali sarebbe bene incoraggiare il consumo (per esempio fattori vitaminici, minerali, antiossidanti, fibre…) e su quelli che invece sarebbero da limitare (grassi saturi, zuccheri semplici, sale…).

 

Si  tratta  però  di  un  approccio  valido  solo  parzialmente,  che  deve  essere affiancato da altri criteri per risultare davvero efficace: lo stato in cui un alimento si presenta, la sua consistenza, la sua freschezza, il modo in cui è stato lavorato, conservato e anche cucinato, sono infatti dei fattori che possono incidere molto sul reale valore nutritivo, al di là della sua composizione. Lo stato degli alimenti e i trattamenti a cui vengono sottoposti non solo influenzano la disponibilità per l’organismo dei nutrienti (biodisponibilità), ma incidono anche sulla velocità con cui  gli  stessi  vengono  assimilati  e  determinano  differenze anche  nel  potere saziante.

In altre parole, una caloria di un dato alimento non è necessariamente l’equivalente di una caloria proveniente da un altro, anche se i due alimenti hanno un’identica composizione nutritiva.

Il “potenziale di salute” di ciò che mangiamo è definito dalla composizione in nutrienti (aspetto quantitativo), dalla struttura del cibo (aspetto qualitativo)5, nonché dalla composizione della dieta, ed è partendo da questa evidenza che, soprattutto parlando degli alimenti lavorati nell’industria, diventa importante considerare quanto i processi di trasformazione incidano sulle caratteristiche delle materie prime.

I succhi 100%: alimenti minimamente processati

Un approccio di questo tipo, che potremmo definire “olistico”, è stato adottato dalla Organizzazione Panamericana per la Salute (Pan American Health Organization – PAHO), impegnata attivamente nella messa a punto di strategie di contrasto al sovrappeso e all’obesità, condizioni che nelle Americhe registrano la massima prevalenza. Nel 2016, la PAHO ha messo a punto un modello stabilendo dei criteri utili per classificare gli alimenti e le bevande da consumare con moderazione in ambito di una dieta sana ed equilibrata.  Gli esperti della PAHO si sono riferiti al sistema di classificazione NOVA6,7 che è stato sviluppato in Brasile e che classifica gli alimenti in base al loro grado di elaborazione (ultra trasformati, trasformati, minimamente trasformati). Ciò che è più interessante osservare è che il modello PAHO di classificazione degli alimenti non soltanto non si applica – come è ovvio – agli alimenti freschi, ma neppure a quelli definiti “minimamente processati”, cioè a quegli alimenti ottenuti trattando le materie prime con processi che al limite possono comportare la sottrazione di parti del cibo (per esempio, parti di scarto) senza però influire in maniera significativa sul valore nutritivo. Si tratta di alimenti ottenuti con processi minimi di tipo fisico e senza aggiunta di alcuna sostanza estranea (possono essere eventualmente addizionati di vitamine e minerali per ripristinare il contenuto originale di micronutrienti o per scopi di salute pubblica, oppure possono essere addizionati dei  soli additivi  necessari  per  preservare  le  loro  proprietà  originali,  come antiossidanti e stabilizzanti).8 I processi minimi includono, a titolo di esempio, la pulizia, il lavaggio, la vagliatura, la sbucciatura, la macinazione, la grattugiatura, la spremitura, la pastorizzazione, la sterilizzazione, la refrigerazione, il congelamento, il ridimensionamento.

I “succhi di frutta freschi o pastorizzati senza zuccheri aggiunti” sono espressamente elencati tra gli alimenti minimamente processati, perché vengono ottenuti con tecniche che mantengono le loro caratteristiche molto vicine alla frutta da cui provengono, e a questo proposito è importante sottolineare che le tecniche attuali rispecchiano un’evoluzione del concetto di qualità che si è accompagnato negli anni al consumo di questi alimenti. Mentre un tempo le attenzioni dei produttori riguardavano quasi esclusivamente la sicurezza e la presentazione dei succhi, oggi le aspettative dei consumatori sono più ampie e uniscono alle imprescindibili garanzie di sicurezza anche una forte attenzione al gusto, al valore nutritivo e al mantenimento delle prerogative di salute tipiche della  frutta.  Importantissima  fonte  di  sostanze  nutritive  e  di  fibre,  la frutta contiene anche sostanze ad azione antiossidante e le tecnologie moderne di estrazione e confezionamento dei succhi si sono evolute proprio nel senso di mantenere al meglio questo patrimonio di salute, superando anche il vincolo della stagionalità che limitava l’assunzione di queste sostanze alla possibilità di consumare la frutta fresca.

 

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Come si producono i succhi di frutta 100%

L’appartenenza dei succhi di frutta 100% alla categoria degli alimenti minimamente processati risulta evidente quando consideriamo il modo in cui vengono ottenuti. Le fasi principali della lavorazione differiscono poco da frutto a frutto, così che per darne un’idea si può prendere come esempio il succo di arancia, tra i primi posti nelle preferenze dei consumatori.

Le operazioni iniziali

Dopo la raccolta, le arance vengono lavorate nel più breve tempo possibile procedendo per prima cosa alle indispensabili operazioni di preparazione: le arance vengono lavate accuratamente, si spazzolano per eliminare eventuali residui rimasti e si procede a un’accurata selezione dei frutti (devono essere sani e maturi), scartando quelli non idonei. A seconda della tecnica di estrazione che si adotta si può eventualmente rendere necessaria anche una calibratura.

L’estrazione

Sono due i derivati principali che si ottengono dalla lavorazione industriale delle arance (e in generale degli agrumi): il succo e l’essenza. Per estrarli si lavora con sistemi meccanici a freddo, operando con macchine diverse a seconda che si proceda prima a estrarre l’essenza e poi il succo, oppure che si faccia l’inverso, estraendo per primo il succo e poi l’essenza dalle bucce, o, ancora, che si estraggano insieme succo ed essenza contemporaneamente. È quest’ultimo il sistema oggi più utilizzato a livello mondiale: le tecnologie moderne permettono di ottenere un succo di qualità molto elevata, evitando che durante l’estrazione entri in contatto con le scorze. Altri sistemi prevedono invece l’uso di macchine che  provvedono  a  pelare  le  arance  recuperando  l’olio  essenziale,  prima  di estrarre il succo mediante pressatura. Un vantaggio di questi sistemi è quello di adattarsi a frutti di diverse dimensioni e di poter poi utilizzare le scorze, per esempio per la produzione di canditi.

Che si adottino i sistemi descritti o altri ancora, il succo estratto contiene comunque quantità variabili di solidi in sospensione e necessita perciò di essere sottoposto a trattamenti di raffinazione, sempre di tipo fisico.

 

La raffinazione e la centrifugazione

Per separare le particelle solide in sospensione nel succo, si utilizzano macchine raffinatrici che consentono di ridurre la presenza dei residui di polpa all’8-10%. Nel caso poi si voglia abbassare ulteriormente la loro presenza, si può ricorrere a chiarificatori centrifughi che permettono di ottenere un succo con una quantità di solidi sospesi anche inferiore allo 0,5%.

La stabilizzazione

A  questo  punto  della  lavorazione,  il  succo  raffinato  necessita  di  essere stabilizzato per evitare che si degradi a opera di enzimi e microrganismi. La tecnica più utilizzata è la pastorizzazione cosiddetta HTST (High Temperature Short Time), attuata in genere con scambiatori di calore a temperature tra gli 80 e i 95 °C per tempi variabili tra i 15 e i 60 secondi (generalmente per il succo di arancia  si  lavora  a  88-91°C  per  una  trentina  di secondi).10   Molto  efficiente

nell’inattivare microrganismi ed enzimi, la pastorizzazione termica mantiene bene anche le caratteristiche nutrizionali, ma tende a modificare leggermente l’aroma e il sapore del succo. Se si vogliono ottenere prodotti ancora più simili al fresco si possono allora utilizzare metodi di stabilizzazione alternativi a quello termico, per esempio ricorrendo all’applicazione di alte pressioni idrostatiche (≥ 350 MPa) per 15-20 minuti, oppure utilizzando anidride carbonica ad alta pressione e operando a temperature inferiori ai 40 °C. Una caratteristica di questi trattamenti è che però non stabilizzano il succo dal punto di vista enzimatico ed il prodotto, dopo il confezionamento, tende a separarsi in una fase polposa sul fondo della confezione e uno strato limpido nella parte alta.

Terminato il trattamento di stabilizzazione, il succo può essere confezionato direttamente in  ambiente  asettico  (succo  “non  da  concentrato”)  oppure  può essere avviato alla concentrazione.

 

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La concentrazione

La concentrazione del succo avviene allontanando parte dell’acqua che lo costituisce (si arriva a concentrazioni comprese tra i 50 e i 65 °Brix). Questa operazione permette di ridurre il volume e il peso del prodotto, facilitandone lo stoccaggio  e  il  trasporto,  e realizzando  un  forte  risparmio  economico.  Si utilizzano  evaporatori che  lavorano  in condizioni  tali  da  mantenere  al  succo concentrato le migliori caratteristiche nutritive e di gusto; in alternativa alla concentrazione per evaporazione si può anche applicare la tecnica della crioconcentrazione: si porta il succo a temperature variabili tra –3 e –7 °C, realizzando l’allontanamento dell’acqua in forma di cristalli di ghiaccio.

A prescindere dalla tecnica utilizzata, il succo concentrato viene infine congelato per garantirne la perfetta conservazione e viene posto sul mercato come semilavorato, da ricostituire mediante aggiunta di acqua per avere il prodotto finale (succo “da concentrato”). È importante sottolineare che la “ricostituzione” di un succo da concentrato non è altro che la restituzione della parte di acqua sottratta al momento della concentrazione. In alcuni casi questo processo comprende anche la restituzione di quella parte di aromi naturali della frutta che si possono perdere durante la concentrazione.

I prodotti sul mercato: succhi nettari e bevande

Chiarito cosa sono e come vengono ottenuti i succhi di frutta, per il consumatore è importante avere gli strumenti per riconoscerli in un mercato nel quale a volte è facile perdersi e fare confusione. Sia i succhi di frutta che i nettari di frutta sono disciplinati da una Direttiva Europea (2001/112 CE del 20 dicembre 2001) aggiornata da ultimo nel 2012 (2012/12 UE del 19 aprile 2012). Al di là delle immagini riportate sulla confezione dei prodotti e del loro nome di fantasia, la norma specifica molto bene l’utilizzo di alcuni termini fondamentale, distinguendo in modo inequivocabile tra succhi e nettari (detti anche “succhi e polpa” quando ottenuti esclusivamente dalla purea di frutta).

Il succo 100% di frutta

La parola “succo” identifica il prodotto ottenuto interamente dalla frutta spremuta. Se sull’etichetta il prodotto viene denominato “succo di frutta” o “succo di frutta 100%”, significa che l’unico ingrediente presente è la frutta con tutte le sue componenti. E questo vale al di là del fatto che si tratti di mela, piuttosto che di arancia, di ananas, di pompelmo o di qualsiasi altro frutto. La specifica “da succo concentrato”, oppure l’eventuale scritta “non da succo concentrato”, evidenziano semplicemente la modalità con cui il succo è stato ottenuto.

 

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Il nettare di frutta

La denominazione “nettare di frutta” identifica un prodotto che, a differenza del succo, non è composto unicamente da frutta, ma è ottenuto partendo dal succo di  frutta  o  dalla purea  di  frutta  o  da  entrambi,  aggiungendo  acqua  ed eventualmente zucchero o edulcoranti. È consentita anche l’aggiunta di un numero molto limitato di additivi, che svolgono essenzialmente una funzione antiossidante o acidificante, mentre è vietato l’utilizzo di conservanti, coloranti nonché aromi. La norma europea prevede che i nettari ottenuti esclusivamente dalla purea di frutta possano essere finiti come “succo e polpa di…”. Per la preparazione dei nettari vengono solitamente utilizzati quei frutti che hanno molta polpa,  come  la  pera,  la  pesca  o  l’albicocca,  e  la  quantità  minima  di  frutta presente nel nettare è indicata nella direttiva europea citata in precedenza e può variare tra il 25 e il 50%, in base alla varietà e alle caratteristiche organolettiche del frutto di partenza Quanto agli zuccheri, è bene specificare che nonostante la norma consenta di aggiungerne ai nettari fino a un massimo del 20% del peso totale del prodotto finito, la quantità media effettiva di zuccheri aggiunti per i prodotti fabbricati in Italia si colloca in un range tra l’8 e il 10% in relazione al tipo di frutta di partenza.

Le bevande a base di frutta

La legislazione italiana individua anche la categoria delle bibite analcoliche che, quando vendute con il nome di una o più frutta a succo, devono contenere una quantità minima di succo pari al 12% (20% per le arance).

Alcuni luoghi comuni…

Nonostante la legge oggi sia molto chiara nel definire le caratteristiche dei succhi 100% frutta e la tecnologia permetta di ottenere prodotti di altissima qualità, continuano a persistere alcuni pregiudizi e luoghi comuni legati al passato. È importante chiarire i più comuni.

I succhi 100% frutta possono contenere zuccheri aggiunti

No: è espressamente vietato dalla normativa. Gli unici carboidrati e zuccheri presenti nei succhi 100% frutta sono quelli che derivano esclusivamente dalla frutta stessa.

I succhi 100% frutta contengono spesso dei conservanti

No: anche in questo caso la normativa europea non permette l’aggiunta di conservanti (e nemmeno di coloranti e aromi) al succo 100% frutta.

I succhi 100% frutta in commercio contengono più zuccheri di quelli ottenuti dalla frutta appena spremuta

No. Studi appositamente condotti hanno evidenziato che il  contenuto di zuccheri nei succhi di frutta 100% che si trovano in commercio è equivalente a quello dei succhi appena estratti dalla frutta fresca.

I succhi “da concentrato” contengono meno antiossidanti di quelli “non da concentrato”

Anche questo non corrisponde a realtà. Mettendo a confronto succhi d’arancia fabbricati con tecniche industriali diverse15, si è visto che la pastorizzazione delicata, la pastorizzazione standard, la concentrazione e il congelamento non hanno influenzato la capacità antiossidante totale del succo (si è ridotta solo nella polpa).

I succhi d’arancia 100% in commercio contengono meno vitamina C delle spremute fatte in casa

È stato effettuato anche un confronto16 tra spremitura domestica e spremitura industriale. Si è osservato che, per quanto riguarda la vitamina C, il succo d’arancia prodotto dalla spremitura industriale ne conteneva il 25% in più rispetto alla spremitura domestica. La pastorizzazione lieve e quella standard hanno addirittura leggermente aumentato il contenuto totale di vitamina C, mentre la concentrazione e il congelamento non ha mostrato cambiamenti significativi.

Conclusione

I succhi di frutta 100% di produzione industriale sono dei prodotti semplici, naturali, minimamente trasformati, che mantengono molte delle più importanti caratteristiche nutritive della materia prima. Per questo motivo, i succhi 100% frutta possono costituire un modo pratico per contribuire all’apporto quotidiano di frutta, giocando un ruolo positivo nell’ambito di una dieta completa e bilanciata, nel rispetto delle indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

 

+info: Ufficio stampa Omnicom Pr Group

Paola Armiraglio – paola.armiraglio@omnicomprgroup.com

Angela Sirago  – angela.sirago@omnicomprgroup.com

Claudia Fiorella – claudia.fiorella@omnicomprgroup.com

Per una più ampia panoramica sui succhi di frutta 100% e sui benefici per la salute si rinvia a: FOCUS SUI SUCCHI: CARATTERISTICHE,TIPOLOGIE, BENEFICI, CONSUMI

 

A cura di  Dr. Giorgio Donegani, Tecnologo alimentare Consigliere OTALL

© Riproduzione Riservata

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