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L’invecchiamento della grappa non cominciò per necessità ma per moda. È un’affermazione che ha un contenuto polemico e, certamente, non dà una fotografia fedele della realtà. Ma c’è del vero. La grappa, quale acquavite ricavata dalla vinaccia e quindi da una materia prima ricchissima d’aroma, non necessita certo di interventi che ne amplifichino il quadro organolettico.
E poi invecchiare grappa è terribilmente difficile, in quanto l’esito del suo matrimonio con il legno è imprevedibile e bizzarro. Si corre di sovente il rischio di ottenere sovrapposizioni d’aroma anziché fusioni e, non di rado, dopo anni di investimenti materiali e d’ingegno, ci si può trovare con dei bisticci sensoriali che volgarizzano in modo irreparabile il prodotto.
Ecco perché si adduce la responsabilità alla moda di quegli anni – e parliamo dell’Ottocento -in cui uno dei capitoli più interessanti dei manuali per liquoristi si intitolava “Come fare del buon cognac con la grappa”.
Con ciò non si vuole escludere che esistano delle acqueviti di vinaccia invecchiate da sogno: alla pungenza olfattiva dell’alcol hanno sostituito un insieme di profumi suadenti, articolati, continui e cangianti; al gusto si rivelano morbide, aggraziate e delicate per poi esplodere nel retrobocca con aroma autorevole e di persistenza quasi infinita. Quella delle grappe invecchiate è insomma una grande categoria alla quale fanno onore i prodotti la cui educazione è stata programmata con maestria in funzione del loro carattere originario.
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