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Fèlsina, l’ode al Sangiovese


“Fèlsina è una fattoria di taglia bastarda”: l’amministratore delegato dell’azienda Giovanni Poggiali tradisce al tempo stesso un accento ravennate quasi anacronistico per un uomo del vino in Toscana, e una franchezza arguta che si lascia ascoltare, come le sue bottiglie si lasciano bere. Descrive così la sua azienda, né piccolo podere né grande player, una fattoria contemporanea che comunque conta 500 ettari tondi, 72 dei quali vitati, 50 dedicati a seminativi e include anche la produzione di olio d’oliva pregiato.



 

Il nonno Domenico acquistò la proprietà nel 1966, quando era villa di nobili che a loro volta l’avevano recuperata da fattoria dei Granduchi di Toscana. Basta il nome del comune, Castelnuovo Berardenga, a sud del Chianti Classico, per rievocare i fasti medioevali di una famiglia di cavalieri all’epoca di Carlo Magno, che diedero origine al primo ducato di Siena. Poggiali ha deciso di rimettere in etichetta il nome della località, quasi a simboleggiare l’intreccio di storia e valore che scorre qui: “Lo abbiamo imparato con gli anni, è un paradiso per il Sangiovese”.

Giovanni Poggiali

I sangiovesi anzi, al plurale: fin dagli anni ’80, quando l’azienda iniziò ad avvalersi del contributo dell’enologo Franco Bernabei, Fèlsina è custode di un profondissimo patrimonio di questa varietà così identitaria (peraltro sia della Toscana che della stessa Romagna dei Poggiali), che ammonta a circa il 90% delle vigne qui. Tutto a conduzione biologica, per uve foriere quindi di grappoli contenuti che godono di scrupolosa attenzione alla selezione naturale.

Al 1983 risale la prima annata dei due vini che tutt’oggi rappresentano Fèlsina in tutto il suo credo. Rancia, dal podere a ridosso dell’ultima collina prima dei colli senesi, la parte finale di roccia calcarea e anche la più alta (400msl circa): un cru di Sangiovese in purezza per un Chianti Classico Riserva DOCG. E Fontalloro, blend di Sangiovesi che include sia vigne calcaree che terreni più sciolti, tufacei, sabbiosi. Caratteri propri, accomunati però da una linea elegante, ricca ma non opulenta e di pregevolissima evoluzione nelle tre annate proposte in degustazione al Coniglio Bianco di Milano.

Dalla 2019 alla 2009 con l’intermezzo della 2015: pienezza, corpo, aromaticità tenui che comunque lasciano da pensare e da apprezzare. Il racconto, in dieci anni, di un’azienda che da più di mezzo secolo ricerca il meglio di una varietà cara alle persone, prima ancora che ai consumatori, lavorando e aggiornandosi in continuazione: “Non è la vigna ad adattarsi al mercato, siamo noi che dobbiamo trattarla come merita a seconda dei cambiamenti del tempo”, racconta Poggiali. E finora, Fèlsina ha trattato le sue vigne egregiamente.

+info: www.felsina.it/

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