Era uno dei vanti del made in Italy, la crescita che pareva senza soste delle performance dell’export di vino italiano prima dell’avvento della pandemia Covid-19. Un trend che invece rallenta, anche se il -3,4% appare più contenuto delle stime allarmistiche che erano arrivate, rispetto al record dei 6,4 miliardi del 2019, una contrazione analizzate in relazione alla riduzione degli scambi internazionali di vino e confrontata anche con gli altri competitors internazionali.
A confermarlo i dati Ismea che hanno fatto registrare a ottobre il calo delle esportazioni di vino italiano nei primi mesi della crisi sanitaria, diminuzione maturata nella prima parte dell’anno che il periodo autunnale non è riuscito a contenere. Il dato del mese segna una flessione in volume del 6% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, a fronte di una perdita in valore limitata al 3%. Nei primi 10 mesi del 2020 sono state registrate vendite all’estero per 17,2 milioni di ettolitri di vino (-2,7% su base annua), un controvalore di 5,11 miliardi di introiti complessivi. La perdita in valore è stata più che proporzionale, con un meno 3,4% sullo stesso periodo del 2019. Secondo Ismea se il trend dovesse essere confermato, il 2020 potrebbe chiudersi con 20,8 milioni di ettolitri spediti oltre frontiera, per un controvalore di 6,2 miliardi di fatturato.
L’export di vino italiano secondo le elaborazioni Ismea su dati IHS, ha fatto meglio della Francia che ha registrato un calo del 7% delle esportazioni in volume e di oltre il doppio in valore (-15%), male anche Spagna che ha segnato-10% e -5% per cento. Analizzando i mercati di sbocco del vino italiano, le contrazioni più rilevanti sono state registrate nei Paesi extra Ue con -2,3% in volume e -5,7% in valore considerando anche l’effetto Brexit, mentre all’interno della Ue la quota dei volumi è scesa del 3% mantenendo pressoché intatti i ricavi.
Da segnalare come abbiamo sofferto alcuni mercati principali del vino italiano. USA (-5,9% in valore), Regno Unito (-9,5%), ancora peggio i dati in Oriente (-18,6% in Giappone e -33,6% in Cina). Segno più invece per alcuni mercati vicini, come la Germania (+4%), buone anche le performance nella Penisola Scandinava con l’exploit della Norvegia (+26%) e Finlandia (+7%), boom anche dell’Olanda (+16%) e sostanziale tenute del mercato russo che ha chiuso in pareggio.
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