“Un modello di come dovrebbero essere le relazioni tra consumatori e produttori di caffè, in ottica di business ma sostenibile dal punto di vista sociale e ambientale”. È Umami Area Honduras, il progetto cui partecipa Andrej Godina, uno dei maggiori esperti di caffè italiani, consulente, Authorized Trainer e Master Barista Sca.
Gli abbiamo chiesto di darci un quadro dello stato dell’arte del mondo del caffè attuale. Tra minacce e opportunità. Una visione, la sua, sviluppata dopo anni di studi (ha un PhD in Scienza, Tecnologia ed Economia nell’Industria del Caffè, presso l’Università degli Studi di Trieste) e lavoro nel settore, letteralmente sul campo. L’anno scorso infatti ha costituito una società insieme a 27 soci di tre Paesi (Honduras, Italia e Germania) di tutta la filiera – farmer, cooperativa e ditta export honduregni, importatori europei, trainer, baristi e anche tre consumatori appassionati di di caffè – che ha acquistato una piantagione esistente a Las Capucas vicino a Copan, nell’Honduras occidentale. Diventata presto una sorta di campo di ricerca e sperimentazione delle migliori pratiche agricole, in vista della riconversione a biologico, anche per dimostrare alla comunità locale che la cosa è possibile soprattutto per vendere a un prezzo superiore il proprio caffè.
Cambiamenti climatici in primo piano
Quando gli chiediamo come sta andando il raccolto subito chiarisce: “Il tema generale sono i cambiamenti climatici, prima generalmente si sapeva la qualità e la quantità del caffè in anticipo perché era sempre simile, ora è incerta. Quest’anno in Honduras c’è stata siccità e la qualità è da verificare. Ma il clima secco ha permesso di lavorare il caffè naturale, cosa che in passato era impossibile, e questo almeno è positivo per la qualità in tazza perché dà più dolcezza e corpo”.
È possibile combattere i cambiamenti climatici? “Stiamo provando nuovi cultivar e tecniche per dare un feedback alla comunità locale. Ad esempio per creare ombra usiamo un’erba – la Brachiaria africana – che garantisce un copertura efficace, ha radici profonde e verticali che non interferiscono con le piante di caffè, cresce velocemente e una volta tagliata aiuta a ricostituire l’humus superficiale del terreno”.
Prezzi non sostenibili
Altro problema è il prezzo: “Quello praticato per l’Arabica della borsa di New York non basterebbe a coprire le spese di produzione. Non è frutto del rapporto tra domanda e offerta ma è determinato dai futures, che sono contratti su caffè non ancora prodotti. Occorre sensibilizzare la filiera, che deve dare delle risposte e il consumatore deve essere reso consapevole. Il caffè come commodity ci sarà sempre ma possiamo lavorare sul consumatore sensibile alla responsabilità sociale perché paghi il caffè il giusto. Noi stiamo cercando di dimostrare che essere socialmente responsabili e fare business è possibile: non cambieremo il mondo, ma il pezzettino di mondo che ci coinvolge magari sì. Ed è un modello che ci piacerebbe esportare o vedere esportato in altri Paesi produttori”.
Il “caso” Italia
Anche il prezzo unico della tazzina a un euro vigente in Italia, indipendentemente dal tipo di caffè, “è un modello che non esiste per nessun tipo di prodotto e in nessun Paese” e dovrà cambiare: caffè diversi devono avere prezzi diversi. Chi può fare questa operazione di sensibilizzazione del cliente? “Il barista specialty che propone caffè diversi, come un sommelier. E può far capire la differenza. In questo momento in Italia ce ne sono un centinaio, davvero pochi. Ma aumentando il prezzo della tazzina dovrebbe potere essere possibile anche aumentare lo stipendio del barista che si è formato, che sa raccontare, non è più un semplice operatore di macchina ma un professionista”.
FONTE: www.host.fieramilano.it