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Il consumo di vino in Italia continua a calare, soprattutto nel canale Ho.Re.Ca che rappresenta lo sbocco principale per le piccole e medie aziende italiane, essendo precluse per molte di queste (in ragione delle ridotte dimensioni competitive) la via dell’export e della GDO. Vendita diretta ed enoturismo potrebbero sostenere le PMI (Piccole Medie Imprese), ma su questo fronte resta ancora molto da fare a livello di sistema. Il confronto con il caso della Napa Valley negli USA.

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Annuario Acquitalia Acque Minerali Beverfood.com acquista ora o scarica gratis il pdfNel panorama vinicolo nazionale, solamente 25 imprese presentano un fatturato (2013) superiore ai 50 milioni di euro. Per questo aggregato di aziende, l’export incide mediamente per poco più del 60% sul proprio fatturato. Man mano che le dimensioni medie scendono, anche tale propensione si riduce (nelle imprese tra 10 e 20 milioni, il peso dell’export scende al 40%), fino ad arrivare – nella maggioranza dei casi – a valori marginali per i piccoli produttori, quel 70% di cantine che produce cioè meno di 100 ettolitri di vino all’anno.

Come se non bastasse, la crisi ha ridotto i consumi al ristorante e anche il vino ne ha fatto le spese, tanto che ormai il canale della GDO (e dei negozi specializzati) pesa ormai per il 65% sulle vendite a livello nazionale. Ma anche in questo caso – come per l’export – le possibilità per le piccole imprese di poter accedere agli scaffali di iper e supermercati sono veramente limitate per non dire nulle: quantitativi minimi di fornitura troppo elevati ed elevata pressione sui prezzi di vendita rappresentano le barriere all’ingresso spesso insormontabili per le PMI italiane del vino.

“Gran parte del tessuto produttivo del settore si trova quindi di fronte ad un bivio: trovare nuovi sbocchi di mercato, o all’estero o in Italia. Ma come si sa, entrambe le strade non sono facili da percorrere. Una possibile via alternativa, percorribile – anche dalle piccole imprese – potrebbe riguardare la vendita diretta in azienda, soprattutto se collegata al fenomeno dell’enoturismo”, evidenzia Denis Pantini, Responsabile Agricoltura e Industria Alimentare di Nomisma.
Negli ultimi anni, l’interesse per l’enogastronomia italiana è aumentato soprattutto nella componente estera dei turisti che annualmente arrivano nel nostro paese: per circa il 9% degli stranieri, l’enogastronomia rappresenta la motivazione principale nella scelta della propria vacanza in Italia (cinque anni fa tale incidenza era pari al 6,5%).

Sebbene si tratti di una tendenza in crescita, la realtà dei fatti dimostra come questa potenzialità sia sfruttata solo marginalmente. Considerando il rilevante patrimonio vinicolo italiano dal lato dei territori di produzione (inseriti addirittura nelle liste di tutela dell’Unesco), viene da chiedersi come sia possibile che nel confronto con altre realtà estere, l’Italia ne esca quasi sempre perdente.

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IL CASO DELLA NAPA VALLEY IN CALIFORNIA

Un caso di successo che forse dovrebbe essere utilizzato come benchmark è quello della Napa Valley, in California. La sola contea di Napa (che racchiude la più famosa zona di produzione vinicola statunitense) si estende su una superficie pari ai 2/3 della provincia di Verona ma il valore annuo collegato alle vendita diretta dei vini delle aziende situate in tale area è pari a quasi 745 milioni di dollari.

Ogni anno circa 3 milioni di persone visitano la Napa Valley, per gite giornaliere (67%), soggiornando all’interno di strutture ricettive locali (29%) o in residenze private (4%). Il giro d’affari relativo ai visitatori è mediamente pari a circa un miliardo di dollari considerando le spese effettuate nei negozi locali, l’alloggio negli hotel, le spese nei ristoranti e nel trasporto locale, gli introiti derivanti dall’organizzazione di meeting ed eventi sul territorio, le visite guidate e le degustazioni in azienda.

Il successo della Napa Valley non è solamente riconducibile al suo settore vitivinicolo ma ad un territorio che è riuscito a fare sistema attorno alla qualità dei propri vini per la valorizzazione di un’intera area, attraverso il coordinamento degli altri asset presenti (ambiente, paesaggio, turismo e attività commerciali). Basti pensare che qualsiasi modifica che attenga al settore vitivinicolo (come l’ampliamento o la riduzione dei vigneti) viene discussa e condivisa tra i diversi stakeholder della comunità locale (associazioni, imprese, cittadini, istituzioni). “In Italia non ci mancano certo i vini di qualità e le zone di pregio dal punto di vista ambientale e paesaggistico, ma siamo indubbiamente più carenti nel “fare sistema”. Si tratta di capire, per cogliere le opportunità dell’enoturismo, se saremo in grado di superare questi nostri limiti per garantire una sostenibilità di lungo periodo alle imprese del settore”, conclude Pantini.

+info: Ufficio Stampa Nomisma – – www.winemonitor.it

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