Non è un’invenzione nuova. Le IGA, Italian Grape Ale, birre con il mosto d’uva, esistono già da qualche tempo, forse il primo esempio di minimo avvicinamento tra mondo birrario ed enologico. Si tratta piuttosto di un tentativo di spingersi oltre, di portare a un livello successivo il connubio apparentemente impossibile tra due universi che sembrano opposti. Ed è un tentativo riuscitissimo.
RIBELLE – La mente è quella di Agostino Arioli, fondatore e birraio di Birrificio Italiano e anima ideatrice di Klanbarrique, una sorta di deviazione aggressiva e ribelle. “Non è soltanto uno scambio tecnologico, che permette di comprendere tecniche e lavorazioni. È un intreccio di visioni aperte, libere”. Per portare avanti il progetto, Agostino si è affidato a due enologi di livello assoluto, i trentini Matteo Marzari (Cantine de Tarczal) e Andrea Moser (Cantina Kaltern). “Da birraio posso immaginare tecniche e processi che un enologo non immaginerebbe, e viceversa”. Una fusione perfetta quindi, per avvicinare due mondi apparentemente opposti nel cammino comune verso la ristorazione di qualità.
FERMENTAZIONI BARBARICHE – Lo stesso Arioli vede “un futuro importante nella ristorazione, ancor più di quello riferito all’Ho.Re.Ca, per queste birre”, figlie di fermentazioni barbariche come raccontano il claim e le storie descritte da Klanbarrique con il suo alter ego Banshy, e che sono state proposte in degustazione al Birrificio Italiano lo scorso lunedì, per una dimostrazione di duttilità e versatilità anche in cucina, con la moderazione del giornalista Raffaele Foglia. Per l’occasione è stato infatti coinvolto lo chef Vittorio Tarantola del ristorante Tarantola di Appiano Gentile, che ha ideato e presentato quattro piatti per altrettante birre, a testimonianza di quanto la birra artigianale debba sempre più essere considerata come alternativa validissima al vino, durante un’esperienza al ristorante.
LA DEGUSTAZIONE – Inclusio Ultima, chiamata così con riferimento al metodo produttivo unico targato Klanbarrique, una birra metodo classico con dry hopping in bottiglia, intrigante e di buona personalità, si sposa alla grande con l’esordio di Tarantola: zucca gialla cotta al forno, cotechino, scarola, nuvola di patate bianche e lenticchie chips.
Più complesso l’abbinamento della Wildekind, d’ispirazione belga invecchiata in botti da vino con aggiunta dell’inconfondibile lievito brettanomyces; tradizionalmente coprente e dominante anche all’olfatto, il brett contribuisce invece ad ammorbidire la birra, che fa una figura importante con il risotto alla Wildekind con Blu del Moncenisio ed essenza di barbabietola, ancora di più sul fondo del piatto dove il Blu si concentra.
Stupendo il matrimonio tra la Padosè, metodo classico con un acidulo persistente di ribes nero, e la dolcezza del cervo al pepe nero, salsa ai mirtilli speziata e cipolla arrosto. Splendido.
Fino al dessert, probabilmente la scelta meno azzeccata, con la Moon Share (comunque gradevolissima con le note di barrique a fine ciclo di grappa Riserva 18 Lune Marzadro) proposta in abbinamento a una mela caramellata alle noci, gelato al formaggio fresco di capra, nota di 18 Lune Marzadro e Panettone Tarantola.