Il Fatto Quotidiano del 21.04.2013 riporta un articolo in cui denuncia un grave comportamento elusivo in materia fiscale da parte del gruppo Starbucks, il gigante americano delle caffetterie. In questo Paese negli ultimi 10 anni i 36 punti vendita della catena hanno incassato quasi 250 milioni di euro e generato un utile lordo, ossia prima del pagamento delle tasse, di 174 milioni. Peccato che poi, al momento di versare le tasse, i profitti si trasformassero in perdite (53 milioni in 10 anni) e pertanto nulla fosse dovuto al fisco ellenico.
Starbucks del resto non è nuova a questi giochi di prestigio fiscali, peraltro utilizzati anche se in modo meno spinto da molti altri colossi a stelle e strisce. In Gran Bretagna la catena si è “pentita” di aver pagato poche tasse cercando, lo scorso anno, un accordo con il fisco britannico. Nel 2012 un’indagine dell’agenzia Reuters ha messo in evidenza come in 13 anni la società abbia pagato al fisco inglese appena 8,6 milioni di sterline a fronte di vendite per oltre 3 miliardi. Anche in questo caso tutto passava attraverso l’Olanda e la stessa tecnica sarebbe stata usata per i profitti ottenuti in Francia e Germania.