Di seguito vengono riportate le valutazioni congiunturali di Federalimentare per il primo semestre 2020 della nostra industria alimentare che, pur mettendo in evidenza una relativa resilienza del settore, evidenza una riduzione della redditività, dovuta ad un “impoverimento” della domanda.
- Ogni settore deve fare i conti con la propria storia, non con quella degli altri. E’ vero che il trend semestrale di produzione del settore segna “soltanto” una variazione tendenziale del -3,3% a fronte del -18,3% dell’universo manifatturiero. Ma questa discesa, per un settore resiliente e anticiclico come il “food and beverage”, rappresenta la peggiore degli ultimi decenni. Dopo la crisi Lehman Brothers il calo della produzione alimentare si fermò al -1,9%.
- Il calo tendenziale del fatturato alimentare di maggio (ultimo mese disponibile) segna un -5,8%, più pesante del trend di produzione. Eppure, i prezzi alla produzione di giugno crescono con un tendenziale del +0,9%, mentre i prezzi degli alimentari lavorati al consumo sono cresciuti con tendenziali del +1,2% a giugno e del +1,0% a luglio. E’ ipotizzabile che il fatturato di settore, dai 145 miliardi raggiunti nel 2019, scenda quest’anno sotto la soglia dei 140 miliardi. In pratica, il fatturato si avvicinerà alla quota di due anni prima e la produzione a quella di un anno prima.
- L’appesantimento maggiore del fatturato è indicativo della nuova “povertà” dei consumi alimentari innestata dal Covid. Essa può essere indicativamente individuata, in grande media, in 2-3 punti percentuali, che sono il differenziale fatturato-produzione.
- Il consumatore italiano ultimamente ha esasperato la tendenza al risparmio emersa in modo strutturale in epoca pre-Covid. Le vendite dei discount alimentari crescono al passo tendenziale del +7%. La pasta, prodotto povero e popolare (in alcuni supermercati è possibile trovare confezioni di mezzo kg. a 39 cent.) sta andando in netta controtendenza. La produzione di pasta del primo semestre cresce del +16%, un tasso mai visto negli ultimi anni. E non basta, perché l’export di pasta dei primi 5 mesi dell’anno sale del +25%! Non sono tassi casuali. Un “ammortizzatore di spesa” come la pasta sta funzionando alla grande anche sui principali mercati europei e negli stessi USA.
- Il carrello della spesa ha perso, quindi, valore unitario medio. E non è più sostenuto “a latere” dal prezioso supporto di Horeca. Il “fuori casa” negli ultimi anni ha compensato l’erosione delle vendite alimentari domestiche ed è 2 stato prezioso per promuovere le eccellenze, vero punto di forza dell’offerta alimentare italiana. · Dietro la resilienza mostrata dal settore con l’indubbio vantaggio comparativo di alcuni suoi parametri congiunturali (anche l’export presenta una forbice premiante rispetto alla media manifatturiera analoga a quella della produzione, con un +3,0% del settore sui 5 mesi a fronte del -16,4% parallelo del manifatturiero) si palesa in sostanza una riduzione dei margini di contribuzione delle aziende alimentari.
- La riduzione dei margini è esplicitata anche dall’andamento dell’export. Nel 2019 il trend in valuta dell’export di settore (+5,2%) si era confrontato con una crescita inferiore in quantità (+3,8%). Si era palesato perciò un apprezzamento medio e indicativo del valore unitario del venduto di circa 1,4 punti. La situazione si è invertita nei primi 5 mesi dell’anno, con un +3,0% in valore, a fronte di un +5,3% in quantità, con una perdita indicativa media stavolta di 2,3 punti.
- Insomma, la vera criticità che emerge, al di là del comportamento “meno peggio” del settore sul piano congiunturale, è quella della redditività. Il fenomeno è amplificato dal prosciugamento di circa metà del canale Horeca, che aveva sempre offerto i margini più interessanti.
- Ne esce che la scommessa congiunturale del food si gioca, semplificando, su due fronti. Il primo è l’irrobustimento della ripresa del canale Horeca. Esso tuttavia difficilmente potrà fare a breve, malgrado i sostegni pubblici di recente messi in campo, più di quanto ha già recuperato nell’ultimo bimestre, col perdurante, netto declino del turismo estero.
- L’altro fronte si gioca sull’alea del contenimento dell’onda di ritorno dei contagi sui nostri migliori mercati di esportazione. Quindi, sulla loro tonificazione e sulla conseguente stabilizzazione e progressiva ripresa dell’export, da tempo unico driver di sviluppo dell’industria alimentare.
- È vero infine che i superdazi americani hanno diradato gli incubi e per l’Italia ad agosto sono stati congelati. Ma non basta. La penalizzazione varata nell’ottobre scorso su una platea di circa 500 milioni di export alimentare sul mercato USA (vero traino di tutto l’export alimentare nazionale 2019) è 3 rimasta. Come rimangono, su questo mercato e nel contesto mondiale, troppe ombre e tanta incertezza.
- C’è da sperare piuttosto che i segnali di disgelo commerciale sulle due sponde dell’Atlantico recentemente affiorati prendano corpo. E questo anche sulla spinta deterrente delle possibili ritorsioni UE collegate all’imminente decisione WTO sull’affaire Boeing, che è favorevole alla UE e fa da contraltare a quello Airbus. Il disarmo commerciale e il ritorno alla situazione “ante quo” darebbe una spinta importante al nostro export e migliorerebbe in modo significativo il clima generale dei commerci.
- In conclusione, si può ipotizzare che, per uscire dall’attuale cavo d’onda congiunturale (e soprattutto per farlo in modo persuasivo e sufficientemente solido), bisognerà aspettare, nella migliore delle ipotesi, fino alla prossima estate. Nel frattempo, occorre puntellare e sostenere al massimo l’esistente, ad evitare che ulteriori ammaloramenti della situazione compromettano l’entità e i futuri tempi di recupero. Il realizzarsi di questa eventualità rappresenterebbe un prezzo insostenibile per un sistema come il nostro, colpevolmente attardato da troppo tempo in tema di produttività e sviluppo.
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