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Il paradosso del caffè italiano è presto detto: il Belpaese è la patria dell’espresso, l’80% delle  macchine al mondo sono Made in Italy, oltre nove italiani su dieci bevono caffè ma abbiamo perso il primato: oggi – è sensazione diffusa– il migliore caffè di beve a Sidney o a New York, a Londra o a Portland, difficilmente in Italia. Ma qualcosa si sta muovendo.

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“Nel movimento globale verso la qualità siamo arrivati tra gli ultimi, ma abbiamo il vantaggio di avere una grande cultura del gusto –  dice Alberto Polojac, proprietario di Imperatorquindi possiamo recuperare in fretta. Sicuramente è che qualcosa si sta muovendo in un mercato molto tradizionale, ancora ancorato ad esempio al prezzo fisso, come se il caffè fosse tutto uguale. Dobbiamo puntare su un Rinascimento del caffè, riprendere la tradizione aggiungendo le suggestioni nuove che arrivano dall’estero, ma mantenendo il palato italiano. Il consumatore, specie per quanto riguarda le nuove generazioni, è già pronto, è curioso. Più timidi i torrefattori, ancorati a vecchie logiche. In realtà proporre nuove origini e metodi di estrazione per il barista è una grande opportunità di business”.

Anche Edy Bieker, Ad di Sandalj conferma la new wave: “C’è una ricerca verso tipologie qualitative nuove basate su caratteristiche sensoriali e organolettiche notevoli. Oltre all’espresso vengono presi in considerazione sistemi di estrazione alternativi. L’importante è insegnare il valore del caffè anche partendo dai difetti di un caffè cattivo, per dare giusto valore ai pregi del prodotto. Il problema è che, se nel mondo del vino la conoscenza è diffusa, e si è spesso guidati nella scelta da un esperto, nel caffè questo non esiste: un caffè è sempre un caffè, anche al bar. Ci vorrà ancora del tempo insomma ma ormai la strada è segnata. Certo è necessario creare curiosità, far passare il concetto che il caffè è una bevanda che può avere un valore sensoriale più importante: basterebbe proporre due tipi diversi al bar, con prezzi differenziati magari. Così il consumatore sarebbe costretto a scegliere e aumenterebbe la voglia di saperne di più”.

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Certo, il problema del torrefattore-banca disposto a pagare macchina, attrezzature e a volte anche gli arredi per avere il monopolio della miscela c’è, e rischia di andare a scapito della qualità. “Noi stiamo investendo tantissimo in ricerca e miglioramento del prodotto – dice Paolo Uberti, titolare diTrismoka -. Andiamo alla ricerca della nicchie che hanno voglia di assaggiare un espresso straordinario. Del resto noi italiani siamo da sempre bravissimi a creare miscele, e noi siamo orgogliosi di essere italiani. All’estero il mondo delle torrefazioni italiane è percepito come un mercato che si sta abbassando, dunque c’è la necessità di far capire la qualità, anche tramite la proposta di monorigine tostati in modo non aggressivo. Inoltre, non possiamo più ignorare gli altri metodi di estrazione come il brewing, che necessitano di tostature diverse. Purtroppo nel mondo del caffè non esiste nessun disciplinare del genere delle Dop e delle Doc. Per questo è importantissima la comunicazione, anche per iniziare a pensare in una logica di prezzo differenziato. Io da qualche anno sto lavorando con un piccolo gruppo di baristi con una miscela da proporre a un euro e un monorigine a 1,50 euro, e li ho anche dotati di materiale per comunicare la differenza ed educare il pubblico: partendo dal consumatore si cambia il mercato”.

Fonte host.fieramilano.it/eppur-si-muove-il-caff%C3%A8-italia-sta-cambiando

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