Chissà quante volte nella storia, due amici a fine serata, magari dopo qualche birra hanno avuto la stessa illuminazione: “dovremmo aprire un bar tutto nostro!” dice il primo “è un idea grandiosa, facciamolo!” risponde il secondo. Un sogno che dura una frazione di secondo, per poi andare a dormire e ricominciare la propria vita la mattina dopo, nell’esatto punto in cui la si era lasciata.
Questa intervista, la prima di questa rubrica ad avere due protagonisti, è la storia di due uomini che lo hanno fatto davvero. Due uomini che hanno voluto inseguire un sogno, e per farlo hanno cambiato città, lavoro, e rischiato diventando imprenditori e padroni di se stessi. Una storia di coraggio che tre anni dopo li vede ancora li, senza nessun rimorso, e con lo sguardo sempre puntato sul futuro.
Ci sono uno Spezino e un Pisano a Lucca… sembra l’inizio di una barzelletta, invece è la vostra storia! Forse per capirla per bene è meglio cominciare dall’inizio: come vi siete conosciuti?
Tommaso: La vera domanda non è “come”, ma “dove”! Questa storia inizia alcuni anni fa nell’unico posto dove poteva capitare, ovvero al bancone di un bar. Si trattava di un locale che io frequentavo molto l’estate, e dove Marco era appena arrivato. Era li per la stagione e a prima vista mi sembrò uno che faceva quel mestiere solo per tirare su qualche soldo per le vacanze. Non dovevo essere stato l’unico ad aver avuto questa impressione. Infatti i suoi nuovi colleghi mi chiesero (visto che io ero un cliente fisso, da sempre appassionato di cocktail) di andare a fargli qualche richiesta complicata per metterlo in difficoltà. Sono andato lì, ma la reazione non è stata quella che mi aspettavo! Mi ha dimostrato di sapere perfettamente di cosa parlavo, e quando per motivi tecnici non gli era possibile esaudire la richiesta mi proponeva varianti sul tema estremamente interessanti. È stato l’inizio di una stima reciproca, sfociata poi in amicizia.
Un amicizia molto solida visto che ora siete comproprietari di un Cocktail Bar a Lucca…
Marco: L’idea è nata un anno dopo il primo incontro, in un pub dopo qualche birra. Detto così sembra che ci siamo improvvisati, ma abbiamo fatto tutto estremamente sul serio, mettendoci il nostro capitale (quello che avevamo e quello che non avevamo) e lasciando i nostri lavori precedenti per aprire il Franklin’33.
Tommaso: Io all’epoca lavoravo in una multinazionale, nella parte amministrativa, il tipico lavoro sicuro per il quale le persone farebbero carte false. Quando una mattina sono entrato nell’ufficio del mio capo ho dato le dimissioni mi ha detto “si, ok, per domani servirebbe…”. Non ci ha creduto fino a che non ha visto il progetto del commercialista!
Facevate sul serio quindi! E tornando alla domanda iniziale, come mai Lucca?
Tommaso: Noi siamo di Pisa e La Spezia. Quando siamo partiti, abbiamo fatto una vera e propria ricerca di mercato, di Geomarketing. Abbiamo preso in considerazione una zona d’interesse che partiva dalla Liguria fino ad arrivare alla bassa Toscana. Non ha senso aprire il locale più bello del mondo sotto casa, se poi non c’è modo di farlo funzionare.
Marco: Noi non siamo di Lucca, ma qui ci sentiamo a casa ormai, anche se all’inizio è stato difficile. Lucca è una città ricca e colta, c’è una ricerca intellettuale anche sulla cucina e sul bere. È una piazza difficile, all’inizio le mura sembravano non solo intorno al centro ma anche intorno a noi. Abbiamo dovuto dimostrare di saper fare bene il nostro lavoro per guadagnarci la fiducia dei clienti.
Tommaso: Arrivare con le pistole spianate, facendo grandi proclami, qui non sortisce nessun effetto. Questa è una città dedita al commercio, piena di gente che ti sa valutare per quel che fai, non per quello che racconti.
E siamo già a tre anni di attività. Se si pensa che la maggior parte dei nuovi locali chiude entro un anno, si può già parlare di un successo per il Franklin’33. A proposito, da dove viene il nome?
Marco: Si, esatto. Siamo partiti il 29 ottobre 2014, quindi siamo già al terzo giro di boa. Il nome viene dal presidente americano Franklin Delano Roosevelt che nel 1933 abolì il proibizionismo. Infatti nello stile degli arredi si ispira un pò ai bar post probizionismo degli anni 40. La nostra clientela ormai ci è affezionata, ma abbiamo anche un bel numero di passanti occasionali che si fermano a bere da noi, anche tra i turisti. Il nostro segreto è sempre stato nella semplicità. A me fa quasi ridere il termine Bartender, mi pare pretenzioso. Mi fa più simpatia l’idea di essere un Barista, nel senso classico del termine. Non mi piace l’idea di apparire come una figura austera e piena di se, voglio un rapporto di scambio, di confidenza con le persone che vengono a bere da me.
Tommaso:il nostro locale non è rivolto ai critici e ai professionisti, ma ai clienti. Vogliamo che siano loro a uscire contenti della serata, non ci interessa impressionare nessuno. vogliamo assecondare il gusto del cliente senza sdoganare la banalità. Vogliamo che capisca cosa sta ordinando, e al tempo stesso resti sorpreso.
Marco: È anche per questo che, nonostante cambiamo il menù due volte all’anno, ci sforziamo sempre per renderlo comprensibile alla prima occhiata. Ogni cocktail è studiato con un numero di ingredienti giusti, senza creare confusione e senza coprirne o nasconderne l’anima. La nostra forza è la semplicità sia di esecuzione che di gusto.
Marco, una domanda un pò più tecnica rivolta a te: Negli ultimi anni ti sei distinto molto per la tua abilità nel food pairing, arrivando a collaborazioni di spicco sia in Italia che all’estero con i grandi ristoranti e con grandi manifestazioni. Ti va di parlarcene?
È una realtà che mi piace moltissimo, ma nella maggior parte dei casi è nata dalle amicizie con gli chef, non da una pianificazione fatta a tavolino. Lucca negli ultimi anni ha saputo affermarsi come la nuova perla della ristorazione italiana, grazie a grandi protagonisti come Stefano del Giglio, Damiano del Punto e ovviamente Cristiano dell’Imbuto. Sono tutte persone con cui ho il piacere di avere un bel rapporto a livello personale, e le collaborazioni sono nate in maniera spontanea! Stesso dicasi con il Postrivolo, bellissima realtà dedicata all’alta cucina che si tiene a Faenza, per la quale sono stato ospite insieme ai grandi chef.
Fino ad arrivare a New York…
Marco: Una grandissima esperiena quella a “Le Cirque” di New York, me la porto nel cuore . Ci tengo a ringraziare l’organizzatore Mauro Maccioni, oltre a Lorenzo Giglioli e Lorenzo Pistoni che hanno condiviso con me questa avventura.
Raccontaci uno dei tuoi cocktail, e la storia di come è nato
Marco: Un cocktail a cui sono molto legato è l’ “Americano di Lucca”. Prende il nome da un modo di dire pisano che si usa per prendere in giro uno sbruffone, uno che si vanta troppo. Gli si dice “Tu sei Americano… si, ma Americano di Lucca!”
Per realizzarlo ho deciso di utilizzare Americano Bianco Cocchi, Bitter Roger, Orange bitter e la Biadina di Tista, un amaro tipicamente lucchese. Si tratta di un liquore dal colore ambrato scuro e dal gusto di erbe delicatamente amarognolo, un prodotto della tradizione lucchese a cui ho voluto dare una nuova identità. Questo cocktail è sempre nella nostra carta, e ci piace vederlo come un omaggio a questa splendida città e al modo in cui ci ha accolti.
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