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Vorremmo dare un’idea di marketing a quanti stanno vendendo caffè con palesi note di terra, legno marcio, fenico, medicinale, odore di tappo, paglia e simili. In questo momento pare che questi caffè stiano avanzando a macchia d’olio sul mercato, non tanto perché richiesti dal consumatore, quanto sotto la spinta di ridurre l’incremento che c’è stato nei prezzi del verde, un aumento che ha colpito molto di più le qualità pregiate rispetto a quelle di basso profilo. Insomma, ci dispiace molto sapere che i soliti torrefattori, che fanno qualità elevate, possano farsi belli e avanzare richieste di aumenti di prezzo al barista, accampando serie e documentate politiche di acquisti costosi, per lasciare quanti puntano solo sul prezzo in una specie di ghetto che deve difendersi dicendo: “tanto il consumatore non capisce nulla di caffè, quindi vai tranquillo che non perdi clienti”. Riteniamo che anche le aziende che non perseguono un obiettivo di qualità possano vantare quarti di nobiltà e giustificare le loro scelte non solo in funzione del “te lo do a un buon prezzo”.

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Avete presente i whisky iodati, quelli che sanno di fenolo e di farmacia? Pare che abbiano avuto origine da una avaria durante il processo produttivo. Ai consumatori non piacevano, ma quelli del marketing hanno trovato un’ottima spiegazione: siccome i magazzini di invecchiamento sono per lo più poco distanti dal mare hanno cominciato a dire che prendevano il sentore iodato tipico marino. Un altro esempio eclatante l’avevamo nei vini della Rioja: per un’infezione delle botti da parte di un lievito brettanomyces in loro era presente la nota classificata come cavallo sudato o bretty che, a lungo andare, era stata considerata tipica e come tale veniva venduta. E, per finire, nei primi anni Ottanta un grappaiolo si trovò con una partita di grappa che sapeva di muffa, un difetto praticamente impossibile da eliminare, non si riesce neppure con la distillazione. La mise in commercio con il nome di Muffita. Ora, per il caffè si è cominciato a parlare di accento vietnamita. Non ce ne voglia il Vietnam, nostro fornitore sempre più importante, se ci permettiamo di citare questa chiacchiera, perché di caffè con tricloroanisolo e geosmina ne stiamo ricevendo da molte parti del mondo. Però potrebbe essere un’idea del marketing quella di dare dignità di origine o attraverso il naming* a questi caffè in circolazione. Per esempio si potrebbero presentare sul mercato prodotti chiamati corteccia umida, sottobosco, caffè della cantina (umida), terra dopo la pioggia e via discorrendo. Insomma, se questi prodotti trovano così buona accoglienza sul nostro mercato, perché non dare loro dignità conferendo all’operazione la dovuta trasparenza nei confronti del consumatore?

Nota di di Luigi Odello (Presidente dell’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè e professore di Analisi sensoriale alle Università di Udine, Verona e Cattolica di Piacenza), pubblicata su www.coffeetasters.org/newsletter/it/

(* ) Ndr: per questi tipi di caffè l’operazione di naming più appropriata DOVREBBE ESSERE quella utilizzata dal grande Totò nel film “I due marescialli”: www.youtube.com/watch?v=7kYX0vyCTpM&feature=related

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