Una ricerca recente sul mercato dei bar mette in evidenza una serie di problemi sul consumo del caffè espresso al bar, sulle scelte dei consumatori e sul comportamento dei barista. Da una parte una scarsa fedeltà del consumatore al bar e dall’altra una certa presunzione e una preparazione molto approssimativa da parte di chi prepara e propone il caffè. Marco Paladini, presidente dell’ Istituto Nazionale Espresso Italiano, interviene e sollecita un immediato cambiamento prima che i consumatori comincino a fuggire.
Due terzi degli italiani non ha un bar abituale, ma prende il caffè dove capita. Cade quindi il mito del bar come seconda casa. E chi ha un bar nel quale torna sempre a sorseggiare la tazzina di espresso, spesso comunque non ha la minima idea di cosa sta bevendo. Ben la metà degli abitudinari, cioè degli italiani che hanno un bar abituale, infatti non si ricorda la marca del caffè. Questo è quanto emerge dalla ricerca condotta da ApertaMente per l’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè.
“Per molti di coloro che bevono caffè al bar, l’espresso è quasi un ripiego – ha commentato Glauco Savorgnani, professore di Marketing all’Università Cattolica di Milano e uno dei curatori della ricerca – Molti italiani preferiscono infatti la moka e vanno al bar per i motivi più svariati. Prendere l’espresso è comunque più legato a esigenze relazionali e al rituale del break che al piacere della tazzina in sè”.
E il barista che pensa? Che la miglior marca disponibile nella sua zona è quella che serve lui. Ma è in grado di descrivere il caffè che serve? Assolutamente no, la maggior parte dei baristi borbotta qualche termine pseudo-tecnico ma non ha lumi su come si assaggia realmente il caffè e di come se ne dovrebbe parlare al cliente.
Marco Paladini, presidente dell’Istituto Nazionale Espresso Italiano, così commenta: “Con queste premesse, mi chiedo quale miracolo tenga in piedi ancor oggi il consumo quotidiano del caffè. Non potrà esistere per sempre un mercato in cui il consumatore accetta qualunque espresso gli venga propinato. Già oggi sta aprendo gli occhi, alcune fasce stanno evolvendo e non si accontentano più. E’ una corsa contro il tempo: i torrefattori riusciranno a sensibilizzare il barista e a farlo crescere professionalmente prima che il consumatore inizi a scappare dai tanti caffè mediocri che sono serviti a milioni ogni giorno in Italia? Difficile dare una risposta”.
Paladini ricorda comunque che chi oggi investe in formazione, come le aziende associate all’Istituto Nazionale Espresso Italiano, ha già in mano un vantaggio competitivo importante. Queste aziende non partono dall’anno zero: sono già ora in grado di accontentare i clienti più evoluti, quelli che davvero al bar cercano caffè migliori e non un caffettaccio qualsiasi. “Perché se non lo troveranno al bar, andranno a chiederlo a qualcun altro, in qualche altra forma, cialda o capsula che sia”.
Fonte: www.coffeetasters.org/newsletter/it/index.php/italiani-al-bar-infedeli-e-non-sanno-cosa-bevono/083/
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