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Il Gavi festeggia e spegne 20 candeline per celebrare i suoi primi venti anni dalla nascita della DOCG. Alla corte dell’omonimo paese è arrivato l’amatissimo Chef e volto TV Antonino Cannavacciuolo, un testimonial che condivide il tema della sostenibilità, protagonista della sesta edizione di un evento sempre più riuscito andato in scena domenica 26 agosto: Di Gavi in Gavi. Chiamato per giudicare e selezionare il migliore abbinamento tra quelli proposti dagli 11 comuni all’interno della denominazione Gavi DOCG, Cannavacciuolo ha scelto i Corzetti di Pasturana al Pesto. La ricetta ligure è un esempio goloso del profondo legame tra le terre del bianco alessandrino e Genova, le cui nobili famiglie ne hanno arricchito nel tempo il paesaggio con tenute e castelli, dimore per la villeggiatura estiva con annesse cantine di vinificazione. “Il successo di una denominazione si ottiene attraverso il lavoro di squadra di istituzioni, organizzazioni, produttori che hanno una visione comune, come qui a Gavi”– ha commentato Cannavacciuolo, da sempre concentrato sulle tradizioni italiane, vere spine dorsali delle materie prime di ogni territorio che se lavorate con “passione, impegno e sostenibilità sono la base della cultura enogastronomica del Paese”.

Ed è il solo legame con il territorio che mantiene vive le lingue e i dialetti, così come le produzioni agricole, ingredienti di piatti, strumenti per la comprensione di un luogo, di uno stile. E il tutto è attuabile con il raggiungimento di modelli economici ed agricolo sostenibili. Temi affrontati da oltre 100 produttori ed esponenti del panorama del vino nazionale della comunicazione e della Responsabilità sociale di Impresa tradotti in una Carta del Vino Responsabile, firmata alla Tenuta Centuriona qualche mese fa con l’obiettivo di creare un link in grado di aprire una pagina preposta alla relazione, allo scambio e alla condivisione di idee e conoscenze. Una realtà aumentata. Perchè, certamente, se l’economia è la realtà, una forma astratta che non può prescindere dal senso di appartenenza al mondo, è l’uomo, l’attore del territorio, che può scegliere di contribuire ogni giorno con il suo operato a mantenere, con buone regole e valori, forme di produzioni adeguate allo sfruttamento delle risorse disponibili e diminuire il cosiddetto impatto ambientale.

I dieci punti su cui si basa la Carta del Vino Responsabile:

Sposare i valori giusti;
Tutelare la terra;
Salvaguardare l’acqua;
Contrastare i cambiamenti climatici;
Impegnarsi per la Sostenibilità;
Proteggere la biodiversità;
Credere nelle persone;
Risparmiare nelle risorse naturali;
Promuovere la cultura e le arti;
Creare benessere per il territorio.

Veri diktat per la trasformazione delle materie prime che delineano un progetto di società sostenibile che non aggrava l’intero sistema economico anzi lo foraggia introducendo nuovi linguaggi, nuovi gusti. L’uva Cortese, come altre, può diventare uno specchio di questo modello soprattutto se la trasformazione non è ausiliaria ma diversificata e mirata per presentare ogni sfaccettatura e talento. Una prospettiva che si basa sul cambiamento delle tecniche, già applicate da molte aziende virtuose.

Nel Gavishire è La Mesma ad esempio una delle realtà vinicole, ma di certo non la sola, a interpretare al meglio questa carta e il concetto di sostenibilità. In venticinque ettari di vigne biologiche -un bio possibile- circondate da boschi, veri anfiteatri di tufo in cui affiorano depositi di marne serravalliane, troviamo un habitat felicemente innamorato della tramontana e del Forte di Gavi, entrambi chiamati a compiere il proprio dovere: tutelare il Cortese raccolto a Monterotondo e a Tassarolo in antichi terrazzi fatti di argilla e limo. Il progetto nasce quasi per gioco nel 2001 per mano dei genitori di Paola, Francesca e Anna, diventando poi nel tempo un orgoglio e scopo di vita. Si inizia a vinificare e le ragazze ci prendono gusto tanto da acquistare nel 2004 una seconda tenuta per ampliare la produzione seguita per la parte agronomica da Davide Ferrarese mentre per la parte enologica da Massimo Azzolino.

E tutto è in relazione. Chef Cannavacciuolo confida che i “piatti sostenibili” sono quelli concepiti anche con l’impiego di materie povere, anzi nobili “perché si possono lavorare ad ampio spettro sfruttando tutte le parti” atte a comporre un menu di degustazione tematico. Un parallelismo fantasy degno di quest’azienda in cui l’esecuzione è tutta per il Gavi. Che tradotto significa la realizzazione di un vino spumante, due fermi e di una riserva. Le uve provenienti da suoli drenanti e di forte pendenza sono un’ottima base per il metodo classico mentre le terre con macchie calcaree e tufacee di Monterotondo sono il valido motivo per il concepimento di vini fermi freschi e piacevoli ma anche strutturati, destinati a durare nel tempo. Come nel caso della Riserva che vede la luce solo nelle annate migliori. Nella Vigna della Rovere Verde a Tassarolo ci si attende alle rigide regole indicate nel disciplinare di produzione. La resa è limitata (max di 65 q.li) e calibrata alle vigne, vecchie, di cinquanta anni esposte a sud; alla vendemmia, rigorosamente manuale, segue una vinificazione in vasche di cemento a temperatura controllata e un riposo di almeno sei mesi in acciaio ed altrettanti in vetro. Il risultato nel 2016 è di sublime potenza, non appare alcun segno di cedimento anzi è un inno alla freschezza e alla sapidità. Per le sue note di giglio, di roccia e di agrumi questo Gavi è di complessità impareggiabile e rassicurante, con caratteristiche che lo rendono d’eccezione. Soprattutto in versione magnum in cui si trova la conferma della gioventù e ci si proietta in un corpo profondo, mascherato da aromi fruttati, con pan di zenzero e ginger che evolveranno e formeranno un sorso più rotondo, sostenuto da vene acide e un finale di rara finezza. E poi c’è Indi, certificato biologico è frutto di un percorso studiato e voluto. Un vino di tale pulizia e fattura, quasi un estratto di frutti gialli con una spolverata marina nel fin di bocca. Manifesto dell’impegno e del rispetto per l’ambiente. Sostenibile, integro e contestuale al suo luogo di origine, si ottiene da una fermentazione spontanea da un pied de cuve da grappoli diraspati. P.S.“Il nome sta per lieviti indigeni, ma è anche un omaggio alla musica Indie, indipendente dalla cultura di massa”.

INFO: www.consorziogavi.com

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