Mille miliardi di atti di consumo: è una stima, credibile anche se non precisa, degli atti di consumo annui di caffè sul pianeta terra. È una cifra enorme e di un’importanza strabiliante: potrebbero essere mille miliardi di momenti di felicità, di appagamento sensoriale.
Lo sappiamo, molte volte il consumo di un caffè è un atto disattento. Lo facciamo chiacchierando, lasciando la mente immersa nei pensieri che ci stanno accompagnando o comunque di fretta, quasi fosse un atto dovuto nei confronti delle nostre esigenze fisiologiche e non pregno di potenti risvolti psicologici.
Eppure, potete starne certi, per quanto siate disattenti, il vostro inconscio esprime un giudizio utilizzando una propria scala edonica e inviandovi un messaggio perentorio:
- fantastico, vorrei berne un altro: è amore;
- buono: è accettazione;
- il caffè l’ho preso: è indifferenza;
- non mi convince: è sospetto;
- che schifo, forse il caffè non mi fa bene: è esclusione.
Più la parte logica del nostro cervello rimane distante da elucubrazioni e riflessioni, più il nostro inconscio domina la scena decidendo per noi i consumi futuri. Ecco perché c’è una responsabilità solidale di tutti gli attori della filiera, dal coltivatore di caffè al barista, per servire un caffè che sia “amore”, ed ecco perché il peggior nemico (e concorrente) del caffè è il caffè cattivo.
L’imputazione della responsabilità teoricamente è a cascata: il consumatore rifiuta il caffè cattivo selezionando in questo modo i bar e le marche sullo scaffale, il barista e il buyer scelgono quindi solo prodotti di qualità costringendo gli altri a fallire, i torrefattori richiedono ai crudisti solo caffè buoni e quindi i produttori di chicchi malvagi spiantano il caffè e si mettono a coltivare altro. Questa è logica, ma non è realtà.
Esiste infatti un’altra legge: la moneta cattiva scaccia quella buona. E sembra sia questa al giorno d’oggi quella che domina la scena. Il caffè poi ha un altro mezzo di convinzione verso gli umani: la caffeina, con tutti i positivi risvolti fisiologici e psicologici che offre. Quindi in certi casi si va alla ricerca di un centinaio di milligrammi di caffeina, disponibili a tapparsi il naso pur di ottenerli. Il citato alcaloide c’è, indipendentemente dalle buone caratteristiche sensoriali. Anzi, i caffè cattivi ne hanno anche di più.
Ma fortunatamente non è solo così: vi sono torrefattori che lavorano con passione affinché ogni atto di consumo di una tazzina di caffè sia distinto dalla più raffinata delle emozioni: l’amore.
Ecco perché sono nate le miscele: per enfatizzare in una tazzina quello che madre natura da sola non riesce a produrre. In poche parole, è una forma d’arte che si raggiunge attraverso una profonda conoscenza delle caratteristiche sensoriali di centinaia di caffè diversi, per poterli unire affinché eventuali lacune vengano colmate e i pregi siano vicendevolmente enfatizzati.
A cura di Luigi Odello (Centro Studi Assaggiatori)
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