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L’evoluzione del packaging di acqua confezionata in direzione di una migliore sostenibilità


Il recente report dell’Ufficio Studi di Mediobanca sulle acque confezionate fa anche il punto sul packaging utilizzato dall’industria e riassume le tendenze in atto rivolte al miglioramento della sostenibilità del settore.

 

 

Un importante driver dei consumi di acqua confezionata è da ricondurre all’introduzione delle confezioni in PET (polietilene tereftalato) che dai primi anni ’90 hanno agevolato il trasporto dell’acqua sia nella vita quotidiana che nel commercio internazionale. L’industria del PET ha progressivamente sofisticato la propria produzione conferendo alle bottiglie caratteristiche di sempre maggiore eco-compatibilità e leggerezza, tanto che nel tempo il peso delle bottiglie in PET si è ridotto tra il 30% e il 40%.

Inoltre, il packaging rappresenta un rilevante fattore di comunicazione con il consumatore. Esso può veicolare un messaggio prevalentemente estetico (design, etichettatura e presentazione, anche attraverso il fardello esterno con cui le confezioni vengono vendute), ma anche di impegno all’ecocompatibilità e alla sostenibilità. Tale ultimo fattore è divenuto di grande rilevanza in quanto l’industria dell’acqua imbottigliata ha dovuto fronteggiare, e tuttora fronteggia, posizioni di ispirazione ambientalista che sostengono la necessità di disincentivarne l’uso a favore dell’acqua di rubinetto, additandone il modesto rispetto dell’ambiente. Ciò per motivi legati a impatti ecologici, soprattutto in termini d’inquinamento prodotto dalle bottiglie di plastica, di spreco di risorse idriche nel processo di produzione e di depauperamento delle fonti.

 

 

Con riferimento alle bottiglie in PET l’impegno dell’associazione dei produttori europei europea (EFBW, ora NMW) è quello di arrivare al 2025 al 90% nella raccolta differenziata di PET e raggiungere il 25% di bottiglie ricavate da riciclo. Alcuni produttori hanno introdotto plastiche biodegradabili (bioplastica vegetale), le lattine in alluminio o i brick riciclabili derivati dalla carta; con riferimento all’uso delle risorse idriche, l’attenzione si concentra sul fatto che anche le migliori pratiche produttive internazionali comportano il consumo di 1,6 litri di acqua per ogni litro imbottigliato; Salubrità del prodotto: qui il riferimento è soprattutto al possibile  rilascio di microparticelle di plastica da parte delle bottiglie la cui shelf life è di circa 18 mesi.

I Paesi del Centro e Nord Europa segnano livelli di avvio al riciclo mediamente più alti, con la Germania che tocca il 95%. L’Italia segna il 46%, non lontano dai livelli della Francia al 47% e davanti alla Polonia (43%) e alla Spagna (37%). Vi è evidenza circa il fatto che il sistema del vuoto a rendere agisca come acceleratore delle quote di riciclo

 

 

Da quanto esposto discende la necessità per l’industria delle acque confezionate di operare su almeno tre fronti:

 

Sotto questo profilo, sono oggetto di attenzione la produzione ma soprattutto la logistica, poiché la rete distributiva dell’acqua comporta un’attività di trasporto molto intensa, svolta prevalentemente su gomma, necessaria per il prelievo dal punto di produzione e la consegna a quello di vendita, e ciò sconta un notevole ingombro a fronte di un valore unitario modesto. Il costo della logistica, anche in termini di occupazione degli spazi espositivi all’interno della grande distribuzione, rappresenta la principale voce di costo che si frappone fra il prezzo di vendita al produttore e quello al dettaglio.

 

Fonte: Studio Acque imbottigliate di Mediobanca Area Studi
www.areastudimediobanca.com

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