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Per essere un cocktail celebre per il suo aspetto cristallino e splendido, il Martini – mix perfetto di gin (almeno tradizionalmente) e vermouth – ha una storia quanto mai opaca. Con il suo ultimo libro “Martini: riflessioni sul drink migliore del mondo, con ricette”, lo scrittore Robert Simonson si tuffa completamente in questo cocktail iconico: “Non esiste un’origine chiara e definita, probabilmente è nato in più posti contemporaneamente, appena i bartender si sono resi conto che gin e vermouth vanno bene insieme”.
Storicamente esistono una miriade di varianti: qui di seguito ci sono le sei cose che possiamo dare per certe e vanno assolutamente tenute a mente.

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IN PRINCIPIO ERA DOLCE – In qualsiasi libro di ricette del diciannovesimo secolo non troverete gin e vermouth, piuttosto ingredienti ben più dolci. Nel volume del 1891 “Cocktail Boothby’s American Bar-Tender,” gli ingredienti per un Martini sono così elencati: ghiaccio, 4 gocce di Angostura bitter, 1/2 jigger di Old Tom gin, 1/2  jigger di vermouth italiano dolce; twist di limone, stir and strain. Che è particolarmente simile al Martinez.

IL MARTINEZ È UN CUGINO MAGGIORE – O una sorellina del Manhattan? A voi la scelta, di certo il Martinez è strettamente legato al Martini. La lista di ingredienti è pressoché uguale a quella presentata sopra, con l’aggiunta di liquore al maraschino per dolcezza e acidità. Sono gusti.

LA DISPUTA DEL GARNISH – Un twist di limone? Un’oliva? Una cipollina? Un’oliva ripiena di cipollina? Magari del formaggio? Di certo le opzioni abbondano, e i Martini moderni si stanno sempre più avviando sulla strada di piaceri personali e variabili. “Nelle ricette antiche si può tranquillamente trovare una ciliegia come garnish. All’inizio del ‘900 si è passati definitivamente a sapori più secchi”, dice Simonson. “Da allora la battaglia è tra limone e oliva, con quest’ultima a vincere il più delle volte, probabilmente anche per l’immagine iconica del drink. Il limone è per gli epicurei, per chi apprezza a fondo i sentori del gin”.

GIN. PUNTO. – Sì, la vodka piace a tanti, e se vi piace così mettetevela anche nel Martini, perché l’importante è bere contenti. Ma sappiate una volte per tutte che è il gin il distillato genitore del cocktail, e con l’abbondanza odierna di gin di qualità, è il momento perfetto per assaggiarne di più svariati.

È MESCOLATO, NON AGITATO – Che James Bond non si offenda, ma shakerare il Martini vuol dire perderne la chiarezza estetica e annebbiarlo con minutissime scaglie di ghiaccio. Il drink dovrebbe essere cristallino, è parte del suo fascino, e soprattutto il ghiaccio per quanti in pezzi minuscoli contribuisce ad annacquarlo. Se mescolato correttamente, il Martini è già di suo alla perfetta diluizione, dopo 20 o 30 secondi di stir.

LE PROPORZIONI LO RENDONO PERFETTO – Cos’è un Perfect Martini? Parlatene con il vostro bartender di fiducia, perché anche in questo cominciano a esserci troppe filosofie. Ma il Perfect originale è fatto da parti uguali di gin e vermouth, con la parte di vermouth perfettamente divisa tra sweet e dry.

Fonte: liquor.com 

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