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Serviva una flotta di giovani per dare il giusto risalto a una denominazione, anzi due, che, tra ragione e sentimento – potremmo dire – non mette la testa sul cuscino, in favore del lavoro, da qualche anno? Decisamente sì. La passione, la grinta e la voglia di rivoluzionare tutto è più forte. Non si vuole fare la guerra a nessuno, si vuole, e si riesce, a prendere per mano tutti coloro che desiderano vedere le denominazioni del nord-ovest del Piemonte, Erbaluce e Carema, che si sviluppano in quella nota come Serra morenica, posizionate nel mercato a un altro, alto, livello. Un obiettivo che deve partire da una presa di coscienza delle capacità e della qualità delle due bacche, qui protagoniste, che si riflettono in nobili e longevi bicchieri: un bianco e un rosso, quest’ultimo a base di nebbiolo, il Picotener, il cui grappolo è di forma piccola. Piccola come un pugno.
Dopo anni senza una direzione, obiettivi chiari e definiti, è arrivata l’Associazione Giovani Vignaioli Canavesani, nata nel giugno del 2020, a dare un nuovo slancio, una nuova rotta. L’entusiasmo è nell’aria, esplicitato nell’emozione di Vittorio Garda, enologo al comando del gruppo che racchiude 20 aziende, all’apertura dei lavori della prima edizione di ReWine 2021, evento dedicato ai vini del Canavese, patrocinato dai comuni di Ivrea e Borgofranco d’Ivrea. “Quello del canavese è il luogo perfetto per i giovani che vogliono investire e credono nel vino, c’è spazio e potenziale. Il futuro vede aziende economicamente ed ecologicamente sostenibili.”
E non ha torto, questa terra, circondata dall’anfiteatro morenico è stata un tempo la culla di migliaia di ettari vitati che blandivano i palati della prima capitale d’Italia ma sopratutto del canavese.
UN CONVEGNO E UNA VERTICALE PER RIFLETTERE SU OPPORTUNITÀ E MINACCE
“Il ruolo della viticoltura canavesana in un clima che cambia”, moderato da Daniele Lucca, ha visto la partecipazione di Camillo Favaro (produttore di Erbaluce), Walter Massa (produttore di Timorasso), Fabio Zanzucchi (commerciante di vini), Mauro Carosso (delegato AIS Torino), Maurizio Gily (agronomo), Vincenzo Gerbi (enologo), Caterina Andorno (imprenditrice) e Mauro Giacomo Bertolli (giornalista di vino); presso il Teatro Civico Giuseppe Giacosa di Ivrea si sono elencate le criticità e le opportunità dell’Erbaluce e del Carema: da un lato, i relatori hanno spronato i produttori invitando ad aumentare i prezzi – decisamente troppo bassi rispetto alla qualità dei vini e le ore di lavoro – e dall’altra, i produttori pensano al futuro e chiedono alle vecchie generazioni di uscire dal proprio guscio per confrontarsi.
L’Erbaluce è un’uva plastica, acida, e dalla buccia spessa. Naturalmente in grado di adattarsi al cambiamento climatico; il nebbiolo di Carema, invece, prodotto in altezze importanti (fino agli 800 metri s.l.m.) e tra i muretti a secco, giova dei boschi e delle escursioni termiche. Ecco da dove nasce l’esigenza, trasformata in possibilità, di costruire un dialogo per l’intera comunità e riflettere sulle reali potenzialità di crescita, i giovani prendono ad esempio il caso di successo dei Colli Tortonesi. Ma il convegno presso quella ribattezzata come la capitale del vino canavese, non è stato l’unico momento di analisi nell’ultimo weekend di giugno 2021.
I giovani canavesani sognano di volare in America e presentarsi ufficialmente in quello che è, di fatto, il mercato principale per le produzioni enoiche del Belpaese. E se ad oggi il totale delle aziende rappresentate dall’associazione arriva a coprire 52 ettari vitati, un numero che, sebbene rispecchi il 10% delle superfici iscritte alle Doc e Docg, l’idea, e l’ambizione, mai celata, è quella di stimolare altri produttori a investire sull’Erbaluce, la denominazione che sicuramente ha più bisogno di essere rimessa in luce e in discussione. E allora quale modo migliore, se non una verticale, per far allucciolare i pensieri? In batteria arrivano 19 vini, alla cieca – al buio – per non influenzare il parterre chiamato a degustare, e dal 2017 al 2000 si fa un viaggio incredibile con l’Erbaluce e le diverse zone di produzione. Si percepiscono quelle un po’ più “classiche”, Caluso e San Giorgio; calore, materia e pienezza. L’uso del legno sembra influenzare di più.
È un’aposiopesi che viene smentita con il vino che, senza dubbio, lascia tutti basiti: è il Misobolo 2000 di Ciek, pare un vino di Borgogna. Non si vede la fine, è tutto in regola: balsamicità, freschezza, magnolia e cenni appena sussurrati di burro. Una significativa ed esaustiva dimostrazione di come non si conosca ancora il potenziale di invecchiamento dell’Erbaluce. Ma la si conferma. E pare poco?! Siamo al cospetto di un bianco che può competere e giocarsela con le altri grandi uve italiane e del resto del mondo enoico, e che fanno della longevità il loro punto di forza. E poi c’è la zona di Piverone, forse la più eletta, e che, complice anche il cambiamento climatico, restituisce delle acidità naturali – da tutti ambite e ricercate oggigiorno – sensazioni iodate che incasellano e spingono la polpa in un travolgente sorso; è come se il succo, solo dopo anni di affinamento in vetro riuscisse ad avere la meglio su quella parte dell’anima combattiva che sceglie, poi, di cedere e fondersi trasudando così una forza della natura, un rubesto ruscello d’acqua, quell’impeto della gioventù diventa stabilità e ampiezza. Avviene con i vini de La Masera (2015), Camillo Favaro (2014) e Crosio (2001) invero di Caluso. Ma a fianco di questa imperiosa e romanitca uva c’è il piccolo grande gioiello Carema, vino prezioso che ha portato alla ribalta il senso del gruppo dei produttori dell’Associazione Giovani Vignaioli Canavesani. Vigne terrazzate salgono fino a 800 metri, molte ancora potrebbero essere strappate al bosco o essere risistemate tra le case del piccolo paese che da il nome a questo incredibile vino.
Un patrimonio, quello dei piloni e muretti a secco che va protetto e tutelato per non veder depauperato un paesaggio così tanto meraviglioso e tipico. La vera rivoluzione del canavese si può dire essere partita proprio da Carema le cui produzioni scandiscono inequivocabilmente le stilistiche e l’approccio produttivo delle cantine. Impostazioni più classiche, per vini più austeri e coriacei, da parte delle aziende più storiche, come la Cantina produttori di Carema e Ferrando, a cui si affiancano la più giovane e promettente realtà Muraje. Mentre per Sorpasso, Monte Maletto e Chiussuma il frutto e l’energia sono sempre in primo piano, a dimostrazione di una vigoria e di una magna eleganza e finezza. Caratteristiche racchiuse come mai prima nella annata 2018.
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