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Anche le certezze del bere paiono vacillare, di fronte all’imprevedibilità degli ultimi tempi. Complici le imposizioni derivanti dal COVID-19, la Gran Bretagna ha segnato importanti e inaspettate variazioni nei consumi e nelle vendite.

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Il gin, che seppur nato altrove (anche Salerno ha contribuito alla sue definitiva creazione) si è negli anni affermato come prodotto identitario inglese, ha subìto un durissimo colpo sul mercato verso l’Europa, nel corso della pandemia: addirittura cento milioni di sterline in meno, registrate dall’export della Regina nel 2020, rispetto all’anno precedente, 58 milioni in meno verso Italia, Spagna e Francia. Meglio verso il Sud America, che ha segnalato un aumento delle importazioni.

Sono ovviamente gli effetti dovuti alla pandemia, che ha costretto alla chiusura i luoghi di somministrazione, e di conseguenza ridotto all’osso i volumi produttivi (e venduti) dei distillatori, ancora più colpiti quanto più piccoli in dimensioni. Se si aggiungono la scarsità delle materie prime, i costi di logistica che con le restrizioni sono andati lievitando e le problematiche relative alla forza lavoro, il quadro che ne esce è piuttosto desolante. E peggiora, addirittura, alla luce della Brexit: l’accesso al mercato europeo, privo di burocrazia, è ormai un ricordo, e gli ostacoli formali da affrontare rendono la vita dei commercianti di gin un discreto incubo.

Situazione opposta invece per il consumo di Champagne: nell’ultimo anno si sono registrate vendite per ventinove milioni di bottiglie in Gran Bretagna, un fragoroso +34% rispetto all’annata precedente, secondo il Comitè Champagne. Si tratta di un +7% anche rispetto al 2019, quindi prima della pandemia, segnale di incremento significativo, seppur ancora lontano dal massimo storico per il Regno Unito (trentanove milioni di bottiglie nel 2007). Secondo quanto riferito a Drinks Business da Andrew Hawes, presidente della UK’s Champagne Agents Association, la forza del mercato britannico è “sorprendente, stanti le difficoltà note a tutti. È il potere del brand Champange, che resiste anche quando i prezzi rimangono alti e le disponibilità calano”. Hawes sostiene sarà difficile tornare ai livelli pre-crisi del 2008, ma già la situazione attuale è un segnale positivo.

Sono però gli Stati Uniti a prendere lo scettro di maggior consumatori di Champagne al di fuori della Francia (che invece beve il 44% del mercato mondiale). Un pazzesco +61% di importazioni nel 2021, rispetto all’anno precedente, per un totale di trentaquattro milioni di bottiglie (+15% rispetto al 2019).

fonti: thedrinksbusiness.com, spiritsbusiness.com

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