Si guarda all’anno in corso con un cauto ottimismo, sebbene il 2023 sia stato segnato da difficoltà imputabili a un momento di profonda stagnazione dell’economia. C’è d’altro canto ancora molto da fare in termini di informazione e comunicazione verso la clientela, specie quella più giovane. È questa lo stato dell’arte del settore vinicolo italiano emerso da una conversazione con alcune aziende presenti a “I migliori vini italiani 2024”. La kermesse, giunta alla XXIII edizione, ideata dai fratelli Luca e Francesca Romana Maroni, apertasi con una serata inaugurale riservata a stampa ed operatori e dedicata alle premiazioni, è in programma fino al 18 febbraio a Roma, presso il Salone delle Fontane dell’Eur. Alla parte espositiva, si affianca un ricco programma di workshop, incontri, presentazioni e degustazioni e corsi in pillole curati da Luca Maroni.
Cauto ottimismo per Marzia Morganti, Ufficio Stampa di Carpenè Malvolti, storica azienda trevigiana che vanta il primato di essere stata la prima cantina a produrre il prosecco nel 1868 e a tutt’oggi rimasta l’unica impresa della spumantistica e della distillazione italiana in mano alla medesima famiglia da 150 anni: “Il 2023 pur essendo stato un anno difficile per la congiuntura economica è risultato per gli spumanti tutto sommato positivo. È l’unico segmento che di fatto non ha segnato forti contrazioni. Al netto degli imprevisti, siamo molto fiduciosi per il 2024 ed auspichiamo di rimanere sul mercato con gli stessi livelli. La nostra azienda sta sempre più cercando di investire nell’innovazione come del resto ha sempre fatto fin dagli esordi, puntando sulla qualità. Ritengo che il prosecco venga sempre troppo bistrattato ma in realtà è un prodotto eccellente che nasce dalla natura e disegna perfettamente il territorio d’origine. Noi confidiamo molto sull’export che occupa quasi la metà della produzione, destinando le bottiglie principalmente a USA, Canada ed Europa, specie in Germania. I consumi ci danno soddisfazioni anche nella fascia più giovane. Facciamo un prodotto nel mood di questo target di consumatori ma vorrei sottolineare come il prosecco sia davvero il vino della convivialità. Ideale non solo per ricorrenze speciali ma per qualsiasi momento della giornata. Un vino che fa socialità senza apportare un’ebbrezza eccessiva. La kermesse cui stiamo partecipando inoltre è l’occasione per presentare al pubblico la bottiglia con la storica etichetta del 1924, cui ricorre il centenario quest’anno. La nostra azienda è stata la prima ad apporvi, un secolo fa, la dicitura Prosecco, vino artigianale amabile dei Colli di Conegliano. Anticipando le denominazioni di origine, precorrendo e contribuendo a decretare il successo di questa parola, che ormai è riconosciuta a livello mondiale”.
Sentiment condiviso da Antonella Porto, Direttrice e Responsabile mercato estero dell’azienda beneventana La Fortezza: “Di base siamo molto positivi anche se riscontriamo una grossa difficoltà economica nel mercato nazionale. Per fortuna siamo presenti su molti paesi esteri di rilievo quali Cina, Giappone, Stati Uniti, Canada. L’export assorbe quasi il 40% della nostra produzione, un dato che consente di bilanciare le problematiche del mercato interno. Sebbene il consumo del vino in Italia sia aumentato, grazie alle bollicine. Questo segmento ha rappresentato l’arma vincente per tante aziende che si sono inserite nella scia aperta dal prosecco, lo sparkling per antonomasia. Noi stessi, siamo stati una delle prime in Campania a produrre bollicine che di fatto sono state il driver per approcciare un pubblico più giovane. Hanno svecchiato il concetto del vino che nel passato veniva associato a un consumatore maturo. Se prima molti under 30 privilegiavano birre o superalcolici, ora grazie a questa evoluzione si sono avvicinate al comparto enoico. Hanno voglia di conoscere ed imparare e questo ha ricadute positive su tutto il settore”. Porto ha anche evidenziato il valore di premi per il successo di una cantina: “L’importanza di un’azienda si percepisce anche con i riconoscimenti ottenuti e l’inserimento nelle guide. Ma fondamentale è lo storytelling e attualmente la ristorazione sa raccontare pochissimo il vino. Se confrontiamo i nostri ristoranti con la ricettività di altri paesi ad esempio il mercato americano, siamo lontani anni luce. Da noi non si ha personale a sufficienza da dedicare, all’interno di un ristorante, alla conoscenza dei vini e di conseguenza non si sanno proporre. Se vogliamo vendere un prodotto, oltre alle strategie di marketing dobbiamo conoscerne le caratteristiche anche perché spesso abbiamo di fronte persone che ne capiscono sempre di più rispetto ad una volta.”.
L’affermarsi sui mercati esteri è vincente anche per un’azienda pugliese quale La Pruina come spiega uno dei titolari nonché enologo, Teodosio D’Apolito: “Per quest’anno nutriamo grandi ambizioni. Stiamo lavorando per penetrare nuovi mercati internazionali, con l’auspicio di sbarcare su quello statunitense. Siamo partiti nella nostra avventura imprenditoriale puntando solo all’estero e ad oggi, l’export, copre oltre l’80% della nostra produzione. Abbiamo iniziato esportando in Germania e Cina anche se ora queste destinazioni segnano una certa flessione. Quindi ci siamo riposizionati in altri mercati tra cui Polonia, Belgio, ed Olanda, aprendo due fronti molto interessanti quali Romania e Albania. E riscontrando grandissime soddisfazioni in paesi insoliti quali il Mozambico. Ma gli Usa sono una meta molto ambita. Certo non è facile arrivarci. Le difficoltà sono molteplici dovute in primis ai numerosi attori presenti ed anche al retaggio culturale del consumatore americano che ama principalmente i vini del Nord Italia. Conosce il Primitivo solo dall’imbottigliatore dell’Italia settentrionale e non direttamente dalle aziende produttrici. Ma siamo ottimisti grazie al fatto che stiamo vivendo un cambio epocale che può essere paragonato soltanto ad un momento storico quale l’era post etanolo. Abbiamo i giovani che si stanno avvicinando al vino seppur verso quello più facile e beverino, con un residuo zuccherino minore, scegliendo più naso e maggiore fruttuosità. Noi aziende pugliesi abituate a gradazioni alcoliche più alte dobbiamo reinterpretare il territorio. Non dobbiamo scopiazzare il successo dei produttori di prosecco del Nord. Per la nostra indole dobbiamo puntare sul rosato che può risultare una linea di produzione interessante. Se proprio dobbiamo cercare di risolvere una problematica quella è legata al comportamento in fase d’acquisto del consumatore che è molto price sensitive”.
Focalizza l’attenzione sui consumatori under 30, Stefania Marcuz, consulente vendita e marketing di Tenuta Fernanda Cappello, azienda friulana di Sequals che produce 300.000 bottiglie l’anno, esportando in Belgio, Olanda, Usa, Russia, Svizzera, Canada, e con successo anche nel mercato domestico, specie su una piazza quale Roma: “I giovani non sono molto educati al bere di qualità. Stanno consumando tanti energy drink, birre o superalcolici. Bisogna educarli, formarli come fanno in altri Paesi. Ad esempio in Svizzera o in Belgio, per non parlare della Francia, si avvicinano con rispetto e grande consapevolezza al mondo del vino. Ricercano il prodotto di eccellenza nell’ottica di un consumo consapevole. Da noi invece è tutta un’altra storia. Spesso il vino è demonizzato nelle scuole. Il problema è che non sappiamo raccontarlo. Dobbiamo impegnarci per trasmettere i valori che stanno dietro a un segmento fondamentale per il made in Italy agroalimentare. Ovvero la storia del produttore, , il territorio dove crescono i vitigni. Altrimenti si corre il rischio di farlo diventare un liquido come un altro. Lavorare sul campo emozionale. Questo servirà anche a livello commerciale. Diversamente saremo in costante in balia del fattore prezzo, l’unica componente determinante in fase di acquisto”.
Si lascia alle spalle un momento complesso Nicola Jasci, owner dell’azienda di vino biologico Jasci & Marchesani: “Il 2023 è stata un’annata difficile specie per noi del biologico. Oggi ci lecchiamo le ferite ma siamo riusciti a produrre bottiglie di grande qualità nonostante perdite che si sono attestate dell’ordine del 30% della produzione. Siamo orgogliosi di come è andata. Ho sensazioni positive per quest’annata malgrado le difficoltà che provengono da una congiuntura mondiale complessa. Ma noi agricoltori siamo abituati a sopportare e superare le difficoltà. Andremo avanti anche quest’anno. Il covid dal mio punto di vista ha portato anche l’aumento della qualità non solo nel campo agroalimentare ma anche in quello enologico. I consumatori sono più attenti ai prodotti di qualità a discapito della quantità. Si beve meno ma molto meglio. Abbiamo percepito nella nostra azienda questa richiesta”. Come per altri colleghi bisogna lavorare sulla comunicazione verso l’utilizzatore finale specie nel mondo dell’horeca. “Attualmente molti ristoratori lavorano con le carte vino – continua Jasci – ma sono informazioni parziali. Anche noi produttori dobbiamo fare un mea culpa, è necessario spingere sulla formazione degli operatori. Se comprano bottiglie solo tramite carte vino, non sono in grado di percepire tutto il mondo che c’è dietro un’azienda e la sua filosofia. E di conseguenza in fase di vendita non riusciranno a trasmetterlo al cliente. Per noi aziende le guide sono importanti per misurare la qualità dei nostri vini”. Infine sull’importanza delle guide per le imprese del settore, Jasci non ha dubbi: “Quando una guida ci penalizza per un determinato fattore noi lavoriamo l’annata successiva per migliorare quell’elemento. Sono davvero importanti nel nostro comparto. Ma la loro funzione lavora in sinergia con il passaparola, che spinge spesso il cliente a scegliere una bottiglia piuttosto che un’altra”.