Ricordo ancora qualche tempo fa quando chiesi a Edelberto Baracco cosa stesse pensando di fare con il vino, la sua risposta fu un sorriso malizioso. Se la rideva sotto i baffi il Ceo di Compagnia dei Caraibi, perché in pentola nel calderone già bolliva qualcosa di sensazionale che sarebbe stato lanciato di lì a poco. Elemento Indigeno, già dal nome si capiva di un qualche cosa di diverso rispetto a quello che eravamo stati abituati sino ad ora nell’universo enoico. Un affascinante catalogo di vini provenienti da tutto il mondo, la rappresentazione del mondo intero in un bicchiere di un’azienda familiare, che sei generazioni fa coltivava la terra nel Roero, mercanti di vini che oggi viaggiano per il mondo alla ricerca dell’elemento indigeno nei prodotti della terra. Un progetto dell’azienda piemontese che dopo un anno e mezzo continua a stupire giorno dopo giorno, con un interesse per il vino come espressione autentica dei luoghi e delle mani da cui nasce, il vino inteso come modo per far incontrare le persone, per creare tra loro un dialogo profondo, per superare apparenze e convenzioni, un viaggio che va oltre, superando le etichette e le divisioni.
THE WORLD IS WINE Vini con una loro identità che parlano una lingua universale, capace di trasportare chi li beve verso altri orizzonti, lungo sentieri sostenibili. 8 macroaree, 65 regioni enologiche, 27 paesi, 74 produttori ed oltre 330 referenze. Basterebbero questi numeri in costante evoluzione per parlare di un catalogo ampio con tante etichette di vino, ma quello che fa la differenza con un grande catalogo, ancora una volta è il fattore umano. Trovare l’elemento indigeno è l’essenza del luogo, delle persone e delle culture che lo abitano. Un lavoro di ricerca che parte dall’uomo, da un aspetto storico e culturale, con un approccio gustativo che si diffonde a tutte le latitudini, presentando il vino come una continua scoperta. L’uomo e il vino al centro della scena, con un’energia che influenza uvaggi e vinificazioni, al grido di “The World is Wine”. Non uno slogan con parole gettate al vento, ma un mantra disegnato anche nel logo del progetto con un approccio totemico. Una sfera come una rappresentazione del chicco d’uva, una piramide, elemento energetico e di scambio, una lingua che rappresenta l’animale e il suo istinto e che assapora ciò che è nuovo. In tutto questo a fare da sottofondo anche una filosofia etica, caratterizzata dalla responsabilità valoriale che da sempre guida la visione di Compagnia dei Caraibi e che si manifesta nel profondo rispetto per tutto ciò che è vivo e che ci arricchisce umanamente e culturalmente.
VIAGGIO E CONVIVIALITA’ Non era facile entrare in un mercato tradizionale e maturo come quello del vino, altamente competitivo. L’approccio di Elemento Indigeno è stato quello di marcare il territorio e di posizionarsi in maniera ben definita, in un contesto storico attuale in cui il fenomeno dei vini naturali è diventato di moda, generando al tempo stesso una sorta di linea di demarcazione rispetto ad atteggiamenti da ultras. Elemento Indigeno si è subito tirato fuori da questa querelle passando dal vino naturale al vino autentico, mettendo al centro il viaggio, la convivialità e non la conflittualità. Si parte dove tutto è iniziato, dalla Georgia, la culla del vino dove 9.000 anni fa tra il Caucaso e il Mar Nero è nata la viticoltura, arrivando al vino georgiano di oggi con un comune denominatore fatto di qualità, ritornando alle tradizionali anfore di terracotta interrate. Si entra nel cuore di bacco, passando dai territori armeni e azeri, per arrivare a conoscere le storie e i sapori dei vini turchi, libanesi e marocchini, lungo la traiettoria del Mediterraneo in cui la cultura del vino si diffuse. Un viaggio in cui rientra anche il Tropico del Capricorno, agli estremi dell’Africa e l’Emisfero Australe grazie ai vini eroici di Argentina, Cile e Perù, per ritrovarsi dall’altra parte del mondo, lungo la Rotta Pacifica e poi salendo sino all’Impero del Sole, dove scoprire la realtà vitivinicola giapponese più profonda.
CATALOGO E COLORE Un catalogo ricco e al tempo stesso colorato, fatto di sfumature dove trovare la propria etichetta del cuore. Una serie di referenze dove è bello perdersi e farsi guidare dal caso, in una ruota di Elemento Indigeno. Basta chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare, in una scelta alla cieca dopo aver attraversato gli oceani americani di sabbia e di roccia che proteggono colline e vigneti. Un viaggio che si chiude con il ritorno in Italia, dove la cultura del vino ha trovato la sua espressione più alta e più familiare. Un vero diario di bordo, il diario di Atlante, con fogli mobili per una lista di vini destinata a ingrandirsi, all’interno di una copertina in pelle anticata. Un riassunto che racconta i luoghi, la storia e le persone, strumenti indispensabili per apprezzare e comprendere al meglio gli straordinari vini incontrati durante questo tragitto. Una semantica del vino da leggere attraverso una legenda che ci racconta qualcosa in più. Dall’aspetto visivo, bianco, rosso, rosato, dalle bolle ai metodi ancestrali. Grande attenzione alle varietà autoctone, un patrimonio dall’inestimabile biodiversità senza farsi appiattire, dove certificazione biologica e biodinamica insieme alle libere interpretazioni condividono il rispetto per l’ambiente e per il bevitore. Dai formati alle annate, dal tappo a sughero, vetro e corona. Allacciatevi le cinture, perché su queste colonne parte una rubrica Elemento Indigeno dove racconteremo in una serie a puntate i protagonisti: dai produttori, ai professionisti di Compagnia dei Caraibi, ai locali che hanno scelto questa proposta in grado di conquistare i propri clienti e ospiti.