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Il consumo procapite di vino in Cina è di 1 litro all’anno, ma il tasso di crescita annuo è del 20%. Per le cantine cooperative Fedagri la strategia di penetrazione vincente per il mercato cinese è di vendere il valore immateriale dell’Italia “La battaglia più importante per la predominanza nel comparto vinicolo tra Italia e Francia si combatterà su suolo cinese. È nel Paese orientale che si sta giocando il destino di molte imprese francesi, presenti già da almeno un paio di decenni ma anche di aziende italiane seriamente intenzionate a conquistare una fetta del mercato del Sol Levante e il gusto dei consumatori cinesi, sfruttando il valore positivo attribuito al marchio Italia”. Lo ha dichiarato Franco Cutrupia, presidente della Camera di Commercio Italiana in Cina, nel corso del suo intervento all’Assemblea Nazionale del Settore Vitivinicolo di Fedagri-Confcooperative, in programma oggi a Pollenzo (Cuneo).


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“Il terreno per crescere è considerevole, dal momento che il consumo procapite di vino in Cina è di 1 litro all’anno – afferma Cutrupia – un valore basso se confrontato con la media mondiale (7 litri) e addirittura irrisorio paragonato a quella italiana (43 litri). Ma il tasso di crescita annuo è in forte espansione e arriva al 20%, grazie all’aumento della disponibilità di spesa e della ricerca della qualità da parte del consumatore cinese”. I vini importati hanno generalmente una buona reputazione e occupano soprattutto il mercato medio-alto, mentre quello di fascia bassa è occupato dalle produzioni locali. L’ostacolo maggiore è di tipo culturale: l’Italia è il quarto Paese importatore (6% quota di mercato), con una crescita del 94% nel 2011 ma la Francia occupa saldamente il primo posto con il 46% della quota di mercato, seguita dall’Australia (19%) e dal Cile (10%). “Questa classifica è figlia di una consolidata conoscenza dei marchi francesi presenti da più anni sul mercato cinese”, commenta il presidente del Settore Vitivinicolo di Fedagri-Confcooperative Adriano Orsi. “Dove però non c’è una cultura del bere, i vini sono considerati prodotti di lusso e sono apprezzati per la loro immagine e il beneficio che si crede apportino alla salute. È in questo solco che si possono inserire con successo le cantine cooperative, forti di un consolidato radicamento sul territorio e quindi capaci di trasmettere il valore immateriale dell’italianità sfruttando l’immagine positiva che i cinesi hanno del nostro Paese”. Dall’analisi presentata da Cutrupia, è emerso che un altro fattore di successo per le cantine cooperative è rappresentato dai numerosi canali distributivi ‘on trade’, ovvero i ristoranti e locali italiani che favoriscono la vendita di vini italiani per il consumo diretto. Il consumatore-tipo cinese è, in genere, maschio, d’età compresa tra i 25 e i 44 anni, di reddito alto e a contatto, seppur indiretto, con il mondo degli affari e con la cultura occidentale. A suo sfavore gioca il fatto che ha una scarsa conoscenza dei vini e quindi subisce un forte condizionamento da parte del locale in cui consuma, generalmente in pranzi di lavoro, in hotel o in incontri di svago. Le preferenze cinesi vanno ai vini rossi per il 67%. I luoghi in cui si consuma di più sono le grandi città della fascia orientale del Paese (Shangai 50%, Beijing 25%).

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