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Non è vino. Né si può definire succo d’uva, almeno non tradizionale. Quando i vignaioli hanno uva in eccesso che prevedono non maturerà in tempo per il raccolto, o quando vogliono ridurre il volume di resa per aumentare la qualità, selezionano le uve non mature e le pressano immediatamente. Risultato: un succo acido pressoché imbevibile se preso da solo, ma che può rivelarsi preziosissimo nelle ricette della nuova mixology.
È l’agresto, o verjus in versione francofona. Conosciuto sin dall’antichità, prodotto in origine di scarto, era un must nelle credenze del periodo medioevale. Sparito fino a una ventina d’anni fa, oggi è ricercato per le sue proprietà acidificanti e aromatiche, ben più complesse degli agrumi tradizionali. “Acido tartarico, più che acido citrico”, spiega Morgan Stana, bar manager al A Rake’s Bar di Washington, D.C. “Entrambi graffiano il palato e spingono con l’acidità, ma sono due tipi di incisività diversa. È come mordere una fettina di limone e un tamarindo”.
BAR USA – Negli Stati Uniti, stante anche un impatto dei vari trend ben maggiore rispetto all’Europa e all’Italia, l’agresto è protagonista in vari bar. A Rake’s Bar ad esempio propone una drink list organica: la fornitura arriva da vigne del Maryland come Old Westminster e Black Ankle, e Stana suggerisce Navarro come opzione in bottiglia. L’agresto è usato come acidificante per la quasi totalità dei cocktail in menu, e i clienti sono ben lungi dal rimpiangere il limone: provare per credere, un Better Late Than Never, con liquore all’arancia, agave, soluzione salina e miele, oppure un Bear With Me, Honey, twist sul leggendario Bee’s Knees, shakerato con gin Barr Hill Tom Cat, miele crudo e bianco d’uovo. Essendo derivato dell’uva, l’agresto può assumere sentori diversi a seconda della varietà di acino da cui proviene. Per questo Stana suggerisce di effettuare accurate sessioni di assaggio, prima di utilizzarlo. “Una settimana potrei avere agresto da uve Primitvo, quella dopo magari me lo mandano da Riesling. È fondamentale conoscere il prodotto e capirne le varietà e le reazioni al clima e ai raccolti”. Inutile dirlo, funziona benissimo in cocktail a base vino, come il French 75 e perché no il Sidecar.
BACK TO 90’S – Al Nic’s on Beverly di Los Angeles, il beverage director Jason Eisner ha reinventato l’Appletini anni ’90, ridisegnandolo per la nuova era della mixology moderna grazie all’agresto, che usa dal 2014: “Un acido gentile e molto secco, grandioso per bilanciare un drink amaro”. Il suo Appletini ha una componente acida non banale, fatto con succo di Granny Smith fresco, filtrato attraverso un filtro da caffè e mescolato con enzimi peptici per ottenere l’aspetto opaco e uniforme. Andy Bixby ammira il modo in cui l’agresto spezza i sentori dolci in modo più delicato, rotondo e ampio rispetto al citrico tradizionale. Oltre alla variante bianca, per acidità delicata e luminosa, Bixby, beverage dirctor al The Imperial di Washington, D.C., usa spesso agresto da uve rosse, per “un’astringenza e una qualità tanninica, oltre a un peso diversi per il palato”.
LIMITI – C’è anche da segnalare, tuttavia, che il verjus non è propriamente un ingrediente comodo da avere. È praticamente impossibile farlo homemade, a meno che non si abbiano uve non mature appena prelevate. Bixby si affida a Fusion, della Napa Valley, ma suggerisce di approfondire l’argomento con le varietà stagionali che si trovano ovunque. “È incredibilmente versatile, e sta bene quasi con tutto. Certo, le proporzioni per sostituire lime o limone devono essere perfette, per evitare di creare un drink sbilanciato. Ma se usato bene, è perfetto per esaltare tutti gli altri elementi e regalare emozioni”.
fonte: liquor.com
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