Lentamente ma con costanza la Calabria, considerata sino a qualche anno una delle meno brillanti sotto il profilo vitivinicolo, sta accorciando le distanze con le altre regioni d’Italia. I tempi, quando si decide di cambiare assetti e filosofia produttiva sono ovviamente lunghi, soprattutto se fatti con serietà e rigore, ma i risultati delle nostre degustazioni di quest’anno indicano chiaramente come il percorso intrapreso da molte delle cantine calabresi stia dando ormai ottimi risultati. Tante luci e qualche ombra nella nostra annuale ricognizione della Basilicata da bere. Da una parte assistiamo a un progressivo rimescolamento di gerarchie aziendali e territoriali, dall’altra dobbiamo fare i conti con la fase più acuta della crisi economica, col suo portato di scissioni familiari, cantine che passano di mano o addirittura sono costrette a chiudere. Mai come questa volta ci siamo trovati di fronte a tante etichette già valutate in altre edizioni della Guida o, all’inverso, a un numero così alto di campioni da botte: probabile segno di quanta fatica si faccia anche in Lucania ad armonizzare i tempi della vigna con quelli del mercato.
CALABRIA
Percorrendo da sud a nord la regione, siamo felici di segnalarvi che anche in provincia di Reggio Calabria qualcosa si muove, e bene. La cantina Tramontana, ad esempio, anche quest’anno ha mandato alle nostre selezioni una serie di vini di tutto rispetto. E anche dalla cantina delle sorelle Malaspina giungono buone nuove, a conferma del fatto che queste ragazze lavorano davvero per la qualità. A Lamezia invece il panorama è più statico, ma si consolidano aziende storiche come quelle dei fratelli Statti e della famiglia Lento, anche se stentano a venire fuori nuove realtà in un ambito territoriale sicuramente tra quelli più storicamente votati alla produzione di vino.
Nel cosentino invece è sempre tutto un fermento, nascono nuove aziende, mentre quelle storiche come Serracavallo, Terre Nobili e Colacino tanto per citarne qualcuna continuano con successo il loro percorso per mettersi a pari con le altre realtà di punta della regione. Non è estranea a questo percorso la cantina Terre di Balbia della famiglia Venica e Silvio Caputo che, quest’anno, ha rinunciato ad inviarci l’ultima annata prodotta preferendo per una scelta tecnica dell’enologo Giampaolo Venica e lasciare affinare i vini ancora per qualche mese in cantina. Luci ed ombre nel comparto cirotano dove sembra evidenziarsi il netto divario tra le aziende che negli ultimi anni hanno saputo investire in cantina ed in vigna e quelle che invece ancora non si sono poste il problema di come affrontare nel futuro un mercato che diventa sempre più competitivo e in cerca di vini di originali e di qualità. E’ ancora troppo presto per sapere se le tanto discusse modifiche al disciplinare del Cirò sortiranno o meno gli effetti sperati. Siamo convinti che il futuro per regioni come la Calabria sia quello che passa per la valorizzazione dell’ingente e ancora in parte inesplorato patrimonio ampelografico che ha la fortuna di possedere e che ne fa quasi un unicum in Italia.
BASILICATA
In Basilicata sembra ampliarsi ulteriormente la forbice stilistica ed espressiva, il che vuol dire maggiori opportunità per clienti e appassionati alla ricerca di interpretazioni fuori dagli schemi per troppo tempo dominati dal mantra frutto scuro-glicerina-rovere. Lo sottolineiamo col pensiero rivolto soprattutto a quel che accade nell’area dell’Aglianico del Vulture, sempre di più denominazione regina e vero termometro delle tendenze produttive regionali. Qui la top class tiene insieme realtà molto diverse per storia, numeri, impostazione imprenditoriale e vitienologica: i veterani sono affiancati da un piccolo e agguerrito esercito di cantine emergenti, i progetti arrivati da fuori regione trovano sponda in una serie di protagonisti autoctoni, i grandi gruppi privati e cooperativi marciano di pari passo con un numero crescente di artigiani operanti in sottozone ben identificabili. Un panorama quanto mai variegato, che traspare coerentemente negli assaggi, incentrati come di consueto su almeno tre annate, stavolta 2007, 2008 e 2009. Ed è proprio quest’ultima, sulla carta la più debole, a offrire le indicazioni più incoraggianti: evidentemente una vendemmia più fresca ha aiutato le etichette più polpose a incontrare un surplus di finezza e bevibilità. In una batteria di finalisti davvero divertente, alla fine la spuntano degli habitué come il Titolo ’09 di Elena Fucci e il Basilisco ’08 di Basilisco, rilevata da Feudi di San Gregorio nell’autunno 2010. Assai meno pronosticabile, perlomeno in partenza, il primo Tre Bicchieri conquistato da Elisabetta Musto Carmelitano col suo Serra del Prete ’09. Restano a un passo dal nostro massimo riconoscimento, invece, i vini di punta di Grifalco, Eleano, Michele Laluce, Macarico e Paternoster, dove non incontreremo più un vero e proprio gentiluomo come il signor Pino, scomparso in estate. A completare il quadro dei titolari ci sono sempre la Cantina di Venosa, Eubea, le Cantine del Notaio, Carbone, mentre dalla Casa Vinicola D’Angelo sono usciti Donato e la moglie Filomena Ruppi per dare vita alla Donato D’Angelo. Più statico il quadro in provincia di Matera: la nuova denominazione Terre dell’Alta Val d’Agri non ha per il momento offerto spunti significativi e le realtà più in palla sono sempre Masseria Cardillo e Taverna, con Mantegna tra le novità da seguire.
I TRE BICCHIERI® VINI D’ITALIA 2012
Calabria
Gravello ’09 – Librandi
Passito ’10 – Viola
Basilicata
Aglianico del Vulture Serra del Prete 2009 – Musto Carmelitano
Aglianico del Vulture Titolo 2009 – Elena Fucci
Aglianico del Vulture Basilisco 2008 – Basilisco
FONTE: www.gamberorosso.it