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Una notte di luglio tre frati raccolsero i migliori germogli del loro orto e mangiarono e bevvero tanto da iniziare a cantare e ballare senza sosta. Ancora oggi, nell’antica Abbadia Isola a Siena, l’11 luglio è possibile sentire gli echi dei frati inebriati dai frutti della loro terra. Il progetto “La Leggenda dei Frati” di Filippo Saporito e Ombretta Giovannini nasce proprio da qui, da una leggenda che lo chef, sua moglie e il loro abile staff sono riusciti a tenere viva negli anni direttamente con la loro cucina. Ricetta dopo ricetta, piatto dopo piatto.

Un centro quotidiano di ricerca e sperimentazione sulla gastronomia toscana, piuttosto che un semplice ristorante, che da Siena è passato presto a Firenze, trovando il suo “luogo nel mondo” nel suggestivo giardino di Villa Bardini e nelle vecchie scuderie della dimora del collezionista d’arte Stefano Bardini, dalla cui terrazza si può ammirare la città con una prospettiva davvero unica. Ma dietro al successo consolidato (e non a caso stellato) de “La Leggenda dei Frati”, oltre alla location, c’è ovviamente molto di più. Ci sono piatti tanto belli quanto buoni, un’ambiziosa carta dei vini, un pastry chef di alto livello quale Gabriele Vannucci e una progettazione dettagliata che vuole esaltare – in tutto e per tutto – l’esperienza del commensale. Sempre unica, speciale, indimenticabile. Proprio come ci ha raccontato lo chef Filippo Saporito nella bella chiacchierata concessa a Beverfood.com per parlare di ripartenza, di convivialità e, finalmente, anche di normalità.

“Lasciatemi dire prima di tutto il resto che io e mia moglie Ombretta ci sentiamo molto fortunati a lavorare in questo sontuoso giardino dentro Villa Bardini”, esordisce ai nostri taccuini il celebre chef stellato e docente. “Per chi non lo sapesse, la prima struttura architettonica di Villa Bardini risale al Rinascimento e oggi è Museo d’Arte, si trova a due passi dal Ponte Vecchio ed è avvolta da un giardino composto da quattro ettari di bosco e orto frutteto, affiancati dalle mura medioevali della città. Il giardino Bardini non è quindi soltanto sinonimo di natura, ma anche di cultura, arte e storia. Situato tra Costa San Giorgio e Borgo San Niccolò, preserva nel cuore di Firenze un luogo incontaminato come pochi. Le due sale principali del ristorante si trovano nella scuderia della villa, abitata un tempo dal collezionista d’arte Stefano Bardini, e sono arredate con opere d’arte contemporanea scelte dalla collezione della Galleria Continua di San Gimignano. Dai tavoli si può ammirare un panorama unico sulla città, che fa capolino dalle immense finestre, e tra la vegetazione (attenti allo spoiler perché ci ritorneremo più avanti, ndr) – si intravede pure il mio orto segreto”.

Come si sposa la sua filosofia culinaria con questo autentico locus amoenus in vetta a Firenze?
“Nel mio ristorante voglio esprimere una cucina totale e conviviale, in cui la bellezza del pasto non risiede solo nel cibo, bensì nell’armonia scaturita dall’incontro tra sala e cucina, chef e ospiti. Quello tra cucina, arte e natura è un trinomio che funziona, laddove la cultura culinaria trova la migliore collocazione in un luogo ricco di storia. Penso a una cucina totale che vuole che l’equilibrio del pasto non risieda solo nel cibo tout-court ma in uno scambio di amorosi sensi derivante dall’incontro tra cultura, natura, produttori e cucina. Natura, mito, arte, saper fare e cultura territoriale si riuniscono insieme agli ingredienti sulla tavola della nostra ‘Leggenda’: io e mia moglie Ombretta abbiamo la fortuna di vivere in una terra meravigliosa come la Toscana, dove le ispirazioni arrivano per esempio dalla nostra rete di produttori e allevatori d’eccellenza, o dall’incontro con persone come Simone Moschini, agricoltore naturale esperto di erbe e ortaggi tradizionali, antichi e in alcuni casi dimenticati e recuperati col quale abbiamo avviato un progetto davvero interessante”.

Ci ha bruciato proprio la prossima domanda: ci racconta meglio il progetto “Manna Organic”?
“Con Simone abbiamo creato proprio nel giardino della villa uno spazio dedicato alla coltivazione di erbe selvatiche, fiori edibili e ortaggi che vengono usati per i miei piatti. Mi riferisco ad esempio alla menta pepe (balsamica, profumata e resistente), alla verbena cedrina (limonata, coriacea e dolce), alla basella rubra (croccante, sapore ferroso, succosa e oleosa al palato), al mimolo fresco (note di bosco nella foglia) o alla mertensia maritima (salina al sapore di ostrica, fresca, croccante). Questo progetto ci garantisce quotidianamente delle erbe incredibili, vere gemme che ricevono attenzione in ogni piccolo gesto dalla raccolta alla consegna”.

Territorialità e genuinità, d’altronde, sono due elementi fondanti del menù del suo ristorante.
“Sono d’accordo. Il menù de ‘La Leggenda dei Frati’, oltre che à la carte, si divide in due menù degustazione dedicati uno alla storia del ristorante (il menù ‘Per noi classici’) e uno al suo presente (il ‘Gran Menù dei Frati’). Tra i piatti storici, non posso non menzionare ‘La terrina di fegatini’, in carta dal 2004, ma anche il ‘Raviolo di cipolla’ e la ‘Tartare di manzo’. Fra i nuovi piatti, già comunque diventati dei classici parimenti conosciuti, dico invece ‘Gambero rosso di Mazara’, ‘Chitarra di farro integrale’ e ‘Cappelletti ripieni di erbe selvatiche’. Tutti i nostri piatti, parlando più in generale, rendono omaggio alle materie prime scelte con cura e ciascuna con la propria storia. Una volta messi in bocca dagli ospiti, è lì che gli ingredienti prendono senso, insieme al mio mestiere che è quello di creare piatti e comporre alchimie che nutrono le persone facendosi parte di loro per sempre. Quello del cibo è un gesto d’amore silenzioso sul piatto, ma saturo di meraviglia”.

Da dove nasce la sua passione e quali sono stati i suoi modelli di riferimento?
“La mia propensione alla professione di chef è nata da piccolo, attraverso un istinto e un’attrazione forte verso il gusto e la trasformazione della materia prima. Racconto spesso di avere sempre avuto una buona capacità di lavorare con le mani gli ingredienti, nonché una smisurata curiosità nel testare differenti gusti. Detto più semplicemente: sono sempre stato un gran goloso, sempre alla ricerca di nuovi gusti. Se lo ricorda ancora mia madre Sestilia, che da piccolissimo mi dovette portare all’ospedale dopo che avevo bevuto di gusto un flacone di sciroppo raggiunto nella dispensa con l’aiuto di due sedie fino ad arrivare all’altezza dello scaffale più alto, attratto dal sapore dolce della fragola (ride, ndr)… Sono certo che siano state proprio questa voracità e curiosità nel mangiare a portarmi a scegliere di frequentare la scuola alberghiera, dove ho poi conosciuto la mia compagna di avventure: Ombretta”.

E le sue ispirazioni?
“Sia io che Ombretta consideriamo Gaetano Trovato il nostro maestro. Siamo concittadini, entrambi di Colle Val d’Elsa, ma non avevo mai osato pensare di poter lavorare con lui. Un giorno però mi sono fatto coraggio e gli ho mandato il mio curriculum, pur senza aspettarmi grande considerazione. Invece sono stato preso subito, e con me anche Ombretta, una delle poche donne a essere passate dalla gloriosa cucina di chef Trovato. Sono stati anni meravigliosi per me, con i due fratelli ho imparato moltissimo… Persino a coniugare un altro tratto che ci accomuna, ovvero le duplici radici toscane e siciliane che porto anch’io – così come loro – nel mio DNA”.

La stella Michelin è solo uno dei tanti prestigiosi riconoscimenti arrivati in questi anni. Se si guarda indietro, qual è secondo lei il segreto del successo de “La Leggenda dei Frati”?
“Il successo del ristorante è fatto non da una singola persona ma da un gruppo coeso di professionisti che hanno in comune l’amore per la materia prima e la sua lavorazione. Io e mia moglie siamo molto fortunati, perché siamo quotidianamente affiancati in cucina da una brigata affiatata, composta – tra gli altri – dal sous chef Dario Messina e dal pastry chef Gabriele Vannucci, mentre in sala dal fedele Nilappana Joseph Jenson e da Dalma Velo”.

Tutti uniti dalla passione per il buon cibo, ma anche per il design del food (anche grazie alla speciale collaborazione con la Food Designer Ilaria Legato).
“Fare food design significa dare forma a un’esigenza dei clienti legata sì al nutrimento, ma anche a tanto altro. Il cibo ha una valenza fisica e pure simbolica, significa condivisione di rituali e cultura. Poi occorre considerare l’etica che c’è dietro, legata a considerazioni ambientali, sociali, tecnologiche. L’approccio del cuoco oggi deve essere quindi estremamente consapevole perché dietro ogni ingrediente ci sono produttori, realtà, tecnologie diverse. Dietro a ogni piatto ci sono esigenze di nuovi modi di consumo del cliente. La parte estetica del piatto nel food design è il risultato di un processo che in primis considera tutti i bisogni dei clienti e dell’ambiente, per poi permettere loro di soddisfarli attraverso nuovi modi di consumare le pietanze. Momenti densi di senso, che tengono conto del circolo virtuoso necessario alla sua realizzazione consapevole”.

Chiosa, inevitabile, sull’emergenza che speriamo di esserci messi definitivamente alle spalle: come vi siete reinventati e su cosa avete maggiormente puntato in questo specifico periodo?
“Il blocco a causa del Covid è stato per il gruppo di lavoro un’occasione per progettare il nuovo servizio e il nuovo menù. Momenti di confronto e formazione che sono diventati oggi una consuetudine bisettimanale di incontri, allargati spesso anche alla rete dei fornitori. Abbiamo lavorato per rafforzare la motivazione dello staff attraverso specifici workshop, incentrati sulle soft skill, quelle qualità relazionali di ciascuno che devono trasparire attraverso gesti e dettagli al di là della barriera della mascherina che diventa invece un’opportunità per sorridere ancora meglio con gli occhi. Ci tengo a precisare infine che le mascherine sono state realizzate ad hoc con tessuti in linea dalla stessa azienda che ha disegnato e produce le divise del ristorante e che veste anche tutti i giocatori della squadra di calcio A.C. Fiorentina, la ‘Sartoria Montezemolo’, creando un circolo virtuoso di partecipazione della rete intorno al locale”.

laleggendadeifrati.it/

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