Uno dei formaggi più prelibati al mondo è anche quello con la storia più interessante. E pionieristica, per il modernissimo sforzo compiuto nei secoli per proteggere la sua autenticità, dall’origine al metodo produttivo. Non è nuova, la ricerca da parte dei produttori di una tutela dell’autenticità di ciò che propongono al mercato. Anzi, è molto più antica di quel che si pensa.
Il cibo è un simbolo della società e della cultura. È anche un simbolo del proprio Paese, o addirittura della propria regione e città, si sa. È così da sempre, ma nell’Ottocento i progressi del sistema dei trasporti, con le ferrovie per esempio, hanno consentito per la prima volta di vendere i propri prodotti anche in mercati un po’ più lontani dal luogo in cui nascevano, le fattorie, i caseifici. Così i formaggi cominciano a chiamarsi con il nome della loro città.
Un primo effetto tangibile di questo sviluppo è stato, in Europa – specialmente in Francia e in Italia – il battesimo dei formaggi con il nome della città o della regione in cui erano fatti. Il formaggio fresco di capra a forma piramidale da lì in poi si chiamò Valençay, il formaggio a forma di tronchetto Sainte Maure, quello delle grotte piemontesi Castelmagno, e poi pure Asiago, Gorgonzola… Una pratica che continua tuttora, confermando l’idea che il vero sapore di un cibo provenga da una somma di fattori, dalla sapienza umana al terroir (suolo, clima e geografia), idea che anzi è diventata centrale nei programmi governativi di tutela dei prodotti locali tradizionali.
L’idea di proteggere in modo efficace i prodotti tipici di un certo luogo, creati in un certo modo, risale però a secoli fa. Il Roquefort è uno dei più celebri formaggi erborinati del mondo, uno dei più prelibati, e anche quello con la storia forse più lunga e meglio documentata. Si fa con il latte di pecora nella regione della Rouergue nella Francia meridionale, fatto invecchiare in filari di grotte sotto la cittadina di Roquefort.
Questo formaggio era già conosciuto e apprezzato nell’XV secolo, tanto che esiste un atto scritto del 1407 di Carlo VI che riconosce il diritto esclusivo degli artigiani locali di produrre quel formaggio nelle cave di pietra. Secolo dopo secolo, ulteriori garanzie si sono aggiunte: nel 1666 un’alta corte di Tolosa comminò multe severe a chi aveva tentato di imitare quel formaggio. Nel 1842 si creò un consorzio di tutela, la Société des Caves et des Producteurs Réunis de Roquefort, con il compito di coordinare “le varie decisioni legali che definiscono le caratteristiche del Roquefort”, operante fino all’arrivo della prima Appelation d’Origine Contrôlée nel 1925, concessa per legge.
I primi programmi governativi
Fu la Francia il primo governo a istituire uno schema onnicomprensivo per l’uso di nomi regionali e geografici del cibo. Dopo il Roquefort, circa altri trenta formaggi hanno seguito lo stesso iter. È nata anche un’agenzia statale di controllo, l’Institut National des Appellations d’Origine, che oggi si chiama Institut national de l’origine et de la qualité. Il sistema di registrazione è stato adottato poi in Italia, con la Denominazione d’Origine Controllata partita nel 1954, e a seguire in Spagna, Portogallo, Austria e Germania. Uno degli ultimi Paesi a istituire un simile programma è stata l’Inghilterra. Infine, è arrivata l’Europa, che nel 1992 – quando ancora si chiamava Cee – passò il Regolamento 2081/92 che introdusse la denominazione di origine protetta, meglio nota con l’acronimo Dop.
Expo Milano 2015 è il luogo ideale per conoscere la storia, spesso sorprendente, del cibo che portiamo in tavola, a partire dai primordi dell’alimentazione, splendidamente illustrati in Padiglione Zero.