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Bianchi, rossi e bollicine italiane protagonisti sui mercati internazionali mentre è sempre più depressa la domanda interna. E le Marche si stanno rivelando una regione vinicola particolarmente virtuosa, con una crescita in valore dell’export del 65% nell’ultimo decennio (2003-2013). È il quadro di sintesi fornito dal responsabile Wine Monitor di Nomisma, Denis Pantini al convegno dell’Istituto Marchigiano di Tutela Vini Italia & Marche, vigneti a confronto: scenari, trend e performance sui mercati esteri, nell’ambito di Enoliexpo Adriatica.

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Le 20 denominazioni di origine marchigiane – Verdicchio in testa – hanno segnato dal 2008 al 2013 performance particolarmente positive in Cina (+613%, contro il +393% della media nazionale), Russia (+224%, +79% il dato Italia), Usa (+162%, +35% Italia) e Giappone (+90% contro +50%), mentre cresce meno in Germania, dove la media italiana è del +28% contro il 18%. Secondo il responsabile Wine Monitor di Nomisma, negli ultimi anni si è assistito a un cambio di paradigma sull’approccio al vino in molti Paesi del mondo: “Nei mercati più dinamici – ha detto – il vino passa da bevanda elitaria a bevanda sociale, sostituendosi ai consumi di birra, come in Usa e UK. In Italia accade invece quasi l’opposto: da bevanda quotidiana a occasionale”. Ma se in futuro con la crescita dei redditi aumenterà il consumo di vino nel mondo (il rapporto è mediamente superiore a 1) il 2014 si è chiuso con luci e ombre. Da gennaio a novembre le importazioni in valore dall’Italia crescono più della media mondiale nel Regno Unito (+11,1% contro lo 0,8% di import totale), negli Usa (+5,4% contro 1,3%), in Svizzera (+2,8% contro -4,5%) ma perdono quote significative in mercati di sbocco – come Germania (-7% contro -4,5%) e Canada (-5,1% contro -4,9%) – o emergenti come la Cina (-3,7%), dove l’Italia paga un -13,3% sul valore dell’imbottigliato nonostante il boom degli sparkling (+58,6%). Nelle Marche i top buyer in valore sono di gran lunga gli Stati Uniti, che rappresentano il 26% delle esportazioni, seguiti da Giappone (9%), Germania (8%), Svezia (8%), Regno Unito (7%), Russia (5%), Canada (5%) e Cina (4%).

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“Usa a parte – ha detto Alberto Mazzoni, direttore dell’istituto Marchigiano di Tutela Vini che raggruppa 800 produttori vitivinicoli della regione – assistiamo a un graduale bilanciamento dei mercati della domanda, con buone performance tra i Paesi emergenti. Per questo la nostra attività di promozione nel 2015 insisterà sui 4 Paesi più promettenti – Usa, Canada, Cina e Giappone – con una dotazione finanziaria complessiva di 4,3 mln di euro, di cui oltre 2,8 mln di fondi OCM”. Nel dettaglio, è Ancona (58,2%) la provincia marchigiana con maggior peso nell’export, seguita da Pesaro-Urbino (18,7%), Ascoli Piceno (17,9%), Macerata (5,1%) e Fermo (0,1%). Un successo, quello di Ancona, cui ha contribuito il Verdicchio, bianco fermo più premiato dalle guide italiane che, oltre ai volumi, ha visto crescere il prezzo medio negli ultimi 7 anni di circa il 30%. Il campione di Jesi e Matelica ha infatti fatto da traino ai 136 milioni di euro del fatturato complessivo dei vini marchigiani: ad oggi il comparto conta 14.190 aziende, 17.400 ettari di vigneto (1,2 ettari la superficie media delle aziende) e 20 denominazioni di origine, sempre più apprezzate dalla critica enologica per carattere e qualità. La composizione della produzione regionale per marchio di qualità vede infatti nel 2013 una maggior incidenza dei vini Dop/Igp sul totale rispetto alla media nazionale (65% Marche contro 59% Italia), con una percentuale di produzione vinicola Dop che arriva al 38%, mentre quella italiana si attesta al 31%. Un risultato ottenuto grazie ad un percorso che negli anni ha scommesso sui vitigni autoctoni, escludendo ogni tipo di omologazione verso il gusto internazionale.

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