L’ipermercato è stato un modello vincente nei primi anni Duemila quando lo scontrino della spesa era spesso a tre cifre e il carrello era colmo fino all’eccesso a rappresentare simbolicamente l’iper-consumismo. Ora i nuovi stili di vita degli italiani inducono a lasciare l’automobile in garage e a riscoprire i negozi di prossimità, il supermercato e i minimercati di quartiere dove ci si va solo per le esigenze quotidiane, il discount e i mercati rionali. Contano di più la vicinanza al territorio, un legame più stretto con i piccoli fornitori, una maggiore flessibilità organizzativa dei pdv.
In questo contesto ad essere penalizzati sono soprattutto i due gruppi distributivi francesi Auchan e Carrefour perché hanno una rete di ipermercati diffusa su tutto il territorio nazionale, anche nel Meridione in preda ad un’erosione del reddito senza precedenti e legata molto più ai mercati rionali. Auchan taglia 1.500 posti di lavoro e accumula 112 milioni di euro di perdite nell’ultimo esercizio. Carrefour abbandona il Sud perché non si fanno più utili e perde lo 0,6% di quota di mercato in due anni.
Mentre il cooperativismo di Coop regge, nonostante tutto, alla crisi dei consumi. Anche l’associazionismo dei piccoli imprenditori di Conad resiste alle intemperie grazie alle centrali di acquisto europee e all’aggregazione con altre insegne (leggi Finiper). E poi c’è il modello vincente dei superstore di Esselunga, confinato soltanto in alcune regioni del nord, eppure inarrivabile per la capacità di fare profitti. Potremmo definirla come la rivincita tricolore sui pionieri della grande distribuzione, i francesi, definiti da sempre i migliori per la capacità di fare rete all’estero e supportare i prodotti nazionali grazie ad efficaci economie di scala.