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Grandi Langhe 2020, cronaca di un successo annunciato. Con le richieste di accredito sold out già a una settimana dalla manifestazione, i segnali di un evento in positivo c’erano tutti. La premier organizzata dal Consorzio di Tutela Barolo e Barbaresco Alba Langhe e Dogliani (presieduto da Matteo Ascheri) e il Consorzio Tutela Roero, coadiuvati da Regione Piemonte, Ente Turismo Langhe Monferrato e Roero e Ubi Banca, da il via alla stagione delle anteprime ospitando oltre 50 buyer italiani e stranieri (Svezia, Norvegia, Finlandia, Danimarca, Polonia, Lituania, Repubblica Ceca, Bulgaria, Romania, Russia, Inghilterra, Spagna e Austria) e giornalisti da tutto il mondo (34 paesi diversi).

L’interesse per i vini delle Langhe c’è, ed è in costante crescita, il nome “Grandi Langhe si sta affermando sempre di più anche fuori dall’Italia” – ha affermato il Presidente Ascheri. D’altra parte l’offerta meritava il viaggio: 206 le cantine presenti con un massimo di cinque referenze in degustazione per un totale di 1500 etichette a disposizione degli oltre 2000 professionisti intervenuti. Che oltre i banchi d’assaggio hanno popolato le sale delle masterclass sui diversi terroir di produzione dell’albese condotte da Alessandro Masnaghetti, l’uomo delle mappe.

Nonostante i fari puntati sulle nuove annate di Barolo 2016, Barbaresco 2017 e Roero 2017, non sono mancati gli incontri con qualche chicca della zona.

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I nostri assaggi preferiti alla quita edizione di Grandi Langhe:

Pace: spicca tra i molti Roero Arneis per la sua costante e brillante capacità di concentrare in un sorso la delicatezza dei fiori in una mai troppo spiccata acidità capace tuttavia di creare un equilibrio perfetto atto a regalare indimenticabili sfumature nel tempo. Un esemplare tra i più longevi dell’areale. Oggi i fratelli Dino e Pietro Negro di Canale con il consueto sorriso e la gioia di vivere presentano l’annata 2018 che si conferma essere un ottimo cavallo di razza su cui puntare. Si intravedono già gli aromi di idrocarburi e di roccia addomesticati da un rivolo burroso che si ripropone nel palato con grande magnificenza. Non si fa in tempo ad immaginarne l’evoluzione che il bicchiere si riempie dello stesso vino ma nato nel 2011. Grande è la conferma, non tanto lo stupore della qualità rappresentata da un manto fresco, goloso e dolce-amaro a portarci virtualmente nella Valle del Reno. Siamo in compagnia di un maratoneta impareggiabile se si guarda al suo prezzo.

Cascina del Pozzo: le nuove leve della famiglia Marchisio a Castellinaldo sembrano avere le idee chiare sui nuovi vini da sfornare. È il caso dell’ultimo Roero affiancato a una delle bandiere di Casa, il longevo Roero Montegalletto. Si parla di un nuovo cru, una Riserva che porta il nome di Serra Zoanni. Un vigneto che non raccoglie il solo bacio dell’annata, la 2016, ma anche quello del suolo. In questo lembo di terra il nebbiolo acquista contorni molto speziati, diventa quasi torvo, e non si manifesta di certo con tannini docili. Potente e di ottima struttura, condensa nella sua fibra una grande predisposizione all’invecchiamento in cui si apprezzeranno morbidezza ed ampiezza. Sempre squisita poi la Barbera d’Alba Superiore Lucrezia: nella 2017 il frutto è sempre sulla fragranza e sulla solidità mostrate con grande grazia.


Bricco Maiolica: quando si inciampa in questa realtà si ha come uno shock mentale, di concetto. La mappa delle convinzioni si inverte così da farti entrare in una nuova dimensione. Siamo a Diano d’Alba con la famiglia Accomo in una zona di Langa nota più per il dolcetto che per vini a bacca bianca. Ma l’attitudine ad ottenere complessità deriva dalle terre calcare compatte e cangianti in cui nasce il Langhe Chardonnay Doc Pensiero Infinito. Basta il solo naso ad anticipare un sorso che richiama i grandi bianchi di Borgogna. Nel confronto tra il 2015 e il 2016, quest’ultimo vince per finezza e acuta acidità per un vino dal carattere cedevole. I tocchi floreali e di bosco si annebbiano da una carica aromatica mai leziosa dove le note del legno accompagnano il sorso con grande profondità. 

Chionetti: nuove release per una delle più importanti Case del Dogliani. Il marker più esaltante è proprio il talento – l’esperienza maturata che questa cantina sfoggia nei suoi vini – quando si assaggiano i Dolcetto: è da maestro la capacità di domare i tannini di quest’uva che nel San Luigi, si fanno fini, serrati, molto precisi, minerali e non pungenti anzi sempre attenti a sottolineare la dolcezza naturale del frutto. Ancora più da estasi è l’esito del sorso di uno dei primi Barolo prodotti. Tra i più belli del salone c’è il Bussia vigna Pianpolvere 2016: un vino che non smentisce le virtù di questa Mega e il savoir faire in cantina. Tattile, vibrante e visceralmente persistente il tannino. Vino puntuto, appena sapido e di beva fanciullesca. Già è sognante il pensiero di assaggiarlo tra una decade.

Alario Claudio: ogni volta che si incontra un membro della famiglia Alario si percepisce tutta la dedizione del lavoro nei vigneti, nel vino. Educazione giansenista, molto rigorosa. Un’approccio che dalle radici ai grappoli rispondono con una qualità e una sincerità irripetibile. C’è un raggiungimento dell’equilibrio nonostante i 15% vol nella Barbera la Valletta 2017: prodotta in piante ultracinquantenni, esposte a sud, c’è una stoffa luccicante, maestosa, come l’accostamento del Blu di Persia al giallo ambra: eleganza, solarità, finezza. Stessa musica per le papille quando ci accostiamo al Barolo Docg Sorano 2016. Il palato è segnato dalla salinità, dall’astringenza, da una forza magnetica che rispecchia fedelmente il luogo in cui nasce.

Cascina Luisin: gli otto ettari gestiti oggi dalla terza generazione, Roberto Minuto, esprimono il Barbaresco prodotto nei mitici cru Asili e Rabaja. Timbro tannico, mentolato e più sapido in un sorso più compatto e largo, nell’Asili 2016 mentre è decisamente più de garde, muscoloso ma snello il corpo del Barbaresco Rabaja 2016. Accogliente e fine stordisce per il suo impatto.

Produttori del Barbaresco: la cooperativa è tra le più dinamiche e virtuose dello Stivale. Anche in questa occasione non sbaglia un vino tra quelli in degustazione. Centrato, morbido e di squisita godibilità il Barbaresco Docg 2016: una bandiera tra le bandiere del territorio, unisce molti dei nove cru a disposizione (Ovello, Pora, Rabaja, Rio Sordo, Paje, Montefico, Montestefano, Montefico, Asili). Di livello ancora più alto il Barbaresco Docg Asili 2015, di eleganza e fascino indimenticabili. Sfericità del tannino che inizia a cucirsi tattilmente al succo.

Giuseppe Cortese: la novità per questa storica Casa del Barbaresco, grande interprete del Rabajà di cui la sua Riserva rimane sempre un modello intramontabile di eleganza e classicità, è l’inserimento nella gamma di un Barbaresco Classico, di presentazione della propria filosofia aziendale raffigurato in u vino sia elegante sia fresco e puntuale nel ritmo. Ma i ricordi sono ancora tutti proiettati al Barbaresco Rabaja 2017, verace, nordico per la sua acidità. Durezza che si placherà nel tempo per un nebbiolo che ricorda un 2011 o un 2014.

Ettore Germano: in attesa di assaggiare i cru prodotti nel 2016 – quando saranno imbottigliati – ci accontentiamo di un sempre sensazionale Barolo di Serralunga d’Alba Docg. Un grande, intramontabile classico: balsamicità, frutti blu ultramarini, giusta ampiezza del sorso. I tannini sono assolutamente ancora da aspettare: mordaci e fitti. Non possiamo che aspettarci questo da Sergio Germano e le sue vigne. Curiosa, più ampia e grassa la versione del Langhe Bainco Binel 2017. Albicocca sciroppata al naso ma anche mandorle profilano il gusto di questo bianco a base 90% chardonnay.

Figli Luigi Oddero: il team enologi tra cui si annoverano l’emergente Francesco Versio e Dante Scaglione nella Tenuta Parà di La Morra affacciata al cru Rive-Specola continua il lavoro di perfezionamento dei vini principalmente a base nebbiolo. Nel 2016 sono la solidità e la potenza delle Rocche di Castiglione Falletto in cui si trova il “surì” Rocche Rivera, sotto le mura del castello a primeggiare. I tannini del Barolo Rocche Rivera Docg 2016 sono come un pettine salino, persistente, poi fine come si acclima nel palato. Lunghissimo, gli aromi e la tattilità sono sempre in favore di bacche blu e spezie dolci.

G.D. Vajra: un esempio di tenacia, scelte in vigna e in cantina decisive per la qualità costante di tutti i vini prodotti. Una famiglia con principi dove la volontà di unione e di coinvolgimento prevalgono sempre. Tecnica e storia sono a unirsi perfettamente ma, come in un prisma, riflettono più sfumature, più lati. Anche nascosti. È il caso del Barolo Bricco delle Viole 2016 che in questa annata strabilia. Se lo si ricordava ampio, gustoso e delicato, in questa edition il tannino è perfetto, stratificato, preciso e in continuo movimento a rilasciare il sale e il succo. Un modello che ci riporta quasi al passato. Un vino che tira fuori una nuova anima.

Poderi Marcarini: sul tetto di La Morra, questa storica Casa (6° generazione) affina i suoi vini austeri, di grande sobrietà e struttura in un edificio del XVIII secolo a fianco la torre medievale a trionfare il campo visivo. Inconfondibile il gusto, la terrosi del tannino, la finezza tattile, il succo balsamico mescolato ad aromi più freschi, di eucalipto e di menta a fare un balzo proiettivo fantastico per gli amanti di quei grandi Barolo firmati dal tempo. È il caso del Barolo Riserva Docg Brunate 2015.

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