Secondo l’autorevole rivista americana Consumer Report, il caffé di McDonald’s supera, per gusto e convenienza (1,4 dollari), quello di Burger King, Dunkin’ Donuts e, soprattutto, di Starbucks. La più grande catena di caffetterie del mondo, ispirate al modello italiano in quanto strutturate come luoghi di socializzazione e vendita di prodotti di alta qualità, sta subendo la concorrenza di un competitor ritenuto improbabile, in quanto sinonimo di ristorazione veloce e chip.
Il contesto sembra essersi ribaltato. Secondo gli analisti di Wall Street, Starbucks starebbe replicando gli errori commessi negli anni Novanta dal colosso degli hamburger, quando l’eccessiva espansione aveva causato seri problemi di affollamento del mercato e di gestione della rete diretta e affiliata, con ricadute negative sui profitti. La svolta, accompagnata da una maggiore attenzione alla salubrità dei cibi e ai prodotti cosiddetti premium come il caffè, ha permesso di chiudere l’ultimo trimestre del 2006 con un reddito in crescita del 30% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, a fronte di un incremento del 6,3% delle vendite, trend che si sta consolidando nel 2007 nella misura del 7%.
L’aggressivo piano di sviluppo avviato da Starbucks sta producendo i medesimi effetti. Percepito, come McDonald’s, come espressione dello strapotere del capitalismo globale, il gruppo di Seattle sta registrando una sensibile stasi delle vendite dovuta, in parte, all’introduzione di prodotti troppo simili a quelli tipici del fast-food e non compatibili con la formula originaria.
Il terreno di scontro tra i due giganti sarà quasi sicuramente il mercato cinese, dove gli attuali 200 negozi Starbucks dovrebbero diventare 6.000 nel medio periodo. Da parte sua, McDonald’s ha siglato un’accordo di partnership con la catena di distributori di carburante Sinopec (China Petroleum and chemical corporation) per l’apertura di punti di ristoro presso le stazioni di servizio situate in tutto il Paese, il cui totale ammonta a 30.000 unità.
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