Il recente boom delle microdistillerie artigianali ha alle spalle un ristretto numero di imprenditori che, alquanto a sorpresa per l’epoca, hanno deciso di rivoluzionare la produzione del whisky tornando alle origini. Fra questi merita sicuramente una menzione speciale Anthony Wills, che nel 2005 ha fondato Kilchoman con una scommessa che negli anni si è rivelata vincente. E pensare che erano ben 124 anni che una nuova distilleria non apriva i battenti su Islay, isola scozzese con poco più di 3.000 abitanti nota come la “regina delle Ebridi”.
In un contesto già in grande fermento, in cui ben otto distillerie producevano alcuni dei Single Malt Whisky più conosciuti al mondo: è proprio qui che Kilchoman, la distilleria-fattoria scozzese a produzione circolare, ha deciso di riportare il whisky indietro nel tempo, trasformando la Rockside Farm in una farm distillery a conduzione familiare, in cui ogni stadio della produzione (dalla coltivazione dell’orzo all’imbottigliamento) avviene in casa. Ebbene, ora che l’enfant prodige di Anthony Wills è diventato maggiorenne, questi primi 18 anni di vita di Kilchoman rappresentano l’occasione per fare un primo bilancio e i numeri dimostrano che l’intuizione è stata premiata dai fatti, non solo dalle parole.
Niente, o quasi, è cambiato dal 2005: il fondatore è ancora a capo di Kilchoman come Managing Director, sua moglie Kathy si occupa del visitor center, mentre i loro tre figli James, George e Peter gestiscono le attività commerciali e di marketing dell’azienda. Per gli Wills, insomma, il whisky insomma è una cosa seria e di famiglia. Sarà anche per questa genuinità e autenticità, per il fatto di metterci sempre e comunque la faccia, che Kilchoman ha completato nel 2021 un sostanziale raddoppio della distilleria, raggiungendo una capacità produttiva di 650.000 litri alcol annui e preparando così il terreno per nuovi successi commerciali, oltre a conquistare il palato e le preferenze di tanti whisky lovers in giro per il pianeta.
Il segreto di Kilchoman? In primis la sua gestione artigianale e appassionata, ma indubbiamente anche la grande qualità delle sue materie prime e dinamiche lavorative. Quella rappresentata e importata in esclusiva per l’Italia da Beija Flor è non a caso una delle pochissime distillerie di Scozia a coltivare direttamente il proprio orzo in oltre 220 acri di campi adiacenti, coprendo così circa il 30% del proprio fabbisogno. Curiosamente alla Rockside Farm hanno trovato accoglienza anche 50 bovini Aberdeen Angus e 520 pecore Blackface, che si nutrono – tra le altre cose – dei residui dell’orzo derivanti dalla produzione del whisky. Più circolare di così? Qualche altro dato: ogni acro di terreno porta in dote 2 tonnellate di orzo, da cui sarà possibile riempire 6 barili di distillato. L’orzo matura nei mesi estivi prima di essere raccolto all’inizio dell’autunno, momento che segna l’inizio del processo di produzione del whisky.
Tutta la quota di orzo autoprodotto, che diventerà poi il whisky chiamato Kilchoman 100% Islay, viene girata manualmente su pavimenti di maltazione interni, un processo che quasi tutte le distillerie scozzesi hanno esternalizzato con l’avvento della distillazione commerciale. L’orzo viene poi essiccato per 20 ore a un grado di torbatura di 15-20 ppm (parti fenoliche per milione), contro i 50 ppm del malto acquistato ai Port Ellen Maltings di Islay. Il fumo di torba isolana tipico degli whisky di Islay e ricco di elementi marini, dona i tipici sentori affumicati al chicco d’orzo, che poi saranno ancora vigorosi nel bicchiere dopo tanti anni. La fermentazione è molto lunga, con una media di 90 ore, e determina la formazione di un mosto fruttato e quasi burroso, poiché ricco di esteri e acido lattico, che viene in seguito distillato in due piccoli alambicchi dai colli alti e stretti con un alto grado di reflusso. Il risultato di questo prolungato contatto col rame degli alambicchi porta a un new make spirit pulito e fresco, dove terrosità, fumo, sentori salmastri e leggere note floreali e agrumate stanno in perfetto equilibrio.
A questo punto il distillato viene messo nei barili, che per la maggior parte sono ex Bourbon di primo riempimento della famosa distilleria Buffalo Trace. Ogni barile viene spedito su Islay ancora intero, senza essere smontato: questo implica costi più alti ma anche una maggior espressività del legno stesso durante la maturazione. Oltre ai barili ex Bourbon ed ex Sherry utilizzati per gli imbottigliamenti continuativi della gamma, Machir Bay e Sanaig, Kilchoman utilizza per le edizioni limitate anche legni che hanno conosciuto Sauternes, botti di vino rosso della Valle del Douro, Caroni Rum, Porto e Madeira, solo per citarne alcuni.
A conclusione di un processo perfettamente circolare dall’orzo alla bottiglia, il whisky viene infine etichettato e imbottigliato in loco presso la stessa distilleria, dove è stata creata un’apposita linea di imbottigliamento che coinvolge e motiva ogni giorno diverse persone. In un’industria che ha ormai esternalizzato questo tipo di attività in nome delle economie di scala, anche con questa scelta Kilchoman intende d’altronde ribadire la sua essenza: un distillato fatto dalle persone per le persone, a base appunto di persone, passione e terroir, nel senso più ampio possibile del concetto.
Guarda QUI la puntata di “Whisky for Breakfast” su Kilchoman!