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Tornare a casa ubriaco, da ragazzino, e non avere la preoccupazione di due genitori bellicosi. Un bel sogno per qualsiasi teenager, eppure realtà concreta per l’allora sbarbato Ohm Suansilphong, oggi chef e co-proprietario del Fish Cheeks di New York. Il merito della sua immunità alle arrabbiature familiari? Il Mekhong, il distillato nazionale della Thailandia.
Suansilphong ha raccontato l’aneddoto a Liquor.com; Mekhong e soda, per la precisione, furono gli ingredienti della sua prima sbronza. Tornato a casa barcollando, i genitori non poterono fare altro che chiudere un occhio: “Che altro avrebbero potuto dirmi? Il Mekhong era il prodotto che vendevano di più”. Suansilphong proviene da una famiglia di mercanti cino-thailandesi di Sukhothai, cinque ore a nord di Bangkok. L’attività dei genitori, avviata in realtà dai nonni, vendeva un po’ di tutto, e parecchio Mekhong.
In soldoni, uno spiced rum: il Mekhong vide la luce nel 1941 in una distilleria che un tempo apparteneva al governo thailandese, e prende il nome dal fiume che scorre dalla Cina al Vietnam, passando per Myanmar, Laos, Cambogia e ovviamente Thailandia, della quale è il distillato nazionale ufficioso. Si distilla per il 95% da melassa e per il 5% da riso, poi mescolato con erbe locali, spezie e addolcito con miele; caratteristica distintiva del prodotto, un colore ambrato, figlio dell’aggiunta di caramello e non, come molti credono, di un particolare invecchiamento in botte, che spesso porta i bevitori a ritenerlo un whiskey.
“Il colore bronzeo porta i consumatori ad associarlo al Johnny Walker”, racconta Suansilphong. “Per una vita è stato considerato come un whiskey, e bevuto come tale”. Il Mekhong è storicamente etichettato come una bevuta da vecchi o ideale per studenti a corto di risorse. “Al college, se i tuoi genitori ti mandavano del denaro, bevevi scotch a inizio mese e birra e Mekhong alla fine”. Ai tempi dell’università di Suansilphong, le abitudini di consumo non si discostavano dal whiskey e soda, whiskey e cola, birra. Il movimento del bere miscelato è piuttosto giovane in Thailandia, e per quanto abbia iniziato a manifestarsi soprattutto in bar d’albergo e ristoranti di alta fascia, prende in prestito tradizioni e usi dal mondo occidentale.
“Non esistevano menu con distillati autoctoni, tutti cercavano di ricreare atmosfere di Londra o New York. Noi siamo stati i primi a celebrare le nostre radici”, spiega Asawin Rojmethatawee, proprietario del Tep Bar, nella Chinatown di Bangkok. Il Tep Bar ha aperto i battenti nel 2015, descritto come bar culturale thailandese, punto di riferimento per drink, decorazioni, strutture, musica e cibo del luogo. È quindi qui che si trovano vini di riso, rum Phraya e per l’appunto Mekhong, tra i vari altri distillati disponibili.
Non fu tutto oro all’inizio, Rojmethatawee era riuscito a convincere un solo investitore, e addirittura la sua stessa madre aveva pronosticato appena sei mesi di attività, prima del fallimento: “Potevamo permetterci appena 12 bottiglie di Mekhong all’epoca (costano 4.000 bath a cassa, 115 euro), avevamo bisogno di finanze”. Nonostante le funeste previsioni della signora, il Tep Bar è decollato, e grazie ad esso il Mekhong e altri distillati thailandesi hanno cominciato ad emergere come prodotti di fino nelle drink list di tutto il mondo. In qualsiasi momento, Rojmethatawee implementa almeno quattro drink a base di Mekhong nei suoi menu, la maggior parte dei quali si abbinano ai frutti esotici del luogo, come guava, lychee, mangostano o frutto della passione. Il Moschettiere, ad esempio, è fatto con Mekhong infuso all’uva spina, foglie di lime kaffir, chiodo di garofano e tonica. “Ideale per le nostre temperature”.
In controtendenza con le mode mondiali, il Tep Bar non serve cocktail classici, con un’unica eccezione: il Mantra, nato per riparare alla richiesta di un famoso bartender appassionato di Negroni, che una sera si era affacciato al bancone. Ligio alla professionalità e al dovere dell’ospitalità, uno dei barman del Tep miscelò allora Campari, vermouth dolce e Mekhong infuso allo zenzero e ai datteri: i primi clienti definirono l’aroma “insopportabile”, ma alcuni trucchi, come l’aggiunta di bitter alle erbe, hanno poi lanciato il cocktail come protagonista assoluto nel menu.
E di fatto, adesso il palcoscenico è il mondo intero. Al Mahaniyom di Boston, il proprietario Boong Boonnak ha lavorato per una thailandizzazione di cocktail classici: un Sazerac infuso al tè thai, un gin tonic al crisantemo, un Aviation con estratto di fiori eduli. Bar giovanissimo, aperto da pochi mesi, eppure già in rampa per diventare punto di riferimento della cultura thailandese negli Stati Uniti. L’obiettivo: “Sto cercando di convincere il mio distributore ad aggiungere il Mekhong nel suo portfolio…”. Secondo Rojmethatawee, il Mekhong dà il meglio se utilizzato con l’anans, oppure infuso con frutti tropicali, e ancora come sostituto della cachaça.
Suansilphong, che è prima di tutto uno chef, sostiene inoltre che i toni fruttati e freschi del distillato si accompagnano perfettamente a una cucina sfrontata e speziata, come sa essere quella thailandese. “È una relazione naturale, il Mekhong lavora benissimo con ingredienti gentili ma di carattere. Anche se bevuto liscio è imbattibile”. Consiglio accettato?
fonte: liquor.com
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