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Non è il solito catalogo di vino, ma un progetto a tutto tondo che sta destando curiosità e interesse: Elemento Indigeno. Reduci da Vinitaly e da altre uscite pubbliche, abbiamo avuto la possibilità di incontrare il team di Compagnia dei Caraibi che si occupa del progetto di ricerca sui vini e ne abbiamo approfittato per intervistare Alessandro Salvano, Sales Wine Manager di Elemento Indigeno.
– Perché nasce Elemento Indigeno?
L’Italia è ricca di realtà vitivinicole interessanti, con Elemento Indigeno non ci vogliamo sostituire a questa proposta, ma affiancarci a chi ha voglia di avere una carta del vino con una marcia in più, nonché una proposta enologica per farsi riconoscere e differenziarsi tra i competitor. Il progetto è partito nel 2019 grazie all’intuizione del CEO di Compagnia dei Caraibi, Ebelberto “Iguana” Baracco: io sono arrivato in azienda nel 2020, in un momento storico di grande incertezza sociale ed economica, e mi sono lasciato conquistare dalla sua idea.
– Qualche numero per capire meglio il progetto?
Siamo partiti con 74 realtà vinicole nel catalogo di Elemento Indigeno; la nostra idea è quella di avere un catalogo dinamico con delle referenze che si alternano e di concentrarci sulle cantine con cui instaureremo un rapporto di lungo periodo. Oggi siamo arrivati a 400 etichette, l’obiettivo è di arrivare a 800/900 nel giro di qualche anno.
– Le coordinate della geografia del vino di Elemento Indigeno?
Ci sono dei vini provenienti da paesi ancora poco presenti in Italia, penso al Messico, alla Cina, al Giappone; il nostro lavoro vuole essere quello di scoprire la viticoltura di queste zone, andando a cercare l’equilibrio nel bicchiere anche anche da un punto di vista di rapporto qualità – prezzo, anche se tutto parte sempre da un alto standard qualitativo, la bussola che guida ogni nostra scelta.
– Dal punto di vista della struttura, c’è una rete vendita separata per Elemento Indigeno?
Abbiamo deciso di unificare la rete vendita di Compagnia del Caraibi di vino e spirits, 140 agenti plurimandatari che hanno il mandato anche per il vino. Qualche settimana fa, in occasione della convention aziendale abbiamo illustrato in maniera dettagliata agli agenti che lavoreranno sul progetto Elemento Indigeno le caratteristiche e le specificità di un progetto che ha necessità di essere raccontato per poter disvelare il suo carattere distintivo. Poi c’è tutto il mondo delle agenzie con cui collaboriamo per avere una diffusione capillare sul territorio; il vero punto di svolta è che l’agente deve diventare un consulente con cui confrontarsi e dialogare. Nel 2021, che per noi è stato una sorta di anno zero, abbiamo registrato più di 600 clienti con vendite di 50.000 bottiglie, numeri che sono destinati ad aumentare e anche di molto per l’anno in corso.
– Il target cliente di Elemento Indigeno?
Sicuramente è un prodotto trasversale che incuriosisce un target ampio ed eterogeneo, ma credo che prima di tutto Elemento Indigeno si rivolga all’oste o all’enotecaro, una figura / un professionista che in qualche modo si fa portavoce della nostra filosofia per poi trasmetterla al cliente finale. Perché dovrei scegliere in carta dei vini un prodotto nuovo e sconosciuto se non ho il consiglio giusto? Ecco noi vogliamo far capire ai nostri partner l’unicità di Elemento Indigeno: saranno poi loro, in maniera spontanea, a proporre le nostre selezioni di vino a chi è incline a sperimentare.
– Avete la fortuna di sfruttare un trend in ascesa come quello dei vini naturali?
Noi arriviamo in un momento favorevole per una certa tipologia di vini, che a me non piace chiamare “naturale”, piuttosto mi piace fare un richiamo al concetto e artigianalità legata al vino, che di fatto rappresenta una vera e propria opera d’arte. Se standardizziamo tutte le tecniche di produzione saremo di fronte a prodotti uguali, che si tratti di un quadro o un vino. Oggi sappiamo che l’abuso chimico, o vini costruiti con aggiunta di sostanze, non sono interessanti, e al tempo stesso sappiamo che l’abuso di una tecnica di vinificazione molto in voga come la macerazione può riproporre quello che è successo una ventina di anni fa quando un utilizzo massiccio di barriques aveva messo sul mercato vini tutti uguali tra di loro. Noi vogliamo avere una proposta che rispecchi l’originalità di quei paesi e di quei produttori che fanno vino da generazioni, ma anche di giovani talenti che si affacciano al mondo enologico con tecniche di vinificazione avanzate. Se oggi possiamo bere ancora un Barolo degli anni ‘40 è grazie alle tecniche di vinificazione più consolidate.
– Il rapporto qualità prezzo delle etichette di Elemento Indigeno?
Il prezzo è sicuramente una parte importante dell’acquisto. I vini stranieri scontano alcuni errori del passato che vedevano su prodotti di fascia medio bassa dei ricarichi talmente alti da presentare un prezzo al cliente finale troppo alto. Il nostro vantaggio è quello di poter ripartire alcuni costi di logistica grazie anche al volume che raggiungiamo con gli spirits; in questo modo possiamo avere la stessa politica di prezzo su tutte le zone del mondo, per arrivare a una proposta competitiva con un range di prezzo compreso tra i 15-30 euro a bottiglia, per poi salire di livello su prodotti di fascia premium.
– Nella legenda del catalogo c’è molta attenzione anche al tema dei tappi, come mai?
Il tappo è un argomento cui siamo molto sensibili. Anche se abbiamo una propensione affettiva per il sughero, oggi sappiamo che ci sono delle chiusure alternative che garantiscono una conservazione pari, o in certi casi, addirittura migliore del sughero, che rappresenta ancora il 70% delle chiusure. Ci sono dei vini che ormai hanno sdoganato quello a vite; alcuni produttori oggi chiudono i loro vini con appi sintetici di brand ormai globali che si stanno affermando sul mercato perché non rischiano di influenzare con i loro sentori lo stile distintivo di quel vino.
+info: elementoindigeno.com
www.compagniadeicaraibi.com
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