«Sono stato accusato addirittura di eccessiva trasparenza: l’ho detto fin dal primo incontro in Unindustria, il 26 novembre scorso, e lo ripeto ora, dopo 72 giorni di presidi ininterrotti che hanno paralizzato la fabbrica con danni economici ingenti e nottate di trattative a Roma con istituzioni e sindacati: la fabbrica Saeco di Gaggio Montano resta aperta e resta il centro di eccellenza mondiale delle macchine automatiche da caffè espresso del gruppo Philips tanto da investirci altri 23 milioni di euro. Ma deve essere competitiva e ciò impone misure drastiche, perché i volumi prodotti sono crollati del 60% in sei anni ma gli addetti sono rimasti gli stessi». E’ quanto ha dichiarato a Il Sole 24 OPre Nicholas Lee, l’ad di Saeco International dopo la ratifica finale dell’accordo per la mobilità incentivata sottoscritto dal 95,4% dei lavoratori.
Per trasformare in uscite volontarie (grazie a un bonus generoso ben oltre la media delle trattative in regione: 75mila euro , 4 anni di salario operaio) i 243 esuberi previsti da Amsterdam, su 558 addetti, per arrivare alla dimensione ottimale dell’azienda: 315 persone, 200 alla produzione, le altre a studiare progetti, prototipi, design e tecnologie. «È un accordo non perfetto per nessuno – ammette Lee – ma getta le basi per ripartire: quando abbiamo rilevato Saeco nel 2009 era tecnicamente fallita. Fatturava 320 milioni, ne aveva 600 di debiti e produceva 300mila pezzi. Dopo sei anni di perdite con Cig arrivata al 50% del monte ore siamo scesi a 100mila pezzi prodotti l’anno, per il 95% esportati. E il mercato mondiale delle macchine automatiche da caffè espresso di fascia alta è stagnante, crescerà del 2-3%, non oltre».
A fare concorrenza al florido business del caffè in capsule (con apparecchi offerti quasi gratis al cliente) sono le automatiche di fascia medio-bassa da poche centinaia di euro, per cui si stimano trend a due cifre. Quelle fabbricate in Romania nell’altro storico sito Saeco, «dove peraltro si producono oggi 500mila pezzi come cinque anni fa, non c’è stata delocalizzazione», precisa l’ad. Sta crescendo la domanda da Est Europa, Russia, Nord America «e puntiamo molto sulla Cina e tutto il Sud-Est asiatico dove Philips è uno dei big 5 tra i marchi dei beni consumer e farà da traino a Saeco». Non è invece sostenibile un centro assistenza europeo in un paesino isolato sull’Appennino, come avrebbero voluto i sindacati: il grosso dei clienti Saeco beve caffè tra le Alpi e il Baltico.
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