In una delle estati più calde degli ultimi tempi è la “gelata” dei consumi di birra a far scendere la colonnina di mercurio. Nei 3 mesi clou dell’anno per il mercato (giugno, luglio e agosto) le vendite fanno registrare il peggior risultato degli ultimi 10 anni: poco meno di 4,5 milioni di ettolitri, ossia -11% rispetto al picco del 2003. Un dato che da solo annulla il leggero risultato positivo registrato nei primi 5 mesi del 2011 (+1,7%) e che porta le vendite tra gennaio e agosto 2011 a un calo del -0,62%. Ma secondo i dati dello studio Ernst & Young “The Health of the EU Beer Sector 2011”, che periodicamente fotografa il settore birrario d’Europa e che viene presentato in questi giorni nei vari paesi dell’UE, in Italia il comparto riesce a garantire ancora oggi occupazione a quasi 140.000 addetti (indotto compreso) con una leggera flessione del -3% che riguarda principalmente il canale Horeca, colpito dal generale calo dei consumi.
“Questo calo dei consumi – spiega Alberto Frausin, Presidente di AssoBirra, presentando i dati della ricerca Ernst & Young alla Camera dei Deputati – è certamente preoccupante, ma è una conseguenza della crisi che sta attraversando l’economia italiana. Il settore birrario continua ad essere un player rilevante del sistema Italia e vuole fare la sua parte per sostenere la ripresa. Il contributo che stiamo garantendo all’economia del Paese, con quasi 4 miliardi di euro versati allo Stato tra accise e IVA, è di assoluto rilievo. Parliamo anche di un settore che ha fatto del consumo responsabile delle bevande alcoliche uno dei suoi obiettivi istituzionali più importanti, attraverso campagne di sensibilizzazione che si sono rivelate all’avanguardia. E le aziende stanno continuando ad investire per rinnovare gli impianti e per renderli sempre più ecosostenibili (in meno di 30 anni siamo riusciti abbattere del -70% il consumo di acqua per la produzione della birra). Oggi la sfida per il nostro mercato – come per tutto il settore alimentare italiano – si sta spostando sempre più sul fronte delle esportazioni – prosegue Frausin – dove le aziende italiane sono riuscite a crescere del +161% tra il 2005 e il 2010. E anche se i primi 6 mesi del 2011 hanno visto scendere le esportazioni (-4,35%), le quote di mercato dei nostri brand sono cresciute. Il nostro resta dunque un comparto d’eccellenza, che può contare su una presenza capillare sul territorio nazionale con 350 impianti produttivi di cui 16 stabilimenti industriali, e anche per la natura del prodotto si tratta di un’industria non delocalizzabile che proprio per questo va valorizzata al massimo e sostenuta”.
Il settore birrario italiano, secondo lo studio della Ernst & Young presentato questa mattina in vari Paesi europei, vale circa 2,55 miliardi di euro[1] e garantisce lavoro, direttamente, a 4.000 persone, tante quante in Austria (3.860) o Danimarca (3.880), e non troppo lontane dai 5.100 addetti del Belgio. Ma considerando anche l’indotto allargato, sono complessivamente poco meno di 140mila le professionalità coinvolte, a vario titolo, nella produzione e nel commercio della birra in Italia (-3% rispetto al 2008), distribuite tra impiegati nella filiera produttiva e nella fornitura di beni e servizi, vendita e promozione e, soprattutto, ristorazione e ricettività. Ne consegue un calo dell’impatto economico dei lavoratori diretti, che si ferma a 1,4 miliardi di euro (-3,4% rispetto al 2008). Va rilevato inoltre che la birra italiana viene prodotta, laddove possibile, con materie prime nazionali: sono oltre 66mila le tonnellate di malto prodotte nel 2010 (+12,8% rispetto al 2009), interamente assorbite dall’industria italiana. E infine, in termini di entrate per lo Stato, una somma complessiva di poco inferiore a 4 miliardi di euro annui deriva dalla produzione e commercializzazione di birra, tra Iva, accise, tasse e contributi sociali di aziende e lavoratori, tasse pagate dagli altri settori coinvolti a vario titolo. La parte principale di questo introito è rappresentata dal ritorno dell’Iva, stimata in 1,58 miliardi di euro e realizzata principalmente dall’ambito ristorazione e ricettività. Il ritorno derivante delle accise corrisponde a 443 milioni di euro, mentre le imposte sulla produzione e la vendita raggiungono una cifra approssimativa di 2 miliardi di euro.
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