La silenziosa (e nemmeno tanto) protesta di chi ha voluto riaprire, inizia adesso a contare le ferite. È sembrato di tornare ai tempi del liceo, dove in più d’uno si lottava per manifestazioni e scioperi e occupazioni, salvo poi rimanere a dormire in casa, approfittando del giorno libero. Più che di forza, una dimostrazione di disordine. Per il settore dell’ospitalità, non è adesso il momento di gettare la spunta e darla vinta al caos.
Il presunto polverone sollevato la scorsa settimana dall’hashtag #ioapro si è fortunatamente tradotto in un qualcosa di molto simile al nulla di fatto, per quanto a tinte preoccupanti: da un lato lo stendardo di alcuni imprenditori, che hanno giustificato la propria azione di pseudosommossa inneggiando alla non esistenza del Covid, che sarebbe tutta un’invenzione. Dall’altro la risposta dei consumatori, che pure hanno affollato alcuni dei locali aderenti all’iniziativa, cestinando qualsiasi disposizione circa distanziamenti e mascherine, “perché la gente non ce la fa più” (di certo non gli aficionados, ben consci di poter arrecare solo danni ai propri locali preferiti). Risultato, centinaia di euro di multa per gli uni e per gli altri. Si possono solo immaginare lo sconforto e la disperazione degli operatori dell’ospitalità, ma non è così che se ne uscirà.
Di fortuna si è trattata, senza dubbio alcuno: perché se davvero le serrande alzate fossero state di più, si sarebbe tranquillamente potuti arrivare a una reazione ulteriormente repressiva, se possibile, da parte di forze dell’ordine e decisori. Andando ad allargare ancora di più la forbice distorsiva che il comparto notturno soffre agli occhi del cittadino medio: “La percezione che l’uomo comune ha di noi è stravolta, del tutto”, racconta Daniele Gentili, 46enne romano che da più di metà della sua vita miete soddisfazioni nell’hospitality, in Italia e all’estero. Oggi è consulente per numerose realtà, ed è presidente dell’Italian Hospitality Network: “Pensano che sia tutto a posto, che i ristori erogati ci abbiano risolto qualsiasi problema: per chi li ha avuti, i ristori coprono in media il 5% del fatturato, cioè nemmeno l’affitto. Se chiedi in giro, buona parte dei cittadini pensa che abbiamo solo voglia di rompere le scatole”.
E il tentativo di “aprire rispettando le regole” (di per sé un controsenso senza alcun contenuto filosofico) non aiuta certo a raggiungere lo scopo: serve che questa percezione cambi, che le questioni territoriali e la regolamentazione del settore arrivino a un punto di svolta. Non è neanche riaprendo tutto da un momento all’altro che davvero si arriverà ad esacerbare qualsiasi problematica per il popolo della notte, perché a fronte di qualsiasi altra emergenza si tornerà al punto di partenza, non cambierà mai nulla. Nella tragedia socioeconomica in corso, bisogna trovare la forza e la lucidità per ottenere soluzioni che guardino oltre, che modifichino radicalmente la situazione: “Abbiamo creato IHN per cambiare il futuro, non per tornare a come eravamo prima del COVID”, prosegue Daniele, che presiede il comitato dell’associazione insieme a Giulio Morosetti e Daniele Martelli.
IHN ha fatto rimbalzare infatti un messaggio opposto, Abbasso e Chiudo, uno slogan che sta a significare come “non ci siano condizioni ottimali per continuare a tenere aperto, anche solo a pranzo. Noi non vogliamo andare contro la legge, non vogliamo essere banditi per poter sopravvivere. Siamo anzi desiderosi di rispettare leggi adeguate che ci tutelino e regolamentino anche i clienti: deve esserci programmazione, non possiamo sapere dalla mattina alla sera quale sarà il nostro destino. Fare ospitalità non è attivare un interruttore, ed è gravissimo che in pochi, anche nelle sale dei bottoni, non si rendano conto degli sforzi economici e formali che facciamo per poter accendere la luce ogni singolo giorno”.
Soluzioni, immediate e fruttuose, non ce ne sono: di certo c’è che è meglio unirsi e stringersi nelle difficoltà, che proseguire come cani sciolti senza un programma né idee chiare, rischiando addirittura di procurare ulteriori danni a se stessi e ai propri colleghi: associazioni come Italian Hospitality Network, e la neonata campana Barthenope, si propongono invece come megafoni della sofferenza comune, ma con strategia e fino a questo punto anche qualche risultato che lascia ben sperare: “Il 25 ottobre scorso siamo riusciti a incontrare il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che ci aveva illustrato la necessità delle chiusure per poter riaprire in sicurezza a Natale. Sappiamo bene come è andata. A novembre siamo invece stati ricevuti dal sottosegretario del Ministro di Economia e Finanza, Claudio Villarosa: la conversazione ci ha dimostrato quanto ai piani alti non si sia neanche lontanamente a conoscenza di quanto lo stop agli esercizi comporti un effetto valanga su tutta la filiera, sono quasi caduti dal pero”.
Ciononostante, in seguito all’udienza si è assistito al ricalcolo delle perdite su 12 mesi (e non più solo su Aprile), all’inserimento di codici ATECO mancanti tra quelli destinatari dei ristori, e alla revisione dell’accordo con le banche per eventuali prestiti. Qualcosa quindi potrebbe stare iniziando a muoversi, motivo in più per comprendere che è solo facendo quel benedetto sistema di cui sempre si parla, che si potrà uscirne come categoria con le ossa meno rotte possibile. IHN ora guarda al futuro, e Gentili sa bene che anche come gruppo servirà ulteriore sostegno: “Stiamo crescendo, siamo legalmente riconosciuti. Ma ci metteremmo anni per arrivare ai tavoli decisionali in maniera indipendente: il nostro bacino d’utenza aumenta, abbiamo avuto richieste anche da Abruzzo, Molise, Puglia”. Serve però una rappresentanza che abbia più peso, motivo per cui sono stati avviati dialoghi con confederate di rilievo come Confcommercio e FIPE.
Siamo di fronte a uno tsunami epocale che probabilmente farà ancora più danni nei prossimi mesi, con uno strascico inimmaginabile. Agire in maniera provocatoria e insensata concorre solo a inasprire una guerra tra poveri, dando vita a spaccature tra lavoratori e avventori: “Rispettiamo le scelte personali di ciascuno, pur non condividendone i metodi. Le problematiche derivano dalla mancanza di rappresentanti, quindi ognuno fa da sé. Noi non accettiamo passivamente, ma nemmeno stiamo in silenzio: di certo non è aprendo come se nulla fosse, che si risolve il problema. Disperazione e crisi devono avere voce, ma non in modo scriteriato”. Che non si abbia paura di lottare e farsi sentire, perché è giusto che le sperequazioni vengano segnalate e condannate: ma ci si ricordi che da soli si va forse più veloci, con altri si arriva di certo più lontani.