Avete mai degustato vini alla cieca? Operazione divertente e didattica, un metodo per capire meglio i vini che abbiamo nel bicchiere. Se ci mettiamo il fatto che questi arrivano da ogni parte del mondo essendo una selezione dei vini di Elemento Indigeno, il progetto di Compagnia dei Caraibi per esplorare i terroir globali in un viaggio di ricerca e sperimentazione, allora il gioco è fatto. Questo in sintesi il racconto della serata andata in scena giovedì 31 marzo al The Doping Bar di Milano, un momento diverso di degustazione alla cieca con 8 etichette tra le più rappresentative del percorso tematico del progetto.
Capiamo di essere nel posto giusto appena entrati in sala quando iniziamo a vedere le scritte di “The World is Wine”, l’imperativo categorico per sintetizzare il messaggio di Elemento Indigeno come sintesi del viaggio enoico che incontra popoli che raccontano il loro modo di vivere e di produrre vino. Un progetto di ricerca targato Compagnia dei Caraibi che come nella filosofia della società piemontese tra i leader nell’importazione e distribuzione di spirits, vini e soft drinks, viene utilizzato uno stile originale e inedito. 8 macroaree, 65 regioni enologiche, 27 paesi, 74 produttori per oltre 330 etichette, i numeri ci dicono solo in parte cosa sta dietro questo lavoro di ricerca e selezione delle realtà vitivinicole più autentiche, per un catalogo eterogeneo e strutturato, con vini ancestrali e delle chicche che raccontano una selezione basata non solo sulla continua ricerca della qualità, ma anche su un impegno etico nei confronti del lavoro.
Tanta ricerca dietro a queste etichette, che ci proiettano in una dimensione diversa, un viaggio in alcuni dei territori enoici mondiali stando comodamente al banchetto di degustazione, si viaggia con la mente ma anche con l’olfatto e con il gusto. A traghettarci in questo percorso tenendo sempre la bussola dritta ci pensa Alessandro Salvano, Sales Wine Manager di Compagnia dei Caraibi. “Con Elemento Indigeno vogliamo raccontare il vino da una nuova prospettiva. Il focus della nostra ricerca non è solo interpretare il punto di incontro fra domanda e offerta, ma condividere la nostra idea di vino. La selezione del catalogo, infatti, non vuole essere un insieme di categorie e di trend, ma un racconto di storie dove il vino è il risultato del lavoro di persone appassionate, di custodi di cultura e pensatori rivoluzionari. Siamo partiti dall’idea che i nostri vini devono, come prima cosa, essere piacevoli nel momento della degustazione, portare emozioni e stimolare pensieri e convivialità. Il nostro catalogo abbatte i confini – fisici e di pensiero – raccontando il vino come connettore globale di una ricerca sempre in divenire.”
Si parte subito alla grande, con un vino giapponese Katsunuma, la cantina simbolo dell’identità vitinicola nipponica che si trova nella Koshu Valley, con il vitigno tradizionale koshu esaltato da una generazione di enologi rientrati a casa dopo aver fatto tante esperienze e studio in giro, Francia in primis. Tra aneddoti e racconti si scopre una nuova frontiera del vino, ma subito facciamo un salto agli albori della viticoltura, in quella culla del vino chiamata Georgia. Nei tradizionali qvevri le anfore di terracotta Giorgi Natenazde ha deciso di andare alla ricerca di vini tra le foreste, lavorando uve autoctone con lunghe macerazioni che donano bevibilità e acidità e ci portano subito in vetta. Un giretto in California, alla scoperta di Martha Stoumen, una delle icone del vino naturale americano che nella contea di Sonoma con la presentazione di Mendoncino Country Honeymoon con Colombard e Chardonnay, un vino con sentori di miele ed erbe alpine.
Voliamo in Sudafrica con Badenhorst Family Wines, con un Chenin Blanc dalle caratteristiche minerali, mentre in Spagna in Cataloga scopriamo Costador con Metamorphika, Sumoll Blanc Brisat, un vino ambrato dalle note agrumate e fruttate. La porta di accesso per i vini rossi è Adyar in Libano, una rete di otto monasteri che ci porta nella Valle di Bekaa dove si vinifica il Sangiovese che qui ha trovato il suo habitat naturale. Si vola ancora lontano in Australia, nella zona di Victoria con Hochkirch Wines, parte di una tenuta agricola biodinamica di oltre 280 ettari dove si coltiva tra gli altri un Pinot Nero equilibrato ed elegante. Chisura in Cile nella Valle de Colchagua con il Clos Santa Ana, con una produzione limitata e di qualità eccelsa con Sirios, un blend di Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Carménère con un bel tannino vigoroso che regala grandi sensazioni.
La presentazione di Elemento Indigeno è stata anche l’occasione per rivolgersi al settore dei ristoratori e rivenditori al dettaglio, per cercare un partner in grado di una proposta enologica differente in grado di intercettare i nuovi trend nella costruzione della propria cantina rivolto a tutte le persone curiose, appassionate di vino, che trovano nel confronto un momento di crescita. Sul tavolo il diario di bordo, uno strumento di viaggio come il Diario di Atlante, un compendio in continuo aggiornamento fatto dai fogli mobili per una lista di vini e storie destinata ad ampliarsi e modificarsi continuamente. Ciascun vino è un microcosmo culturale e i vini cambiano come le genti che li producono. Un concetto che ritroviamo racchiuso anche nel logo del progetto. Una sfera, idealizzazione del chicco d’uva, una piramide, elemento energetico e di scambio, una lingua, che rappresenta l’animale e il suo istinto e che assapora ciò che è nuovo. Dulcis in fundo al centro l’elemento umano, per regalarsi questa energia e scoperta.